Rewind – Speciale di Natale: un album sotto l’albero

Scritto da il 14 Dicembre 2022

Siamo giunti alla decima puntata di Rewind: inauguriamo così la seconda stagione di questa serie!

Quale momento migliore per inaugurare una nuova stagione se non quello natalizio? E perché non farlo consigliandovi quindici album in ordine assolutamente casuale, direttamente da due decadi che hanno segnato la storia della musica? Consigli che potreste sfruttare come regalo (o auto-regalo ndr.) di Natale. Ce n’è davvero per tutti i gusti e, con buona pace di molti di voi, sicuramente avrò tralasciato molti album a voi cari (allerta spoiler: non ho incluso nessun album dei Queen ndr.), ma non è detto che in futuro non ci saranno altri momenti come questo e che voi stessi non possiate partecipare attivamente proponendo una vostra personale classifica.

Partiremo dagli anni ’70 e finiremo il nostro viaggio negli anni ’80. Qualcuno forse si chiederà “Che fine hanno fatto gli anni ’90?” Arriveranno anche loro, con un piccolo speciale che ci accompagnerà per più puntate! Ma dovrete pazientare ancora un po’… Però ora allacciate le cinture perché stiamo per tornare negli anni ’70!

Ascolta “Speciale di Natale: un album sotto l’albero” su Spreaker.

1. Led Zeppelin – Led Zeppelin IV

Gli Zeppelin, nel 1971, avevano capito che trascorri le tue giornate sotto il peso della vita quotidiana; quindi, ti mostrano la via d’uscita con uno stufato di miti, Tolkien e la California, facendoti sognare ad occhi aperti e portandoti in un luogo dove puoi pregare per la grandezza di battaglie che non combatterai mai. Per alcuni la vera epopea è “When the Levee Breaks” per altri “Stairway to Heaven”, ma poco importa: niente è più grande di Led Zeppelin IV! È uno di quegli album che vorresti cancellare dalla tua memoria per riascoltarlo tutto da capo a fine come se fosse la prima volta: ti strappa la pelle e macina via i tuoi dubbi e l’odio per te stesso, la lussuria e la rabbia dell’adolescenza bloccata che ti colpiscono con il riff di “Black Dog” e lì ti ritrovi faccia a faccia con Dio.

 

2. Pink Floyd – The Dark Side of the Moon

Rilasciato il 1° marzo del 1973, l’album che rappresenterà la supernova commerciale e collaborativa dei Pink Floyd affronta tematiche come il tempo, la follia, la guerra e la religione, mentre ridefinisce la psichedelia britannica, lo space rock ed il concetto stesso di concept album per tutte le rock band dei successivi vent’anni. Un grande e terribile arcobaleno di oscurità dietro il sipario del prog, che si può riassumere nella citazione tratta dall’ultimo brano “Eclipse”: “Tutto ciò che fai, tutto ciò che ti circonda sotto il Sole è in sintonia, ma il Sole è eclissato dalla Luna.” così Dark Side of the Moon consegna al suo ascoltatore il proprio cuore.

 

L’iconica copertina con il prisma

 

3. Van Halen – Van Halen I

Il debutto dei Van Halen, il 10 febbraio 1978, è considerato una delle pietre miliari dell’hard rock statunitense. Ciò che colpisce maggiormente è l’abilità chitarristica di Eddie van Halen, che influenzerà gran parte dei musicisti rock degli anni a venire: non risulterà mai un virtuosismo fine a se stesso, ma sempre al servizio della melodia e di ritornelli particolarmente orecchiabili. Lo strumentale “Eruption” è considerato uno degli assoli più importanti di tutti i tempi. Nel 1994, Guitarist Magazine l’ha classificato come il 2º album dalle chitarre più influenti di tutti i tempi.

 

4. The Clash – London Calling

Profondamente e fervidamente preoccupati di rivoluzionare sia gli standard politici che artistici del loro tempo, i Clash decisero di dedicarsi alla creazione di un tipo completamente nuovo di artista-fuorilegge, tanto violento quanto cerebrale. London Calling, nel 1979, divenne la massima espressione di quel fascino collettivo, un doppio album intensamente inquietante e innegabilmente intelligente, pieno di accuse a bocca aperta e celebrazioni sfrenate.

 

La copertina che omaggia l’album di Elvis

 

5. Sex Pistols – Never Mind the Bollocks, Here’s the Sex Pistols

I Sex Pistols non hanno inventato il punk, così come i Beatles non hanno inventato il rock’n’roll, ma come i Fab Four, hanno formalizzato un dialetto informale in una lingua ufficiale, facilmente comprensibile. Never Mind the Bollocks è un perfetto starter-kit in tema punk già pronto: tutta retorica antiautoritaria intrisa di chiacchiere, accenni di violenza e vaffa gratuiti, impostati su riff con il dito medio che girano e squarciano come una motosega arrugginita. Il fatto che l’album abbia suscitato un’indignazione nazionale alla sua uscita nel 1977 sembra quasi bizzarro oggi quanto i racconti di cameramen di rete che evitavano i fianchi di Elvis negli anni ’50.

