“Rara Herbaria. Libri e natura dal XV al XVII secolo”: intervista al curatore del volume Michael Jakob
Scritto da Nicola Pozzati il 15 Luglio 2024
Rara Herbaria, un volume raffinato per scoprire la straordinaria collezione di erbari a stampa di Peter Goop e una selezione scelta dei volumi di botanica dell’Accademia Nazionale dei Lincei e Corsiniana di Roma
Michael Jakob, curatore assieme a Lucia Tongiorgi Tomasi del volume “Rara Herbaria. Libri e natura dal XV al XVII secolo” (Silvana Editoriale, 2024), ci aiuta a scoprire questa splendida opera, nata dal lavoro appassionato di un “team di specialisti internazionali”, che consente al lettore di comprendere l’importanza degli erbari nella cultura occidentale (e non solo).
Come nasce Rara Herbaria e quali sono state le sfide principali che avete affrontato nella realizzazione di una raccolta di questo tipo?
Rara Herbaria nasce da un precedente progetto (la mostra Des jardins & des livres presso la Fondazione Bodmer di Ginevra e il rispettivo catalogo) per il quale abbiamo richiesto la collaborazione del grande collezionista Peter Goop.
Rara Herbaria è stata pensata sin dall’inizio come una duplice esposizione: da una parte alla Morgan Library and Museum di New York, dall’altra a Palazzo Corsini, sede della romana Accademia dei Lincei. Il catalogo romano fa dunque parte di una triade (Rara Herbaria; Seeds of Knowledge; Spiegel der Natur, tutti editi da Silvana Editoriale), che ha comportato un lavoro redazionale immenso per la realizzazione di circa 1.500 pagine.
Il sostegno totale da parte di un collezionista illuminato, la straordinaria qualità dei libri esposti (sia quelli privati, che quelli della Corsiniana e della Morgan) nonché la collaborazione esemplare con le varie istituzioni ha reso possibile un’opera che tutti concordano nel definire fuori dal comune.
Innumerevoli sono state le sfide tecniche, per esempio la difficoltà di scontornare più di 700 dettagli, la ricerca di una carta speciale (in cotone) vicina allo spirito degli albori di un’epoca in cui nacque il libro stampato, il lavoro parallelo alle edizioni nelle varie lingue, e, non da ultima, la classica difficoltà (indipendente dal tema) di presentare nello spazio di poche pagine edizioni originali estese particolarmente ricche sul piano estetico e su quello grafico.
Sul versante più strettamente intellettuale e accademico, il problema maggiore è stato quello di coordinare un team di specialisti internazionali, che dovevano fornire delle schede sostanziali, facilmente fruibili, e omogenee al progetto d’insieme.
Come all’alba del libro stampato, abbiamo fruito della complicità e della piena collaborazione di varie figure professionali entusiaste del progetto: un editore specializzato nei cataloghi di altissima qualità, grafici internazionali che hanno collaborato direttamente con lo stampatore, un collezionista che ha partecipato attivamente alla concezione del catalogo, e così via.
Lei scrive che “gli erbari in senso stretto non devono essere considerati soltanto un fenomeno antiquario o addirittura superato. Al contrario, ci riguardano ancora oggi: se rispetto alla natura siamo in grado di pensare e giudicare nei termini in cui lo facciamo ora, è perché questi libri hanno plasmato, tra le altre cose, il modo in cui approcciamo la natura stessa“. Può aiutarci a capire meglio questo aspetto, come hanno influito gli erbari nel nostro approccio verso la natura?
Per comprendere l’importanza fondamentale degli erbari basta vedere quante discipline accademiche se ne interessino. Gli erbari sono una fonte chiave per la storia della medicina, per la storia della botanica (quest’ultima nasce infatti sulla base del lavoro documentato in tali pubblicazioni), per la storia dell’arte (svariati artisti di primo piano collaborano per rendere possibile questi libri), per lo studio della fase pionieristica del libro stampato (con l’erbario quattrocentesco nasce addirittura il libro in formato tascabile), per la storia delle idee e delle scienze.
Nel libro di piante rinascimentale si sedimentano le conoscenze dell’epoca e i grandi problemi interpretativi (per esempio quello della diversità della natura, dell’esistenza di un ordine divino che spieghi la varietà delle specie), ma anche le polemiche di una scienza medica fondata, da una parte, sulle conoscenze antiche (l’erbario è in verità un immenso intertesto che giunge dall’antichità classica) e dall’altra sull’approccio moderno, cioè empirico, alla natura.
L’erbolario – come viene chiamato all’epoca in Italia – è la punta dell’iceberg, lo strumento e la vetrina di un discorso scientifico in movimento perpetuo, confrontato a sfide enormi (per esempio l’afflusso esponenziale dal Nuovo Mondo di piante fino ad allora sconosciute) e basato sullo scambio permanente di informazioni.
