Stragi negli Stati Uniti: le armi da fuoco, il bullismo e la cultura della violenza

Scritto da il 5 Giugno 2022

Riportiamo di seguito l’analisi dello psicoterapeuta Ezio Pellicano, già ospite del sito di Radio 5.9 in varie occasioni, che ha approfondito il tema delle stragi negli Stati Uniti a seguito dei tragici fatti della scuola elementare di Uvalde in Texas:

Il numero di incidenti o massacri legati alle armi da fuoco nelle scuole degli Stati Uniti è in continua crescita. Dal 2012, quando Adam Lanza uccise 20 persone (bambini di 7 anni e i loro insegnanti), si contano 239 stragi nelle scuole. Più precisamente, si parla di 438 persone rimaste ferite e 138 morti negli ultimi 6 anni.

Non è mai facile commentare episodi del genere, specialmente quando sembra già tutto detto ed ovvio. Lunga è la lista che negli ultimi anni ha visto la scuola trasformarsi da luogo di crescita e socializzazione a teatro perfetto per una mattanza… allora mi domando, perché non si trova una soluzione per evitare tutto ciò? Ma soprattutto perché è cosi difficile trovarla?

Cercando di non fare la fine dello stolto che guarda il dito mentre il saggio indica la luna, ho provato ad analizzare questo fenomeno non da un punto di vista unidirezionale, killer/vittima o cultura/armi, che ritengo esaustivo ma non definitivo… ma da un punto di vista multifattoriale, ossia mi sono chiesto quali sono i fattori che possono contribuire a creare un mix esplosivo?

E soprattutto, per quanto mi è possibile comprendere, qual’è la criticità che “non si vuole” vedere creando cosi l’escalation di eventi che ben conosciamo? Chiedendovi di andare oltre l’emozione del momento (rabbia, frustrazione,paura) che può , e mi può, condizionare ad avere una visione ridotta, voglio che vi concentriate su 3 domande; chi? Perché? Dove?

 

Chi?

La foto di Salvador Ramos tratta dai social (foto ZUMAPRESS.com / AGF)

 

Il Killer: è mio dovere clinico ed etico dare voce al movente di questa tragedia, che non è riconducibile al folle odio razziale di un suprematista bianco, ma al dolore inascoltato di un ragazzo vittima di bullismo. Gli studi eseguiti per delineare il profilo psicologico di questi giovani criminali, riportano  come:

  • solo nel 5% dei casi l’assassino è affetto da disturbo mentale, generalmente schizofreina.
  • Nel 95 % dei casi nei profili si osservano altri fattori scatenanti, come abuso fisico o psicologico, abbandono familiare, precedenti penali in famiglia.
  • Nel 100% dei casi esiste un marcato interesse per le armi da fuoco, manifestato ai compagni tramite i social network
  • Gli attacchi sono minuziosamente premeditati. Non sono azioni casuali né il risultato di un momento di alienazione mentale.
  • L’80% dei killer ha subito episodi di bullismo scolastico. Hanno alle spalle un passato di maltrattamenti, persecuzione e abuso emotivo generato dall’ambiente scolastico.
  • Un’alta percentuale di assassini proviene da famiglie destrutturate, per cui uno dei due genitori ha precedenti penali.
  • La violenza nei giovani e nei bambini non è casuale o repentina. In realtà, è un processo complesso e lento, ma di grande impatto che si sviluppa nella loro mente.
  • Gli stimoli di carattere violento, insieme allo stress ambientale e ai pensieri distorti, tendono a edificare nella persona un’armatura mentale disumanizzata. Questa freddezza emotiva porta la persona a vedere il massacro come una via di fuga gratificante e giustificabile.

Ma chi è  Salvador Ramos? È l’ennesimo esempio che ci mostra cosa succede se la vergogna di sé diventa aggressività.

Nato 18 anni fa in Nord Dakota, Salvador si è trasferito con la mamma a Uvalde, località ad un’ora di auto dal confine messicano ,preso in giro a scuola per le sue condizioni economiche, per il modo in cui si vestiva e soprattutto per la balbuzie.

Un bullismo incessante, iniziato alle medie e proseguito con la derisione sulle tendenze sessuali.  Era il classico adolescente considerato “strano” che vive ai margini e che passava gli sporadici momenti di socializzazione con gli amici giocando ai videogiochi.