 

6. The Ramones – Ramones

L’album di debutto omonimo dei Ramones, pubblicato nel 1976, ha dato vita non solo al punk, ma alla rivolta del rock moderno; ha stabilito le basi per il grunge, l’indie rock e tutti gli altri movimenti che hanno spogliato la magniloquenza dei suoi predecessori e li hanno fatti sembrare all’istante, irrimediabilmente soffocanti. I Ramones hanno recuperato gli elementi di base del rock e li hanno ridotti a tre accordi con un nuovo ritmo vertiginoso e le loro canzoni, concise ma soddisfacenti, in appena due minuti hanno saputo catturare il bisogno di essere capiti dagli outsiders.

 

7. Miles Davis – Bitches Brew

Che Miles abbia dovuto rinunciare alla carne, masticare germe di grano e pezzetti di frutta e studiare boxe per allenare il suo corpo a eseguire le canzoni di Bitches Brew degli anni ’70, non è una rivelazione particolarmente sorprendente. Uno dei dischi jazz più rivoluzionari di tutti i tempi, è anche un fenomenale atto di abilità fisica, vedi “Miles Runs the Voodoo Down”, incentrato quasi esclusivamente sulla fitta tensione botta e risposta stabilita dal frontman e i suoi musicisti, uno spazio oscuro tra gli enormi e tortuosi sbuffi di tromba di Davis e gli scoppiettii collettivi del suo ensemble. Mescolando grandi ritmi rock con spaghetti jazz astratti, unendo pezzi di improvvisazione e incantesimi minacciosi, Davis ha usato Bitches Brew per gettare le basi inquietanti per un genere che in seguito sarebbe stato annacquato, da catartico a stupidamente innocuo, ma qui, alla nascita della fusion, Miles Davis ha dimostrato che saldare elementi del rock al jazz potrebbe essere una ricetta totalmente trasformativa e spaccaossa.

 

8. Prince – Purple Rain

Il 25 giugno del 1984 vede la luce Purple Rain: una creazione unica nel modo in cui assorbiva la musica pop e rock dei primi anni ’80 e la rifrangeva attraverso un brillante prisma. A pieno regime, il disco è una piena approvazione della musica gospel e dell’ambizione del rock da arena: Prince non era un perfezionista, contrariamente a quanto si crede, se Purple Rain doveva essere il suo capolavoro, doveva avere la scintilla di uno spettacolo dal vivo, doveva soddisfare il pubblico che lo avrebbe spiato nel film semi-autobiografico con lo stesso nome. Una curiosità: lo scandaloso testo della canzone “Darling Nikki” contribuì all’istituzione dell’obbligatorietà dell’adesivo Parental Advisory sulle copertine dei dischi che contenevano brani dai contenuti espliciti.

 

9. Guns N’ Roses – Appetite for Destruction

Un album che sarebbe potuto nascere solo alla fine degli anni ’80: in un periodo inebriante e pericoloso durante il quale una catabasi era inevitabile, i Guns N’ Roses sembrarono riconoscerlo con le prime note del loro debutto gloriosamente instabile, aprendo con uno stridulo e ridicolo riff intitolato “Welcome to the Jungle”. I Guns erano tenaci riguardo al loro desiderio di fare cose molto brutte ed il loro impegno ha prodotto una pietra miliare dell’hard rock: hanno continuato a concedersi i premi della fama e della fortuna, ma non sarebbero mai stati così taglienti come lo sono stati qui.

 

La copertina originale e quella utilizzata a confronto

 

10. AC/DC – Back in Black

Nel 1980, Brian Johnson, un cantante da pub di Newcastle che indossava sempre uno di quei berretti piatti d’altri tempi, divenne l’impossibile sostituto dello scomparso Bon Scott. Il risultato? Gli AC/DC sono diventati la più grande rock-band del mondo con questo album: hanno spinto Johnson nel loro rock’n’roll con Malcolm e suo fratello Angus che hanno scritto il tipo di riff che suonava bene in macchina a tutto volume ed ancora meglio in un’arena gremita di gente. La title track è stata il rantolo mortale del rock degli anni ’70 e la campana della cena per un decennio di heavy metal. L’album conteneva anche il più appetibile “You Shook Me All Night Long”, una canzone che parla un po’ di eiaculazione precoce e soprattutto di una sottomissione affettuosa e febbrile a una donna. Back in Black è la vera stella polare del rock mainstream negli anni ’80.

