Nell’Eucarestia noi troviamo lo stesso Cristo di duemila anni fa
Scritto da Redazione il 23 Gennaio 2022
La riflessione sul Vangelo di domenica 23 gennaio 2022 del Vescovo Emerito di Carpi Francesco Cavina:
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“La prima lettura della santa Messa ci ha portato ad un periodo drammatico della vita del popolo ebraico. Nel 580 avanti Cristo tutti gli abitanti della Giudea erano stati condotti in schiavitù a Babilonia.
In tale situazione, il popolo di Dio sperimenta un’umiliazione e una amarezza che mettono a dura prova la sua fede e la sua speranza. E si interroga:
“Dove sono finite le promesse di bene, di felicità, di salvezza, di gloria fatte da Dio?”.
Dopo 70 anni di “buio”, Dio sembra finalmente rispondere alle sofferenze degli ebrei perché Ciro, re di Persia, offre agli esiliati la possibilità di ritornare in Patria. Ma questi giunti a Gerusalemme, anziché serenità e tranquillità trovano solo distruzione, povertà e rovine.
Per non cedere allo sconforto e alla disperazione i reduci si raccolgono attorno alla Parola di Dio e nell’ascolto attento di essa ritrovano la propria identità di Popolo di Dio e la gioia della comunione fraterna.
Soprattutto, attraverso i testi della Sacra Scrittura che vengono letti, comprendono che è Dio che tiene in mano le file degli avvenimenti. E così sperimentano di non essere abbandonati a un destino tragico e fallimentare.
La vicenda del popolo ebraico si ripete nella storia della Chiesa. Anche il nostro “oggi” appare buio ed il futuro minaccioso. I numerosi segni di distruzione e di morte che sono presenti anche in mezzo a noi, fanno sorgere nel nostro cuore domande angosciose.
Perché tanta sofferenza? Perché nel cuore delle persone la fede si sta spegnendo? Perché la famiglia, istituzione fondamentale per il benessere della società e della Chiesa, sta attraversando un inverno che sembra non avere fine? Perché gli ideali di giustizia, di pace e di amore non riescono più ad affascinare le relazioni personali e tra i popoli? Dobbiamo, dunque rassegnarci a vivere il nostro “oggi” in maniera stanca, senza gioia e fiducia, in attesa di chissà quale incerto futuro?
C’è un episodio nel Nuovo testamento che ci aiuta a trovare, come è successo per il popolo ebraico, una risposta a questi interrogativi.
L’apostolo Paolo, siamo nel capitolo 20 del Libro degli Atti degli Apostoli, dopo avere salutato i presbiteri di Efeso, li affida alla Parola di Dio. Ci saremmo aspettati che affidasse la Parola ai presbiteri e non viceversa: i presbiteri alla Parola di Dio. San Paolo opera questa scelta perché la Parola non è una dottrina da affidare a qualcuno, ma è una persona, è Cristo stesso.
I presbiteri, dunque, vengono affidati alle buone e potenti mani del Signore che con la sua presenza e azione rende la storia un cantiere in cui il Regno di Dio si sta costruendo. A noi è chiesto di fare spazio a Lui e di permettere allo Spirito Santo di fare irruzione nella nostra vita perché la fede non è mai una cosa scontata, è sempre una conquista quotidiana.
Questa presenza del Signore tra noi raggiunge il suo culmine, il vertice più alto nei sacramenti, in particolare l’Eucarestia, la quale non è la commemorazione di un assente, né il semplice ricordo della cena di addio del Giovedì santo, ma contiene il Corpo e il Sangue del Figlio di Dio.
Pertanto nell’Eucarestia noi troviamo lo stesso Cristo che hanno incontrato gli abitanti della Palestina duemila anni fa. Non è dunque faticoso incontrare Gesù. È tanta la gioia che nasce da questo incontro che anche il nostro corpo ne viene coinvolto, proprio come è accaduto al popolo ebraico: stiamo in piedi, seduti; alziamo le mani, ci inginocchiamo, diciamo Amen, cantiamo…
L’eucarestia è veramente l’ “Oggi” con cui Gesù mi tocca con la sua forza per darmi coraggio, mi infonde la sua gioia per vincere la mia tristezza, mi salva dal mio peccato per comunicarmi la sua vita divina e farmi scoprire il senso ultimo e definito dell’esistenza, la vita eterna.
Ebbene, oggi ringrazio il Signore per il decimo anniversario della mia Ordinazione Episcopale, ma soprattutto gli sono grato perché avendomi chiamato, senza mia merito, al sacerdozio ha messo nelle mie mani Gesù Cristo, affinché anche voi possiate riceverlo nella Santa Comunione.
Quando si ha Gesù Cristo, si ha tutto. Mediante l’eucarestia tocchiamo Dio e Dio ci tocca, ed è già per noi un anticipo di Cielo. Diceva santa Teresa d’Avila:
Chi ha come amico Cristo Gesù e segue un capitano così magnanimo come lui, può certo sopportare ogni cosa.
E così sia!”