Il suo profilo TikTok  si presenta con la frase “i ragazzi devono essere spaventati nella vita reale”. Assisteva a frequenti liti tra le pareti domestiche, la madre – sembra con guai legati agli stupefacenti – lo rimproverava perché non studiava, minacciava di cacciarlo.

Scontri che avevano richiesto l’intervento della polizia, beghe che lo hanno spinto a trasferirsi dalla nonna… poi uccisa. E dulcis in fundo, presentava un morboso interesse per le armi da fuoco a tal punto da manifestare il desiderio di arruolarsi nei Marines per “poter uccidere”. Eric Harrys e Dylan Klebold, autori della strage di Columbine nel 1999 dicevano “le bocche da fuoco sono lo strumento per eseguire la vendetta, per portare avanti la rivoluzione”.

Ed allora mi chiedo, un ragazzo che presentava tutte queste problematiche, che rientrava perfettamente nel profilo del potenziale autore di un mass murderer (omicidio di massa: odio e frustrazione rivolte verso un gruppo collegato ad una istituzione, generalmente si risolve con il suicidio o con la morte a causa delle forze dell’ordine), che manifestava apertamente la sua tendenza sui social… com’è passato inosservato?

È indubbio che le comunicazioni via social di Ramos, considerate nel loro complesso non in grado di dimostrare in modo incontrovertibile l’intento criminoso, lasciavano comunque trasparire dei propositi che sarebbe stato opportuno prendere in esame, possibile che non esista  nessun organo di controllo che si occupi di riconoscere e prevenire determinati segnali sui social?

Possibile che un profilo del genere non sia stato segnalato ai servizi di competenza? Possibile che per ciò che legifera il porto d’armi non ci siano, anche in questo caso, controlli che facciano da filtro ma  soprattutto nessuno si chiede “che mano armiamo?”.

Queste domande mi portano ad una sola conclusione: la cultura della violenza genera la violenza stessa. È questo il vero problema oltre al fallimento delle istituzioni educative ,sociali e di controllo.

Dove?

26 maggio 2022, Uvalde, dopo la strage nella scuola elementare Robb, che conta 19 vittime, molti cittadini hanno portato fiori e palloncini per ricordare i bambini uccisi e le due insegnanti (foto ZUMAPRESS.com / AGF) 

 

Il Texas è uno degli Stati con le leggi sulle armi più permissive degli Stati Uniti.

Nel 2021, il governatore repubblicano Greg Abbott, ha firmato una legge che ha eliminato l’obbligo per i texani di ottenere una licenza di porto d’armi, consentendo praticamente a chiunque abbia più di 21 anni di portare sempre un’arma con sé.

Tra l’altro diverse ricerche hanno dimostrato come gli adolescenti  non hanno la maturità necessaria per usare “responsabilmente” armi da fuoco. Sebbene il cervello di un diciottenne sia simile a quello di un adulto maturo, i processi cognitivi chiave, come il controllo degli impulsi che influenzano la capacità di utilizzare armi da fuoco, continua a svilupparsi fino ai 26 anni.

L’apice di questo no sense, si raggiunge con la  proposta di un  Senatore Americano che afferma “ la soluzione alle sparatorie è molto semplice: armare uomini buoni per tenere a bada i ragazzi problematici che vogliono fare del male ai loro compagni”.

In realtà, dare armi a (presunti) “uomini buoni” non farebbe altro che alimentare il circolo di violenza a dimostrazione che ricorrere alle armi è il modo migliore per risolvere un conflitto.

Tralasciando i dati che dimostrano quanti Americani posseggono un’arma, con quanta facilità possono procurarsela e quanto la legge tuteli l’abuso d’armi… mi concentrerei maggiormente sulla motivazione nel possedere un’arma.

Una delle principali è il “diritto a difendersi”( tutelato dalla costituzione), molti padri armano le mani dei propri figli, è solo per insegnare loro a proteggersi? Non esistono altri modi per proteggere i ragazzi? Ma proteggere da cosa o da chi?… Da un altro ragazzo armato perchè suo padre gli aveva insegnato come proteggersi ed affrontare un conflitto… con una terza persona, una comunità o il mondo intero?

