FSL – Intervista al Primario di Cardiologia Ospedali di Carpi e Mirandola Stefano Cappelli: “Fondamentale l’utilizzo della telemedicina. Attività fisica e corretta alimentazione importanti in questa fase”

Scritto da il 20 Dicembre 2020


di Redazione

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Qual è stato l’impatto della pandemia per quanto riguarda i pazienti cardiopatici?

In ambito cardiologico nella prima ondata della pandemia   tanti pazienti, condizionati dal timore per un possibile contagio, non si sono recati in ospedale mascherando e sottovalutando i sintomi che accusavano. Tutto questo ha prodotto, su scala nazionale, una riduzione dei ricoveri in ambito cardiologico di circa il 40-50%. Tale trend ha impattato negativamente sulla evoluzione della patologia stessa con un incremento contestuale della mortalità per cause cardiovascolari.  In questa seconda ondata i pazienti con sintomi cardiaci, consci della maggior sicurezza dei percorsi all’interno dei nosocomi e delle eventuali conseguenze legate alla mancanza di cure, si son rivolti regolarmente alle strutture ospedaliere. Un dato che abbiamo constatato localmente è quello relativo ad un significativo incremento dei ricoveri presso la nostra Unità Operativa nell’intervallo temporale “maggio-dicembre 2020“, per un numero di accessi risultato maggiore rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.

Si parla molto, giustamente, di coronavirus ma non dovremmo sottovalutare le altre malattie.

Restando nell’ambito delle malattie cardiovascolari, non bisogna mai sottovalutare i sintomi che possono derivare da un “problema” di cuore. La cardiopatia ischemica, come l’ICTUS, rientra nella fascia di patologie “tempo-dipendenti” in cui la tempestività di intervento gioca un ruolo fondamentale in termini di esiti e letalità. In una situazione pandemica come l’attuale risulta cruciale, dove ce ne siano le indicazioni, l’utilizzo della telemedicina come strumento a distanza per la cura dei pazienti (complesso di applicazioni della telematica alla medicina per diagnosi o terapie a distanza, ndr) supportata da una assistenza telefonica. Lo stesso dovrebbe valere all’interno degli ospedali tra un reparto e l’altro dove certi tipi di consulenze, non necessitando di una presenza al letto del paziente, possono essere effettuate telematicamente così da evitare una potenziale diffusione del contagio.

In un momento come questo c’è il rischio che parallelamente alla sedentarietà aumentino anche le patologie ad essa connesse?

Soprattutto in un momento di lockdown, seguendo tutte le regole del caso, è fondamentale non rinunciare ad una attività fisica quotidiana. Questo vale sia per chi ha già avuto problemi cardiaci e sia in un’ottica di    prevenzione cardiovascolare. Tutto ciò è stato avvalorato dalle ultime linee guida europee in materia dove l’impatto dell’attività fisica sulle malattie cardiovascolari è stato paragonato a quello che potrebbe avere un intervento farmacologico, ribadendo con forza che la sedentarietà ha effetti negativi proprio sul sistema cardiovascolare.

Anche l’alimentazione è importante…

Certamente e prendendo sempre come riferimento la dieta mediterranea, la quale si avvale di pasti leggeri e frequenti, utilizzando molta frutta, verdura, pesce, carni bianche, limitando il consumo di alcolici e variando gli alimenti assunti con frequenza regolare.

È vero che il Coronavirus può avere un impatto sul cuore?

Il coronavirus   ha avuto la stessa tipologia di impatto che possono avere altri virus influenzali sul cuore   andando ad agire, fortunatamente in rarissimi casi, sulle cellule muscolari cardiache e provocando processi infiammatori del muscolo stesso denominati “Miocarditi”. Ma al momento, è bene dirlo, non è stato dimostrato un aumento statisticamente significativo delle miocarditi se rapportato al contagio da Covid-19.

La ricerca avanza anche in ambito cardiologico: ci sono novità recenti in questo senso?

In questo momento le novità maggiori sono legate, in ambito farmacologico, ad una classe di molecole   destinate al trattamento dello scompenso cardiaco: per portarne un esempio, sono emersi risultati positivi nell’utilizzo di farmaci originariamente studiati per la cura del Diabete Mellito. Altro aspetto interessante nel settore interventistico, è quello relativo alla possibilità di effettuare “operazioni al cuore” senza ricorrere alla sternotomia (metodica denominata a “cielo aperto”). Andiamo verso una chirurgia sempre meno invasiva e sempre più sviluppata grazie all’utilizzo delle nanotecnologie che sino ad ora ha permesso di intervenire su “coronarie e valvole cardiache” utilizzando un esclusivo accesso vascolare. Rientrando in un contesto più generale, è doveroso continuare a promuovere assiduamente campagne comunicative che rimarchino l’importanza della prevenzione cardiovascolare come strumento necessario per ridurre la morbilità cardiovascolare.

In questa situazione è cambiata molto la vostra gestione del paziente?

L’iniziale calo degli accessi da parte dei pazienti e la sottovalutazione dei sintomi di cui parlavamo all’inizio, ha condizionato i percorsi diagnostici e terapeutici. Inoltre, abbiamo dovuto affrontare la gestione di soggetti con patologia cardiaca in atto che nello stesso momento avevano contratto il Covid. Questi pazienti non li abbiamo ricoverati in settori, sia pur dedicati, all’interno del reparto di cardiologia perché la promiscuità dei percorsi e la vicinanza con altri degenti avrebbero potuto generare una diffusione del contagio.   Tali degenti sono stati invece allocati in altri reparti “covid multidisciplinari” dotati di letti monitorizzati e dove i nostri cardiologi ne hanno garantito la presa in carico. In uno scenario generale come quello descritto, non è da sottovalutare quanto i fattori psicologici abbiano inciso negativamente sui soggetti cardiopatici.

Il lavoro del medico dopo questa situazione sarà più o meno attrattivo per i giovani?

Dopo la prima ondata c’è stata molta enfasi ed empatia verso l’emergenza sanitaria, fattori che hanno rimarcato quanto sia importante l’attività svolta da medici, infermieri e addetti ai lavori. Ma in questa seconda fase ho l’impressione che le motivazioni siano cambiate: siamo tutti quanti consapevoli di come lo stress avvolga il personale che lavora quotidianamente in condizioni di grande difficoltà, motivo per cui non so se e in che modo alla fine di questa pandemia le scelte dei giovani siano orientate verso una carriera in ambito sanitario.

 


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