Domenica di Pasqua, il commento al Vangelo del Vescovo Francesco Cavina: “La resurrezione di Cristo accende una luce sull’umanità”

Scritto da il 12 Aprile 2020

Il commento al Vangelo della domenica di Pasqua di monsignor Francesco Cavina*:

“La Chiesa nella santa Messa del giorno di Pasqua propone alla nostra riflessione la visita della Maddalena al Sepolcro. I vangeli di Giovanni e di Marco ci fanno sapere che Cristo ha riservato a lei la sua prima apparizione di risorto. Possiamo, dunque, affermare che è la principale testimone della Pasqua, insieme al discepolo amato da Gesù. Chi ama – è il caso di Maria Maddalena – cerca con insistenza l’Amato e non si dà per vinto finchè non lo trova; chi si sente amato – è il caso di Giovanni – lascia che sia l’Amante a trovarlo. Così Maria e Giovanni diventano il paradigma di tutti coloro che cercano Gesù con amore. Il brano del vangelo insieme a Maria Maddalena vede come protagonisti anche Pietro e Giovanni. Tre testimoni, come afferma il Card. Martini, alla ricerca dei segni del Risorto e, attraverso questi segni, della presenza stessa del Signore.

L’evangelista Giovanni sottolinea che la donna si reca al sepolcro “il primo giorno della settimana”, cioè di domenica. Lo scopo dell’autore non è solo quello di dirci in quale giorno la visita avviene, ma di aiutarci a cogliere che con la Resurrezione è entrata nel mondo una novità così inattesa e radicale da dare un nuovo inizio alla storia dell’umanità. Inoltre, apprendiamo che Maria Maddalena si reca al sepolcro di buon mattino, quando è ancora buio. Non ci viene detto il motivo della visita. Possiamo pensare ad un “semplice slancio del cuore” (X.L. Dufour), che trae origine sicuramente dall’amore il quale, ora assume la connotazione della pietà per il defunto, come avviene anche per noi quando andiamo per i cimiteri a rendere omaggio a chi ci ha lasciati. L’evangelista, inoltre, ci informa che quando la donna giunge al sepolcro è ancora buio. Si tratta, anche in questo caso, di un’indicazione che non ha un valore puramente temporale, ma serve ad aiutarci a comprendere la situazione spirituale di Maria Maddalena. E’ buio perché lei (e con lei tanti altri, amici e nemici) è persuasa che la morte ha trionfato ancora una volta e quindi la vicenda di Cristo deve, ormai, considerarsi definitivamente conclusa. Tutto è finito. E in effetti ella è alla ricerca del corpo di un morto, per ricordare nostalgicamente i bei tempi vissuti con Gesù e le cose buone avute da Lui.

Ma mentre i nemici di Cristo esultano per la sua morte, gli amici si trovano a gestire una situazione di grande sofferenza e sconforto che genera in loro paura e delusione. Sentimenti espressi in maniera inequivocabile dai due discepoli di Emmaus: “Noi speravamo”. Il profeta di Nazareth aveva suscitato tanto entusiasmo, acceso tante, forse troppe speranze, ma la sua morte ha vanificato tutto. Il significato del buio è ulteriormente chiarito dall’episodio della pesca al lago di Tiberiade (cfr Gv 21). Il testo evangelico precisa che i discepoli in quella notte non presero nulla (v.3). La rete si riempie di pesci, fin quasi a spezzarsi, solo quando Cristo risorto, sul fare del giorno, apparve sulle rive del Lago comandando di gettare la rete dalla parte destra. Il buio anche in questo caso è immagine dell’assenza di Cristo e senza di Lui la vita è infruttuosa. Quando Cristo risorto si manifesta le tenebre scompaiono, sorge la luce e spunta l’alba di un nuovo giorno e la vita diventa feconda.

Potremmo dire che Maria Maddalena si trova a vivere quell’esperienza spirituale tipica di tanti discepoli di Cristo che è stata chiamata chiama “l’oscura notte dello spirito”, caratterizzata dall’esperienza dell’assenza di Gesù, di Colui cioè che si ama intensamente. Quando ci si trova immersi in questa notte oscura si vive una solitudine incolmabile che contrasta terribilmente con la gioia e il senso di pienezza che derivavano dalla presenza e dall’amicizia con il Signore. In tanta desolazione accade che il mondo intero – per parafrasare parole di Madeleine Delbrel – appare piccolo e stupido “e il destino degli uomini insulso e cattivo”.