Gli erbari hanno modificato concretamente l’interpretazione delle piante nella dimensione locale e in quella globale, collegando le rispettive conoscenze con la natura umana studiata dalla medicina.
Si è chiesto cosa dovesse provare un “lettore” coevo che si fosse trovato tra le mani uno di questi erbari?
La risposta è relativamente semplice: il primo lettore degli anni 1480-1500 era un medico o un farmacista, cioè uno specialista che comprava questi libri per utilizzarli anche sul terreno, nella sua pratica quotidiana.
Un lettore simile poteva essere deluso dalla qualità mediocre delle illustrazioni o essere in grado di apprezzare quelle che meglio ritraevano la pianta specifica. Visto che le start up dell’epoca (è proprio in quei tempi che l’editoria diventa un business importante) sfornano edizione dopo edizione, questi lettori seguivano con grande attenzione le novità e le commentavano in modo spesso critico.
Un altro tipo di lettore era rappresentato da persone che definiremmo oggi degli intellettuali eruditi, cioè da studiosi educati nello spirito degli “enciclopedisti” medioevali (come Vincent de Beauvais) e interessati alla qualità della trascrizione delle fonti classiche. Nasce, infine, con queste pubblicazioni anche un genere di libro che si allontana dalla letteratura scientifica e assume la forma del coffee table odierno, cioè del bel libro illustrato.
Insomma, da manuale medico o sussidiario per studenti il libro di piante diventa un florilegio prezioso.
Mi ha colpito il tentativo – riuscito – di dare profondità, spessore e corpo alle immagini inserite nel libro. Le chiedo un commento su questo aspetto.
Sin dall’inizio, cioè dagli anni 1480 in poi, i libri di piante sono illustrati, ciò che ha richiesto da subito l’elaborazione di una forma di dialogo tra testo e immagine. Intorno al 1530 grandi maestri (Hans Weiditz, David Kandel, ecc.) sono coinvolti nella parte illustrativa e trasformano da par loro i volumi in vere e proprie opere d’arte.
Le immagini hanno in queste pubblicazioni un linguaggio proprio, che va dalla resa stilizzata a una forma di iperrealismo. Non va dimenticato anche il fatto che il libro stampato a inchiostro nero (con, in alcuni casi, anche caratteri in rosso) era acquarellato.
Come per la generazione che ha vissuto il passaggio dalla televisione in bianco e nero alla TV a colori, gli estimatori d’allora contavano su quell’aggiunta essenziale che rendeva ogni esemplare, a suo modo, un oggetto unico.
Per quel che riguarda il nostro catalogo, il grande formato è stato d’aiuto perché ha permesso di far intravedere attraverso le riproduzioni la dimensione dei sontuosi originali (si vedano in particolare le pagine dedicate appunto a Harder e Besler). Non dimentichiamo inoltre che abbiamo potuto ricorrere all’arte del maestro di grafica Ewald Frick.
All’interno il lettore potrà trovare esempi estremamente raffinati: colpisce, ad esempio, l’erbario attribuito a Hieronymus Harder dove troviamo “l’assemblaggio di materiale essiccato come fiori, foglie o frutti, assieme ai disegni” realizzati a completamento delle immagini, una tipologia di rappresentazione che “aveva lo scopo di creare un «quadro verosimile della pianta intera»“. È corretto ritenere opere di questo genere tecnologicamente avanzate rispetto al periodo nel quale sono state realizzate?
Nel caso di Harder si tratta piuttosto di un oggetto di lusso realizzato per un pubblico aristocratico. Il progresso tecnologico precede questo particolare erbario; fu infatti il medico romagnolo Luca Ghini a inventare sia il giardino botanico, sia l’erbario nel senso stretto del termine, cioè un volume che conteneva immagini e descrizioni, nonché campionari di piante messi a confronto con l’archetipo rappresentato in chiave generale.
Peter Goop si augura, all’inizio del volume, che il pubblico giovane possa innamorarsi “del magico universo degli erbari e della natura” allora le chiedo, in conclusione, quale potrebbe essere l’approccio con il quale un giovane potrebbe avvicinarsi a Rara Herbaria?
Forse basta un po’ di curiosità. Aiuterebbe anche – e questa è un’idea cara a Peter Goop ma difficilmente realizzabile nell’ambito solenne degli spazi espositivi – la possibilità di compulsare concretamente i magnifici libri del passato.
Per fortuna i mezzi informatici odierni permettono un accesso indiretto ma quasi immediato a questi oggetti preziosi. Una mostra ben fatta fornisce spesso una narrazione-chiave che parla di sicuro anche a un pubblico giovane. Il momento attuale è comunque molto propizio a tutto quanto si ricollega alla Natura (lo noto da alcuni anni a questa parte nei miei studenti).
Il libro è stato, e lo è ancora, il punto di intersezione privilegiato tra l’Io e la Natura, e i volumi in mostra a Roma lo hanno dimostrato seducendo anche il pubblico più giovane.
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