“L’incoscienza di Zeman” di Matteo Madafferi: la storia di un ragazzo e del suo insolito amico immaginario

Scritto da il 6 Luglio 2022

 

 

Nel libro “L’incoscienza di Zeman” di Matteo Madafferi (edito da Alter Erebus Press & Label, con prefazioni di Gianluca Morozzi e Totò Schillaci) troviamo tutte le problematiche infantili e adolescenziali a cui va incontro un normalissimo bambino romano, trascurato dai genitori e con pochi amici.

Il suo amico immaginario nonchè maestro di vita Zdenek Zeman, con la mentalità spregiudicata e intraprendente che l’ha sempre contraddistinto, aiuta con preziosi consigli il giovane Furio ad affrontare la vita nel migliore dei modi.

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Perché hai scritto “L’incoscienza di Zeman”?

L’idea è nata quasi per caso. Stavamo parlando con degli amici dei problemi che hanno oggi gli adolescenti e i più piccoli, privi di veri maestri di vita e spesso lasciati liberi di girare su YouTube e TikTok in cerca di risposte.

Parlando tra il serio ed il faceto, sostenevo la necessità per ogni bambino di potersi relazionare con qualcuno che gli insegnasse i veri valori, che li spronasse ad osare, ma che al tempo stesso non gli inculcasse il principio della vittoria a tutti i costi. Uno appunto come Zeman.

A quel punto mi si è accesa una lampadina nella testa: perché non provare a immaginare cosa succederebbe se  un bambino cercasse delle risposte e Zeman fosse quella persona pronta a dargliele?

 

Com’è scaturita l’idea di personificare la coscienza di un ragazzino (successivamente cresciuto) nell’allenatore boemo?
 
Una volta deciso di scrivere il romanzo, che doveva essere chiaramente comico, ho pensato di dare un secondo livello di lettura al tutto.

Di solito faccio sempre così quando scrivo, provo a dare in pasto al lettore un racconto apparentemente facile e senza troppi giri di parole, ma sotto al velo di semplicità nascondo i concetti che veramente mi interessano.

In questo caso l’idea di base era quella di far credere che Zeman fosse solo un personaggio immaginario, un amico inventato dal protagonista per affrontare la troppa solitudine. Un giochetto semplice, divertente ed efficace. Questo era il “primo livello” di lettura del libro.

Ma il mio vero interesse era parlare della difficoltà di un bambino di emergere con la sua personalità in un mondo che lo aggredisce e lo omologa, per cui mi serviva far sbocciare questo bambino, trasformarlo da protagonista spaventato in eroe, anche se pur sempre comico.

Per farlo avevo bisogno che questo passaggio avvenisse in maniera autonoma, senza reali aiuti esterni. Non poteva essere il personaggio di Zeman quel Deus Ex Machina che permetteva al libro di risolversi al meglio. Avevo bisogno che fosse il protagonista a farcela con le sue forze.

Questo era il “livello nascosto” del libro,  il tema del conscio Vs subconscio, realtà Vs desideri personali, coscienza Vs incoscienza. Un livello che appunto doveva rimanere celato dietro alla storia “evidente”, e che quindi  non si svelasse chiaramente durante la lettura.

A quel punto mi sono chiesto “cosa posso usare come schermo per nascondere i miei veri intenti?” Beh, come spesso accade è più difficile notare una cosa nascosta se è messa in piena evidenza.

Per cui ho deciso di sdoppiare il ruolo del Vate: da una parte Zeman  era il mentore del giovane, il livello “evidente” della narrazione, ma leggendo più attentamente Zeman non era altro che una parte di quel rapporto duale che il protagonista viveva interiormente.

In questo modo avevo nascosto il secondo livello di lettura in maniera così evidente da essere perfettamente celato, raggiungendo entrambi i miei obiettivi.

 

 

Il parallelismo fra calcio e vita è evidenziato dalle numerose metafore calcistiche citate da “Zeman” nel libro. Rimanendo quindi in tema, in cosa a parer tuo si accomunano maggiormente questi due aspetti (calcio e vita)? 

