Cristiani e perseguitati – Palestina: una terra che paga a caro prezzo il privilegio di essere Santa
Scritto da Elisa Gestri il 21 Aprile 2024
Cosa significa essere cristiani in Palestina oggi? Come vivono i fedeli palestinesi dopo gli attacchi del 7 ottobre?
Cristiani e perseguitati – Padre Elias (nome di fantasia) è un sacerdote palestinese che sta perfezionando gli studi a Roma. In questi giorni di apprensione per il suo popolo, ha timore ad esprimere la sua opinione sulla crisi in Medioriente: “In questo momento non possiamo parlare di nulla, mi dispiace. Spero che capiate la nostra situazione“.
C’è infatti il rischio fondato di ritorsioni, dirette o indirette, nei suoi confronti o in quelli dei suoi cari che vivono in Palestina.
“La reazione del confratello palestinese è del tutto normale“, risponde interpellato in merito don Antonio Maria, sacerdote in pensione originario della Sicilia, quindici anni di ministero a Gerusalemme nel suo curriculum. “L’arma principale di Israele è infatti il terrore usato come strumento di controllo. Creare scientemente il panico fa parte della strategia di dominio messa a punto dallo Stato di Israele nei confronti dei palestinesi“.
I cristiani, in particolare, come vivono in Palestina?
“I cristiani sono fra l’incudine e il martello: soffrono a causa dell’oppressione israeliana come tutti i palestinesi, di qualsiasi religione siano, e vengono trattati da traditori dai musulmani estremisti perché, in quanto cristiani, sono per la pace e rifiutano ogni azioni violenta, come ad esempio i noti attacchi di Hamas del 7 ottobre scorso“.
Personalmente, vede possibilità di soluzione per la questione israelo-palestinese?
“A mio avviso, l’intuizione migliore sulla Palestina l’ha avutna l’abate Étiene Charpentier, biblista francese che ha vissuto e studiato a lungo a Gerusalemme, quando l’ha definita “una terra che paga a caro prezzo il privilegio di essere Santa”. Lo sa solo Dio se e quando questo altissimo prezzo verrà saldato“.
A questo proposito, Gerusalemme è la più importante città santa dell’ebraismo. Restando a livello strettamente religioso, perché Gerusalemme, la Palestina, sono tanto importanti per il cristianesimo e l’Islam? In fondo i fedeli cristiani e musulmani hanno altri luoghi altrettanto sacri a cui possono accedere liberamente, come Roma o la Mecca…
“Per noi cristiani recarsi nei luoghi dove Gesù è vissuto non significa venerare delle pietre, come potrebbe sembrare superficialmente, bensì la Sua memoria vivente. Invece secondo la religione islamica Gerusalemme è il luogo dell’Isra’ wal Miraj, l’ascensione al Cielo del Profeta Maometto: vi fu accompagnato dalla Mecca direttamente da Allah, e poi salì in Paradiso.
Il punto è che in Palestina ci sarebbe posto per tutti, se alle questioni religiose non si sovrapponessero pretese politiche, economiche e territoriali, come invece tristemente accade“.
L’isolamento dei cristiani palestinesi, la storia di Milad
Milad Gebran Basir, cristiano palestinese di Cisgiordania, è un operatore sociale e sindacalista che vive da tanti anni in Romagna. Laureato in economia a Bologna, si è stabilito definitivamente in Italia dove ha creato una famiglia integrandosi perfettamente nella società. È stato battezzato Milad, Natale, perché è nato “nel giorno del Natale ortodosso”, anche se la sua famiglia è cattolica apostolica romana.
Pur essendo, nelle sue stesse parole, un “pacifista convinto”, dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre scorso si è trovato suo malgrado a vivere nel più completo isolamento: non più visite né telefonate da parte di chi fino ad allora lo frequentava abitualmente, solo silenzio.
Trattato da terrorista, accusato di complicità con Hamas, i primi dieci giorni dopo l’attacco sono stati tra i più difficili della sua vita. Eppure, sottolinea, “nessuno può accusarmi a di essere antisemita, perché io stesso sono semita; e nessuno può accusarmi di essere vicino ad Hamas, perché sono cristiano, dunque per la pace. Prima del 7 ottobre nessuno dei miei amici e colleghi sapeva che fossi cristiano, perché ritengo l’appartenenza religiosa un fatto strettamente personale; ma dopo quello che è accaduto ho deciso di parlare della mia fede, in quanto troppo spesso in Italia si crede che l’intero mondo arabo sia musulmano, e terrorista per di più. Personalmente mi ritengo un palestinese di cultura musulmana e di fede cristiana, e non vedo in questo nessuna contraddizione“.
Dunque i rapporti tra la componente cristiana e musulmana della popolazione palestinese sono buoni?
“In Palestina storicamente c’è sempre stata una convivenza effettiva, tangibile, concreta tra cristiani e musulmani, non si sono mai registrati problemi. Quella palestinese è una società laica che rispetta le diversità religiose al suo interno, sia a livello istituzionale che di vicinato.
Si pensi che le chiavi della chiesa del Santo Sepolcro, utilizzata in egual misura da religiosi cattolici ed ortodossi, sono in mano a una famiglia musulmana: il custode del Santo Sepolcro è un musulmano, e questa è una prova evidente della convivenza di cui parlo.
Ci sono palestinesi di fede cristiana in parlamento, nelle amministrazioni locali e perfino nell’OLP. È vero che la parte cristiana della popolazione si è molto assottigliata nell’ultimo secolo: a inizio Novecento i cristiani erano circa il 14-15% della popolazione palestinese, mentre ora ne sono rimasti qualche migliaio a Gaza, altrettanti in Cisgiordania e circa settantamila in Israele.
Dopo la fondazione dello stato di Israele moltissimi cristiani sono infatti emigrati in tutto il mondo, creando nuove comunità all’estero: in Cile, ad esempio, c’è una grandissima comunità palestinese cristiana, e così in molti Stati del Sudamerica“.
E tra cristiani ed ebrei israeliani che rapporti ci sono?
“Rispondo con un esempio: quando i soldati israeliani fermano i palestinesi ai check point, non chiedono loro di che religione sono, li fermano e basta“.
Da cittadino allo stesso tempo italiano e palestinese, come vede la reazione del mondo occidentale ai tragici fatti del 7 ottobre scorso e al successivo intervento di Israele?
“L’appoggio incondizionato dell’Occidente a Israele, al di sopra e al di fuori di ogni norma del diritto internazionale, ha provocato tre effetti deleteri: l’unione di tutto il mondo musulmano, sunnita e sciita, contro l’occidente; la radicalizzazione dello stesso islam che, va ricordato, è presente in 57 Paesi del mondo; e la marginalizzazione della parte più laica, moderata della comunità.
È anche vero però che se le cancellerie internazionali hanno dichiarato da subito il loro sostegno a Israele, le piazze occidentali hanno reagito in modo diverso, mostrando solidarietà con i palestinesi e pietà per le migliaia di innocenti uccisi, che ricordiamo, sono sia musulmani che cristiani.
Da queste aperture può nascere la speranza, in attesa che anche i governi dell’occidente si impegnino per ristabilire la giustizia ed il diritto“.