Rewind – Un esordio da Dieci per i Pearl Jam
Scritto da Nicola Morgan Sgarbi il 30 Gennaio 2022
Ascolta “Un esordio da Dieci per i Pearl Jam” su Spreaker.
Rewind Episodio 6 – Se in musica vuoi parlare degli anni Novanta presto o tardi un salto a Seattle lo devi fare: la sua scena, proprio in quel periodo, si rivelerà una delle più fertili del panorama mondiale, producendo gruppi che mescoleranno influenze eterogenee in quello che ancora oggi è un genere musicale oggetto di discussione, ossia il grunge.
Grunge
Un termine di comodo con cui sono stati catalogati gruppi nettamente diversi tra loro dal punto di vista musicale, ma tutti provenienti dalla stessa città, oppure un termine che segna una spaccatura piuttosto evidente con il rock degli anni Ottanta, sfociato nell’hair metal?
All’interno dello stesso movimento risulta comunque complesso trovare una linea comune fra le sue derivazioni: c’è quello di ispirazione heavy metal con gli Alice in Chains, quello che trova ispirazione dal punk rock con i Nirvana, quello che unisce le influenze dei due generi sopracitati con i Soundgarden e quello ispirato al rock tradizionale degli anni Settanta con i Pearl Jam.
Anche se all’inizio si fecero conoscere come Mookie Blaylock…
Gli anni Ottanta
Siamo circa a metà degli anni Ottanta ed in pochi si filavano i Soundgarden e i Green River due dei primi gruppi all’interno dello scenario grunge.
In fin dei conti erano band che incidevano per una piccola etichetta di nicchia, si direbbe oggi. Quando i Green River si sciolsero, Mark Arm e Steve Turner, voce e chitarra, andarono a fondare i Mudhoney, mentre gli altri due, Stone Gossard e Jeff Ament, chitarra e basso, formarono i Mother Love Bone, gruppo che cominciò ad attirare l’attenzione su di sé, tanto da firmare con la Polygram Records.
Ma il loro cantante Andrew Wood morì di overdose nel 1990: Gossard ed Ament decisero così di sciogliere il gruppo.
Dopo alcuni mesi, Gossard iniziò a suonare con un nuovo chitarrista, Mike McCready e proprio quest’ultimo lo incoraggiò a riallacciare i rapporti con Ament, dal quale si era distaccato dopo la fine dei Mother Love Bone.
Jack Irons
I tre iniziarono a suonare insieme e registrarono una demo di cinque canzoni, che consegnarono all’ex batterista dei Red Hot Chili Peppers, Jack Irons, affinché li aiutasse a trovare un cantante ed un batterista.
Irons inviò quindi il nastro a un suo vecchio amico, Eddie Vedder, all’epoca benzinaio a San Diego e cantante di un gruppo chiamato Bad Radio. Vedder sentì il nastro e scrisse dei testi per tre delle cinque canzoni, che poi diventeranno le più famose “Alive”, “Once” e “Footsteps”, li aggiunse alle tracce strumentali e li inviò nuovamente a Seattle.
Nel giro di una settimana Vedder divenne il cantante del gruppo: con l’aggiunta del batterista Dave Krusen la formazione era ormai completa.
Prima di scegliere il nome attuale, si chiamarono Mookie Blaylock, in onore dell’omonimo giocatore dell’NBA, al quale renderanno comunque omaggio scegliendo di chiamare l’album Ten (ossia “dieci”) proprio come il suo numero di maglia.
Molto presto il gruppo fu notato dalla Epic Records, che li assoldò facendo loro cambiare nome per motivi commerciali.
Il 10 marzo 1991, grazie a una stazione radiofonica di Seattle, Ament e Vedder annunciarono il nuovo nome del gruppo: “Pearl Jam”. In una delle prime interviste promozionali della band, il frontman dichiarò che il nome derivava da quello della nonna, Pearl, che conosceva la ricetta per una marmellata (in inglese “jam”) fatta con peyote.
Il gruppo entrò così nei London Bridge Studios di Seattle nel marzo del 1991 con il produttore Rick Parashar per registrare l’album di debutto: Gossard ed Ament gli chiesero di coprodurre “Ten” dopo aver lavorato con lui per le registrazioni dell’album del super gruppo chiamato Temple of the Dog.
Parashar contribuì suonando anche pianoforte, organo e percussioni. Alcune tracce erano state registrate in precedenza nel mese di gennaio, ma di quelle sessioni fu utilizzata soltanto Alive.
Le registrazioni dell’album si svolsero rapidamente e richiesero solo un mese.
Il disco fu pubblicato il 27 agosto 1991: raggiunse la seconda posizione nella classifica di Billboard ed ottenne un disco d’oro; rimase in classifica per oltre due anni, divenendo uno dei maggiori album venduti nella storia del rock e ottenendo dodici dischi di platino.
Il sound di “Ten” è granitico e lontano mille miglia da ogni moda. Con il passare del tempo la band maturerà, ma non raggiungerà più le vette di passionalità e potenza dell’esordio: è un’esplosione di rock, chitarre, ritmo, psichedelia, rabbia musicale e lirica.