Io credo che ad oggi la vita sia eccessivamente concentrata su degli obiettivi, sul risultato, e poco sul vissuto, sul “gioco”. La similitudine tra vita e calcio è secondo me perfetta per descrivere il mio pensiero.

Come nella vita ci concentriamo troppo su raggiungere degli obiettivi, spesso dimenticandoci il “come” vengano raggiunti, così nel calcio molti allenatori vogliono solo vincere, senza pensare al gioco.

Per questo Zeman è stato scelto come protagonista del libro. Per lui il calcio è innanzitutto divertimento e bel gioco, e i risultati sono secondari. E anche secondo me la vita dovrebbe essere goduta in ogni suo attimo, senza doversi ostinare in delle elucubrazioni machiavelliche.

Se dovessi pensare alla vita come ad una sfida ad obiettivi, dovremmo tutti quanti diventare youtuber, influencer, tiktoker. E renderemmo secoli di cultura, di scienza e di arte un triste ricordo.

Ogni persona dovrebbe impegnarsi nel rendere la sua passione un’opera d’arte, e non fare della sua passione un mezzo per la fama o la ricchezza.

Bisognerebbe tutti essere più Zemaniani, ovvero vivere la vita come il bel calcio, un “gioco” in cui divertirsi senza troppi pensieri, cercando di esprimere la propria passione al massimo.

 

I primi capitoli sono incentrati sull’infanzia di Furio, ragazzo in un primo momento timido e introverso. La sua evoluzione è ben riassunta anche dalla sua ascesa calcistica. Quanta importanza assegni allo sport per la crescita (sociale e caratteriale) di un ragazzo? 

Credo che lo sport, che qui ripeto è usato come grimaldello per creare una similitudine funzionale, sia molto importante nella vita dei giovani, soprattutto se insegnato correttamente.

Lo sport insegna innanzitutto ad accettare la sconfitta, cosa sempre meno facile da vivere con serenità; insegna a perfezionarsi, a conoscere i propri limiti e a sfidarli; insegna il rispetto per gli altri, il lavoro in team; permette la costruzione di rapporti funzionali tra le persone.

Insegna soprattutto a impegnarsi in qualcosa, ma che quel qualcosa è pur sempre un gioco, e che va preso come tale. È una palestra di vita, una realtà protetta dove il bambino può sperimentarsi, sfidarsi, sfidare gli altri, senza rischio.

Se lo sport è correttamente insegnato è il modo migliore per poter dare ad un ragazzo il modo per esprimersi e formarsi.

Quando feci boxe per un paio di anni, ricordo come molti ragazzi venissero in palestra per sfogarsi, per “tirare pugni”. Dopo un anno di boxe, con un ottimo allenatore, quei ragazzi erano drasticamente cambiati.

Per loro non era più uno sfogatoio, e neanche uno sport, era una disciplina, e il ring non era un luogo dove far male ad un’altra persona, ma un posto dove testare i propri miglioramenti. Rimasi stupito da quel cambiamento.

 

Foto Alberto Ramella / AGF

 

Nei primi capitoli dipingi un quadro abbastanza dettagliato dei genitori di Furio: padre patito di calcio, abbastanza spensierato, madre rigida e intransigente.  Il carattere inizialmente timido e introverso di Furio è determinato anche da questo? Più in generale, il carattere genitoriale influenza molto quello di un figlio?

I genitori di Furio sono innanzitutto degli stereotipi caricaturali realizzati in funzione della storia. Dovevano essere cane e gatto per poter generare un contesto comico, ma riflettono alcune dinamiche effettivamente esistenti.

Il carattere di Furio è influenzato dal modo di porsi dei genitori perché i ruoli degli stessi sono drammaticamente poco funzionali alla sua crescita.

La madre, che dovrebbe essere il “nido” sicuro in cui tornare ogni qual volta che le cose non vanno bene è in realtà l’opposto, e rappresenta il ruolo della società che ti vuole perfettamente a sua immagine e somiglianza e non perdona le tue differenze, le tue inclinazioni, etichettandole come debolezze.

Il padre invece rappresenta l’assenza dei “maestri”, quelle figure che permettono al giovane di affermare la propria identità senza sentirsi giudicato dal mondo esterno.

