Cristo dà alla morte e alla sofferenza un significato nuovo
Scritto da Redazione Emilia-Romagna il 17 Marzo 2024
Spiritualità – V domenica di Quaresima (Anno B), la riflessione sul Vangelo del Vescovo Emerito di Carpi Francesco Cavina:
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Manca poco più di una settimana alla morte di Gesù e alcuni simpatizzanti ebrei di origine greca che si trovano a Gerusalemme rivolgono a Filippo e ad Andrea la richiesta di potere vedere Gesù.
Questo gruppo di greci rappresentano i popoli della terra che saranno attirati a Cristo dalla fecondità del suo sacrificio. Gesù stesso, infatti, affermerà che una volta innalzato sul patibolo della croce, attirerà tutti a sè, perché l’uomo non rimane insensibile “a tanto amore” di Dio nei confronti dell’umanità.
La vita di Cristo come un “chicco di grano”
Cristo paragona la sua vita a quella del chicco di grano che per portare frutto abbandonante deve, una volta caduto nella terra, scomparire. Dice che la vera vita sta nel morire. Si tratta di parole che ci appaiono assurde, paradossali, ma in realtà rivelano una verità che è evidente per tutti coloro che amano.
La vera morte non è quella fisica, ma l’incapacità di amare, di donare e di “perdere” se stessi per coloro che si amano, perché questa è la legge della vita: morire al proprio egoismo, che rende sterile l’esistenza, per vivere nell’amore.
Gesù dà alla morte e alla sofferenza un significato nuovo
La certezza della fecondità dell’amore, del donare la vita non impedisce, però, a Gesù di sentire l’angoscia per la sua morte fisica. Il pensiero che per vivere in pienezza è necessario subire il destino del chicco di grano nella terra, lo turba profondamente.
Gli evangelisti ci dicono che Gesù è stato tentato di fare ricorso alla sua divinità per non dovere sottostare alla condizione di fragilità della vita umana (cfr Mt 4,11; Mc 14,32).
Ma Egli supera questa tentazione riaffermando ostinatamente la sua fedeltà alla volontà del Padre. Anche noi, come Cristo, di fronte all’enigma del dolore e della morte possiamo vacillare ed essere tentati di ripiegarci su noi stessi, ma la fede ci aiuta e ci insegna a volgere il nostro sguardo verso il Signore crocifisso e risorto perché Lui è l’aiuto, la compagnia e il sostegno per potere continuare a sperare nella prova.
La morte e la sofferenza sono un male, ma Gesù dà ad esse un significato nuovo: uniti a Lui esse non sono distruzione e annientamento, ma via per partecipare alla sua gloria. Lui è il solo che dalla morte è capace di fare risorgere la vita.
Nel Vangelo troviamo la parola del Signore
Scriveva san Francesco di Sales: “Le notti sono dei giorni quando Dio è nel nostro cuore, e i giorni sono delle notti quando Egli non vi è”.
Lasciamo che il Signore, con la sua presenza, illumini la notte del nostro dolore. Infatti, senza il Signore tutte le iniziative umane, per quanto ben organizzate, risultano inefficaci perché l’uomo porta con sé delle domande che conducono a riflettere non su che cosa fare, ma su chi siamo.
Solo quando Cristo viene sulla riva del mare della nostra vita i nostri fallimenti, le nostre fragilità, i nostri peccati, la nostra stessa morte assumono una luce nuova.
Se Lui ci custodisce non abbiamo nulla da temere, mentre se Lui è assente non abbiamo più nulla da sperare.