A colpire le giovani generazioni è la sincerità dell’opera, che pesca a piene mani nel passato dei membri della band, soprattutto in quello del cantante Eddie Vedder, principale autore dei testi, i quali trattano tematiche come la depressione, il suicidio, la solitudine e l’omicidio.
Le canzoni affrontano anche questioni sociali come il problema dei senzatetto in Even Flow e l’uso degli ospedali psichiatrici in Why Go. Sebbene Ten tratti di tematiche decisamente cupe, l’album è stato generalmente visto come il catalizzatore che ha aperto le porte al rock alternativo negli anni Novanta, grazie alla voce insolitamente profonda e poi molto imitata di Vedder, che si alterna alle vibranti e sfrenate sonorità hard rock: le canzoni dell’album fondono tra loro i potenti riff dell’arena rock degli anni Settanta in puro stile Led Zeppelin con la durezza e la rabbia del post-punk degli anni Ottanta, senza mai trascurare melodie e cori.
Ogni traccia dell’album è lo spaccato, spesso tragico e amaro, delle vite di diversi personaggi. “Once” è il feroce incipit dell’album ed il flusso di coscienza di un serial killer, una delle tre canzoni che fa parte della cosiddetta “Mamasan Trilogy”: Vedder ha rivelato che i tre testi raccontano la storia di un giovane il cui padre muore (Alive), causandogli una follia omicida (Once) che porta alla sua cattura ed esecuzione (Footsteps).
“Even Flow” è un brano dal trascinante animo rock, che si concede una parentesi psichedelica nella parte centrale, prima del terzo brano ossia “Alive”: una lunga ed epica cavalcata rock, che ruota attorno ad un immortale giro di chitarra per poi lanciarsi nel finale in una jam che pare non finire mai, dove l’assolo di chitarra di McReady, che riporta alla mente “Free Bird” dei Lynyrd Skynyrd, è stato eseguito in un’unica take.
Il graffiante blues di “Why Go” sembra quasi stonare con la successiva “Black”: una splendida ballata, la storia di un amore finito, “sfumato nel nero”, che si lascia andare a un lungo, psichedelico finale, in cui emerge anche un pianoforte, l’incipit perfetto per lanciare “Jeremy”, l’altro singolo che ha dato fama internazionale al gruppo, grazie anche al bel videoclip di Mark Pellington, un’altra ballata dolente ispirata a un vero fatto di cronaca.
“Oceans”, contraddistinta da fragorose chitarre acustiche e da un ritmo animalesco, ricorda molto gli Zeppelin del terzo album, anche se nella parte finale Vedder si concede un falsetto nello stile di Bono. “Porch” e “Deep” sono i brani che si distaccano dal tipico sound del gruppo: se la prima si avvicina al punk, anche se nel ritornello torna a essere melodica ed epica in stile Pearl Jam, la seconda invece tenta un’incursione nel territorio metal, più consono, forse, agli Alice In Chains.
Molto psichedelica anche “Garden”, ricca di riferimenti religiosi, ma comunque distante dalle vette del disco, un po’ come tutta la seconda parte dell’album, per finire con “Release”: un brano d’atmosfera e molto lento, una struggente preghiera di Vedder al padre scomparso, che si trasforma poi in un’epica cavalcata alla U2.
Ten è uno degli album più amati e importanti dell’intera scena grunge che ha aperto le porte del circuito mainstream a decine di altri gruppi, mentre i Pearl Jam sono diventati una delle più grandi rock band degli ultimi anni e, al contrario di tanti loro colleghi, sono ancora in circolazione: con spirito cavalleresco degno d’altri tempi, continuano a raccontare le loro storie di comuni tragedie americane, forse senza la potenza degli esordi, ma sempre con invidiabile passione.
Rewind
“Rewind” è un appuntamento mensile con gli album che hanno fatto la storia della musica: un viaggio attraverso gli anni alla ricerca di quelle pietre miliari che tanto hanno saputo cambiare lo scenario musicale, scolpendo in modo indelebile la figura di un artista o di una band nell’immaginario culturale, consacrandoli per sempre a miti della musica.
Nicola “Morgan” Sgarbi classe ‘92, da sempre appassionato di tutto ciò che è nerd e musica, decide di fare diventare questa passione il suo lavoro.
Dal 2014 è docente di chitarra elettrica, acustica, musica d’insieme e propedeutica musicale presso la Fondazione Scuola di Musica “Carlo e Guglielmo Andreoli” di Mirandola, nonché co-organizzatore del concorso musicale “Mirandola Rock” e uno dei coordinatori del progetto “A scuola di Rock” della Fondazione stessa.
Ha suonato in svariati gruppi e formazioni musicali nel corso della sua adolescenza. Al momento suona come chitarrista nei seguenti progetti:
- “Coro Moderno Mousiké” della Fondazione “Andreoli”
- quartetto acustico “Pull Lovers”
- duo acustico “MorgAnn”
- “Pahann” progetto solista in cui è arrangiatore e produttore assieme a Cam Alchemy
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