Anche qui due livelli di lettura, da una parte una famiglia non funzionale, ma che alla fine grazie allo stesso Furio trova una sua dimensione, dall’altra la società che prova ad opprimere l’espressività e l’individualità dei più giovani, grazie all’assenza dei “maestri”, ma che di fronte al carattere e alla volontà del singolo nulla può.

 

Nel Capitolo XII fai coincidere uno dei momenti di massimo appagamento di Furio con una delle sue più fragorose cadute (il tradimento). Ritieni che la troppa passione verso qualcosa possa indurre un individuo a trascurare aspetti più importanti e talvolta solo apparentemente scontati? 

Credo che innanzitutto senza gli errori non si possa realmente “imparare”. Furio tradisce Luana perché si concentra troppo su sé stesso, e non vede cosa gli succede attorno.

Mi ripeto nuovamente, ma anche qui ecco il duplice binario di lettura. Qui il tema nascosto è l’individualismo sfrenato presente all’interno della nostra società.

Oggi una delle reazioni più evidenti al modo di vivere proposto è la perdita di empatia e la nascita di derive narcisiste nelle persone.

I social sono l’evidenza di questo: foto profilo perfette; continui status dagli scarsi contenuti, quasi sempre autocelebrativi; poco interesse alla reale interazione, grande sforzo per ottenere il “like” che permette di sentirsi appagati.

Furio in quel capitolo ha bisogno di sentirsi appagato, ha bisogno di avere il “like” di Luana, ma non vede che dall’altra parte qualcosa non sta funzionando.

Il tradimento gli permetterà di capire che il mondo non ruota intorno a sè stesso e che amare non significa essere posto su un piedistallo.

 

Nei Capitoli XV e XVI fai subentrare nel libro un nuovo tema: il fato. Dopo esperienze per diversi motivi deludenti il protagonista incontra per due volte casualmente in una metropoli come Roma la prima ragazza, quella che più di tutte gli è rimasta nel cuore: Luana. Credi che esista un destino che condiziona il nostro futuro e, in caso di risposta affermativa, quanto è determinante nella nostra esistenza? 

Questa è una domanda difficile. Credo che la vita sia fatta di colpi di fortuna. Che poi questi colpi di fortuna siano scritti su una sorta di sceneggiatura celeste non posso saperlo. Ma è indubbio che ci siano delle “sliding doors” che indirizzano in un modo o nell’altro i nostri eventi.

Quando scrissi quei capitoli non ho voluto tanto parlare del tema fato, quanto del tema appunto delle scelte. Furio in quel momento deve scegliere tra andare da Luana e rimediare agli errori del passato, oppure lasciare perdere, arrendersi e farsi sconfiggere dalle sue stesse azioni.

In realtà qui Furio non affronta solo il tema della scelta, ma soprattutto quello del cambiamento interiore. In questo momento il protagonista è nel punto più tragico della sua sfida interna: accontentarsi di quello che gli offre la vita, o finalmente riprendere il controllo e vivere come vorrebbe. Ecco, il colpo di fortuna è essenziale e spesso decisivo, ma il nostro destino rimane spesso nelle nostre mani.

Come si dice: “se un treno passa, ed è quello giusto, bisogna prenderlo al volo, perché probabilmente non passerà più”.

 

L’autore 

Matteo Madafferi (foto M. Signoretti)

 

Matteo Madafferi è nato a Roma.

Fin da piccolo ha iniziato a camminare in equilibrio sul filo dei suoi pensieri, filo che spesso perde tra l’altro. Nella vita ha fatto il musicista, lo scrittore, il laureato, ma quando glielo chiedono prende una lunga boccata d’aria e risponde: “nella vita provo a fare me stesso”.

Come scrittore ha pubblicato nel 2016 “Benvenuta Cuba”, nel 2020 “L’incoscienza di Zeman” e “The Wind Cries Jimi”. Come musicista ha all’attivo più di cento concerti in Italia e in Europa, sei tra dischi ed Ep. Come se stesso ha fatto tante cose che manco ricorda più.

 

 

 


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