 

11. Metallica – Master Of Puppets

Chiunque abbia preso in mano una chitarra sa come suonare le prime quattro note di “Master of Puppets”. È come imparare a dire “ciao” in metal. È un album ignorante ed astuto, furbo e stupido allo stesso tempo. Gli indicibili orrori del complesso industriale militare, Ken Kesey, il telepredicatore e H.P. Lovecraft: tutto è rivestito di pelle e dato alle fiamme. Dalla marcia paludosa di “The Thing That Should Not Be” al thrash sfocato di “Damage, Inc.”, ogni canzone è composta in modo modulare, riff dopo riff, formando una struttura così solida da sembrare indistruttibile ancora oggi che siamo ben lontani da quel 3 marzo 1986.

 

12. Dire Straits – Brothers In Arms

I Dire Straits arrivano al loro quinto album forti di una carriera ricca di successi, ma con questo il successo supera ogni più rosea previsione! Con le sue oltre 30.000.000 di copie vendute, è uno dei dischi più venduti nella storia della musica. Pubblicato nel 1985 è stato uno dei primi album a essere stampato su compact disc con registrazione digitale, oltre alla classica distribuzione su vinile. È l’album più venduto in assoluto durante gli anni Ottanta nel Regno Unito. Nell’album è presente anche il brano “Money for Nothing”: la canzone è stata scritta in collaborazione tra Mark Knopfler e Sting ed è proprio quest’ultimo a cantarne l’introduzione e i cori.

 

13. Ozzy Osbourne – Blizzard of Ozz

Dopo il suo licenziamento dai Black Sabbath, Ozzy Osbourne dà vita alla sua band ed al suo primo album in studio, uscito il 20 settembre 1980. Il disco contiene alcune delle canzoni più note di Ozzy, come “Crazy Train”, in cui è presente il celebre assolo di chitarra eseguito da Randy Rhoads, segnalato al nono posto tra i migliori assoli nella storia della musica secondo Guitar World, o “Mr. Crowley” brano dedicato all’occultista Aleister Crowley, un esperto praticante di magia e grande conoscitore di esoterismo, nato proprio dall’ispirazione avuta da Ozzy grazie alla presenza, in studio di registrazione, di un mazzo di tarocchi ideato dallo stesso Crowley.

 

14. Bon Jovi – Slippery When Wet

Un album che è stata una svolta per l’hair metal in generale, segnando il punto in cui il genere è entrato ufficialmente nel mainstream. Rilasciato nel 1986, presentava una combinazione snella di pop, hard rock e metal che piaceva a tutti, specialmente alle ragazze, che l’heavy metal tradizionale spesso ignorava. I Bon Jovi non erano così duri come i Mötley Crüe o tecnicamente abili come i Van Halen, ma i ragazzi hanno sfruttato abilmente i loro punti di forza, evitando gli estremi per un approccio accessibile e a metà strada che ha finito per fare appello a più fan della maggior parte dei loro coetanei. Il trucco ha dato i suoi frutti quando Slippery When Wet è diventato l’album più venduto del 1987, battendo contendenti come “Appetite for Destruction”, “The Joshua Tree” degli U2 e “Bad” di Michael Jackson. “Va bene se ti diverti” ha cantato Jon Bon Jovi nella prima traccia dell’album “Let It Rock” e, quelle parole, sono servite essenzialmente come mantra per l’intero genere hair metal, il cui atteggiamento spensierato e festaiolo divenne la colonna sonora per il resto degli anni ’80.

 

15. Iron Maiden – The Number of the Beast

Il 22 marzo del 1982 è la nascita dei Maiden così come li conosciamo: un’implacabile macchina da metal portata a nuove vette dall’arrivo dell’ex frontman dei Samson Bruce Dickinson. I Maiden hanno preso il progetto di base che i Judas Priest avevano creato alla fine degli anni ’70 – tempi aggressivi, interazione di due chitarre, voci potenti ad ampio raggio – e hanno alzato tutto rendendolo più veloce e più forte. L’intensità dell’album non si ferma mai, la tecnica musicale è impareggiabile per l’epoca e non c’è una canzone davvero non memorabile: sebbene alcuni momenti di The Number of the Beast siano chiaramente più forti di altri, l’album nel suo insieme ha rappresentato un punto culminante per l’heavy metal, trovando un equilibrio tra melodismo accessibile e una tecnica ed un’intensità stimolanti, un vero caposaldo del genere!

E con questo ultimo consiglio si conclude questo speciale: avete trovato qualcosa che fa al caso vostro? Beh, mi auguro proprio di sì! Per ora è tutto, quindi a me non resta da fare altro che darvi appuntamento alla prossima puntata di Rewind: pronti per un viaggio attraverso gli anni ’90?

 


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