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Vangelo della domenica, la riflessione del Vescovo Francesco Cavina: “Il destino dell’uomo è più grande del mondo stesso”

Scritto da il 24 Maggio 2020

La riflessione al Vangelo di domenica 24 maggio 2020 di monsignor Francesco Cavina*:

“La solennità dell’Ascensione del Signore al cielo celebra la glorificazione perfetta dell’umanità di Cristo presso Dio, a compimento del suo mistero pasquale. Le letture della Santa Messa per aiutarci a comprendere l’evento utilizzano delle immagini prese in prestito dall’Antico Testamento. Il Credo le sintetizza in questa densa formulazione: “E’ salito al cielo dove siede alla destra di Dio Padre”. La sera prima della sua morte, Gesù aveva rivolto al Padre questa preghiera: “Io ti ho glorificato sopra la terra, compiendo l’opera che mi hai dato da fare. E ora, Padre, glorificami davanti a te, con quella gloria che avevo presso di te prima che il mondo fosse” (Gv 17,4). La preghiera di quella sera è stata pienamente esaudita proprio nel giorno dell’Ascensione.

I pittori hanno raffigurato l’Ascensione di Cristo come una elevazione verso l’alto, perché nell’immaginario collettivo Dio risiede nel cielo, mentre l’inferno è collocato giù, in basso. In realtà, non sappiamo come sono andate le cose, tuttavia la Sacra Scrittura ci offre alcune indicazioni che ci aiutano a entrare nel significato di questo evento conclusivo della vicenda terrena di Gesù.

“Fu assunto”, dice il Credo della Messa, mentre la Scrittura afferma: “fu elevato in alto sotto i loro occhi” (At 1,2). Le due espressioni affermano la medesima cosa: l’azione di elevare “in alto” o “portare al cielo” l’umanità del Signore è un atto di Dio e ha comportato da parte di Cristo un movimento che ha interessato tutta la sua persona e con il quale si è voluto significare il suo ritorno glorioso presso il Padre. Il Verbo è uscito dal Padre, cioè dal santuario della divinità, e con la incarnazione nel grembo della Vergine Maria si è immerso nella storia dell’umanità. Dopo avere portato a termine l’opera che il Padre gli ha dato di compiere, ritorna al Padre suo, perché pur avendo assunto la nostra natura umana, non ha smesso di essere il Figlio Unigenito di Dio. Per questo, ora, è coronato di gloria e di onore (cfr Ebr 2,9) e glorificato al di sopra di ogni creatura.

Ma dove si trova Gesù dopo la sua Ascensione? “Alla destra del Padre”, proclamiamo nella professione di fede. Lo aveva già anticipato Gesù stesso al Sinedrio, durante il suo processo: “Vedrete il Figlio dell’uomo seduto alla destra della Potenza e venire con le nubi del cielo” (Mc 14,62). San Luca a sua volta scrive: “Il Figlio dell’uomo sederà alla destra della potenza di Dio”. E in effetti, così è visto anche dal primo martire, il diacono Stefano, al momento della sua morte: “Io contemplo i cieli aperti e il Figlio dell’uomo che sta alla destra di Dio” (At 7,56). E’ evidente che l’espressione “destra del Padre” è immaginosa e La Chiesa la utilizza per venire incontro alle nostre esigenze di comprensione, perché in Dio non c’è né destra né sinistra. Essa sta ad indicare la dignità più alta, dopo quella di Dio. L’immagine usata nel Credo, dunque, serve per aiutarci a comprendere che Gesù è entrato nella gloria di Dio proprio in quanto vero uomo e ora vive nella suprema beatitudine, dove è giustizia, pace e gioia, e ha ricevuto dal Padre “ogni potere in cielo e in terra”.

Se il Capo della Chiesa è già in cielo, le membra del suo corpo mistico lo seguiranno nella medesima gloria. L’Ascensione del Salvatore, allora, non ci permette dubbi sul nostro destino. Noi cristiani siamo fatti per raggiungere Gesù. Il destino dell’uomo, pertanto, è più grande del mondo stesso, il quale secondo la Parola del Signore, è destinato alla dissoluzione. La nostra patria, invece, è nel cielo, dove si trova già Cristo. Dopo la morte, allora, cosa ci attende? Ci sarà l’annientamento totale, come dicono gli atei, o la diluizione in un grande Tutto impersonale al quale aspirano i buddisti? La risposta della fede è più profonda: noi siamo fatti per la gioia piena ed eterna. La nostra glorificazione personale non è ancora pienamente realizzata, ma Cristo è la nostra caparra, in Lui noi abbiamo già messo piede nel Regno di Dio.

Nei misteri della vita di Cristo si unificano terra e cielo, uomo e Dio, aldiquà e aldilà. Non esiste nella letteratura mondiale, anche in quella religiosa, nulla che sia paragonabile anche solo da lontano alle parole di Gesù e a quelle che la liturgia offre alla nostra meditazione. Esse hanno una forza ed una capacità di penetrazione nel cuore umano da costituire un antidoto efficace contro la rovina dell’uomo. Inoltre, sono una proclamazione della grandezza dell’uomo perché ci dicono che l’altezza che sola corrisponde alla sua misura è l’altezza di Dio stesso.”

*Vescovo Emerito di Carpi