Come viene vissuto il mondo da queste famiglie se il primo passo per entrarvi è quello di farlo armati?  Non nascondiamoci dietro un dito, si insegna ad “essere forti” a creare un ‘identità forte”, a concretizzare una forza materiale imposta. Chi possiede un’arma stabilisce una diseguaglianza tra se (armato/forte/pericoloso) e l’altro(disarmato/debole/vittima).

Ma la violenza non è il linguaggio del forte è il linguaggio del debole, di chi è incapace di ascoltare l’altro. Questa illusione di potere allontana dalla realtà e crea una distanza abissale a rischio di divenire una condizione di abuso. Una distanza che permette di uccidere. Ma il “dove” della nostra ricerca ci porta ad esaminare un altro luogo, ossia la scuola.

Tutti i killer, hanno portato le armi a scuola, il luogo dove avevano costruito parte di se stessi ma anche dove si sentivano attaccati, vittime del mondo che non li riteneva all’altezza perchè indifesi (disarmati), dove hanno maturato un conflitto che dovevano gestire cercando di recuperare una posizione di forza.

 

Perché?

26 maggio 2022, New York, Time Square, marcia contro l’uso indiscriminato delle armi, alcuni partecipanti hanno sfilato mostrando le foto delle piccole vittime della strage nella scuola in Texas (ZUMAPRESS.com / AGF) 

 

A questo punto vorrei lasciare a voi le personali conclusioni, invitandovi come detto in precedenza a non limitarsi alla visione condizionata dall’emozione che provate in merito alla vicenda.

Cercate di giungere ad una conclusione, consapevoli che essendo la più logica non sarà mai quella riconosciuta da chi di competenza, guidato non dal buon senso ma da altre componenti che sfuggono alla nostra comprensione.

Ponetevi dal punto di vista del Killer (nessuno vi chiede di giustificarlo) e chiedetevi nasce killer o a sua volta e vittima del fallimento delle istituzioni che dovrebbero tutelarlo, di una cultura educativa che tramite la paura educa ad essere più forte ed a gestire i conflitti con la violenza? L’aggressività espressa in forma violenta è collegata indissolubilmente alla “cultura” che si respira ed alle esperienze che si fanno aumentando o diminuendo in base al contesto.

Non si tratta solo di discutere sulla necessità di vietare, regolare o meno l’uso delle armi, che di per sé è già una questione importante. Cosi come non si può ridurre al “pazzo “ di turno le difficoltà di un ragazzo problematico che urla il suo dolore.

Ma si può uccidere il dolore? Direi di no, visto che solitamente dopo aver causato la morte altrui, i ragazzi che uccidono, uccidono anche sé stessi. Era davvero l’unica possibilità di farsi sentire quella di sparare? O forse era l’unico linguaggio pensabile perché riconosciuto da tutti come “vincente”?

Bisogna anche capire quali motivi spingono i giovani a ricorrere alle armi d’assalto per canalizzare la loro ira o i loro problemi.

La giusta prospettiva, da cui partire per trovare una soluzione che limiti il più possibile questi eventi, è una commistione tra criticità individuali, criticità educative ,sociali e legislative.

Se nulla si può fare nel discorso che riguarda le lobby delle armi, forse qualche cosa possiamo fare nella tutela dei “ragazzi problematici” che cresciuti in un contesto educativo dove la violenza  è il comportamento “forte” per risolvere un conflitto, trovano giovamento nella semplicità(malafede) con cui si legifera l’uso delle armi.

La cultura della violenza alimenta la violenza stessa. Ed è questo il vero problema.

 

26 maggio 2022, Uvalde, dopo la strage nella scuola elementare Robb, che conta 19 vittime, molti cittadini hanno portato fiori e palloncini per ricordare i bambini uccisi e le due insegnanti (foto ZUMAPRESS.com / AGF) 

 


Ezio Pellicano

Ezio Pellicano

 

Ezio Pellicano è psicoterapeuta specializzato nell’indirizzo Cognitivo-Comportamentale, iscritto all’Ordine degli Psicologi del Lazio dal 2003 (nr. 12449), svolge la professione presso studio privato a Colleferro in Provincia di Roma.

Rivolge il suo intervento al trattamento individuale di giovani e adulti su tematiche quali ansia, panico, depressione, dipendenze, fobie e disturbi del comportamento alimentare.

 


 

 

 


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