Maria Maddalena, arrivata al sepolcro vede che la pietra era stata tolta dall’ingresso. A differenza dei sinottici che parlano di pietra rotolata, san Giovanni dice che è stata tolta. L’evangelista si serve del verbo “togliere” quando vuole indicare qualcosa di cui ci si è definitivamente liberati. Pertanto, dicendo che la pietra è stata tolta suggerisce che nel mattino di Pasqua il principe di questo mondo è stato gettato fuori (Gv 12.31), e con lui le tenebre e la morte, e al loro posto sono subentrate la vita e la luce. Ebbene, vede il sepolcro aperto e corre “da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava”. Maria è ancora prigioniera di una logica umana: se la tomba è aperta il cadavere che custodiva non può che essere stato trafugato. La corsa della donna esprime, quindi, la sua disperazione. Ha sofferto per la morte di Cristo e, ora, non le rimane neppure il corpo sul quale piangere e questo accentua ulteriormente il suo dolore e la sua solitudine.

Nonostante questa sua disperazione, le parole con cui si rivolge a san Pietro e a san Giovanni rivelano una premura, un’attenzione ed un amore che vanno ben oltre a quanto Ella ritiene sia accaduto. In effetti non dice: “La pietra è stata tolta”, ma “hanno portato via il Signore dal sepolcro. Senza volerlo Maria parlando di Gesù lo chiama Signore, cioè ne parla come di un vivente. Questo spiraglio sarà destinato a spalancarsi di lì a poco con la prima apparizione di Cristo risorto, quasi a premiarne l’amore, la fedeltà, la perseveranza espressa dal suo “stare” presso la tomba.

Alla notizia i due autorevoli discepoli corrono al sepolcro. Il giorno di Pasqua tutti corrono. Perché? E’ l’amore che li spinge a muoversi velocemente, che li muove alla fretta e mette le ali ai piedi del discepolo amato, permettendogli di giungere per primo al sepolcro. Anche se arriva per primo attende Pietro. Uno dopo l’altro entrano e prendono atto che il corpo di Gesù non c’è e notano “i teli posati” e “il sudario – che era stato sul capo –  non posto là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte”. Entrambi vedono le stesse cose, ma le comprendo in modo differente. Pietro silenzioso forse si chiede: Ma Gesù dov’è? Di Giovanni, invece, si dice che “vide e credette”.

Il credere di Giovanni non è riferito alla resurrezione di Cristo, ma al fatto che egli ha intuito che nella tomba è successo qualcosa di straordinario, anche se non ha ancora capito che cosa. Non vede il risorto, ma la sua traccia, come insegna acutamente san Giovanni Crisostomo. Se il corpo fosse stato rubato, scrive, il ladro “non lo avrebbe prima spogliato, né si sarebbe preso il disturbo di rimuovere e di arrotolare il soudarion e di lasciarlo in un luogo a parte” (In Giov.85.4). Non ha ancora capito, ma la tomba vuota e le bende sono il segnale stradale che indicano che Gesù “è uscito vivo dal sepolcro sottraendosi in maniera misteriosa ai panni che lo avvolgevano, fuori dalle leggi dello spostamento dei corpi” (G.Valente, Don Antonio e i primi indizi della Resurrezione, in 30 giorni (2) 2001, 36-39).

In Giovanni prende avvio un initium fidei, confermato dalle parole di commento dell’evangelista: “non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti”. Anche per Pietro e Giovanni, come per Maria, l’ultima tappa della vita di Gesù è la tomba. La resurrezione di un morto prima della fine del mondo non rientrava nelle categorie religiose e culturali del tempo. Anche per Giovanni la piena maturazione della fede arriva solo quando Cristo risorto si fa vedere. Questo ci porta a riconoscere che la fede non nasce dall’uomo, non è un fatto soggettivo e neppure nasce dall’ascolto di una parola, ma è la conseguenza del vedere le opere che Dio compie in favore degli uomini. S. Agostino lo dice con una lapidaria espressione: “Roma siccome amava Romolo lo credette Dio. La Chiesa invece siccome riconobbe che Gesù era Dio, lo amò”.

Con la resurrezione di Cristo, sull’umanità si è accesa una luce capace di dare un senso ai tanti drammi che quotidianamente ci consumano sotto il sole, ai lutti che fanno versare fiumi di lacrime, le quali, oggi, poiché non è possibile neppure congedarsi cristianamente dai propri cari, si fanno ancora più amare. La comunità cristiana, pertanto, non può vivere come se nulla fosse successo, ma sull’esempio dei primi propagatori della fede, è chiamata a proclamare a tutti: Cristo è davvero risorto! La resurrezione, infatti, non è un trionfo che riguarda soltanto la vita di Cristo – che in tale modo si manifesta umana e divina – ma riguarda l’umanità intera, dal primo uomo fino all’ultimo, perché a tutti deve giungere il messaggio di speranza del Signore: “Tu sei chiamato a vivere! Io sono risorto per te!”. Per te, è questa la parola più importante. Cristo risorto è solo “la primizia”, “il primogenito di una moltitudine di fratelli”. Lui è l’inizio dell’universale risveglio dei morti e il fiorire del regno della vita, al quale tutti gli uomini sono chiamati a parteciparvi.”

*Vescovo Emerito di Carpi


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