“Libri. Non danno la felicità (tanto meno a chi non li legge)”: il brillante pamphlet di Luigi Mascheroni contro la retorica sui libri

Scritto da il 31 Maggio 2021

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Nella puntata di “Con l’autore” di questa settimana parliamo di “Libri. Non danno la felicità (tanto meno a chi non li legge)” scritto dal giornalista Luigi Mascheroni che, con una piacevole capacità di sintesi, ci aiuta a riflettere sull’oggetto libro portando la discussione su un piano meno ideale e più pragmatico.

Esistono libri buoni e libri cattivi o, per meglio dire, inutili. I cattivi libri si possono buttare. Alcune serie tv o videogiochi hanno spesso capacità narrative maggiori di tanti romanzi contemporanei e, per favore, risparmiateci la retorica delle librerie “farmacie dello spirito“. Sono questi alcuni dei punti toccati dall’autore che, in modo tagliente e ironico, porta finalmente una visione diversa sul tema.

Mascheroni ama davvero i libri, lettore appassionato e critico mai banale, possiede circa 25mila volumi; in oltre vent’anni si è occupato di cultura per alcuni dei principali giornali italiani e oggi è editorialista de Il Giornale.

Togliere ai libri quell’aura sacrale che spesso, immotivatamente, li circonda, per avvicinare nuovi lettori; saper distinguere tra buone opere e opere inutili. Mascheroni ci aiuta a riflettere e lo fa molto bene: in fondo la Giornata Mondiale del Libro “per gli alberi è lutto nazionale“, facciamo almeno in modo che il loro sacrificio sia valso una buona lettura…

L’intervista

Come nasce questo libro?

Lavoro  da tanto nel mondo dei libri, da quasi venticinque anni faccio il giornalista culturale, da sempre sono un lettore e accumulatore seriale di libri e da qualche anno anche piccolo editore, posso dire che i libri sono veramente il mio mondo, una delle poche cose che credo di saper maneggiare.

Mi sono accorto che a volte l’oggetto libro è sovraccaricato di responsabilità che forse nemmeno si merita. Attorno al libro si è creata tanta retorica, talvolta stucchevole. Così ho provato, attraverso questo pamphlet, in modo provocatorio, a sfatare qualche luogo comune cercando di dare la mia visione delle cose.

Durante il lockdown stupiva e faceva anche un po’ arrabbiare sentire la richiesta di riapertura delle librerie da gente che, sono pronto a mettere la mano sul fuoco, in libreria non ci è mai entrata (così come nei teatri e nei musei). Quando poi ho sentito l’espressione applicata alle librerie di “farmacie dello spirito” non ci ho visto più: va bene tutto ma almeno questa ce la potevate risparmiare! Così con un po’ di rabbia e ironia ho deciso di scrivere per mettere in chiaro alcune cose, anche a me stesso. 

Desacralizzare anche per avvicinare quel lettore che oggi potrebbe sentirsi “intimorito” dall’oggetto libro…

Parto da un altro punto di vista: non c’è nulla di meno efficacie che ripetere ai nostri figli o amici frasi del tipo “metti via il telefono e leggi qualcosa” oppure “basta giocare ai videogiochi, leggi che ti fa bene”. Sono tutte espressioni che non servono a nulla, come se leggere fosse qualcosa di migliore, anche da un punto di vista morale, rispetto a mille altre attività. Il vero punto è cosa si legge.

La lettura è una di quelle attività che dovrebbe essere quasi istintiva, soprattutto deve passare l’idea di come il concetto di “leggi perché fa bene” sia sbagliato. Dei  tantissimi libri che mi capitano tra le mani nove sui dieci sono libri inutili.

Se a un bambino piace la magia avrebbe senso chiedergli “perché non leggiamo un libro di racconti fantastici di Landolfi” oppure se fosse affascinato dalla fantascienza potremmo dirgli “ti consiglio di leggere queste pagine di Ray Bradbury” o, ancora, se fosse appassionato di racconti di guerra potremmo suggerire le raccolte di Fruttero e Lucentini; insomma o si accompagna la lettura in questo modo, sapendo chi hai di fronte e consigliando in modo mirato, oppure è un’imposizione inutile.

La lettura è selezione, devo sapere cosa scegliere e cercare di formarmi per poter trovare tra molti libri inutili quello giusto.

Affermi che la capacità narrativa di certe serie tv o video giochi sia spesso molto superiore a certa letteratura…

Assolutamente, questo è verissimo. Non dico nulla di nuovo in questo caso, si tratta di un concetto sostenuto da molti critici e massmediologi. In modo un po’ provocatorio, sapendo di attirarmi anche l’antipatia di alcuni, affermo che vi siano serie tv la cui struttura narrativa, complessità, ricchezza linguistica e chiave di lettura del mondo che ci circonda sia mediamente superiore alla stragrande maggioranza dei romanzi italiani contemporanei; pensiamo ad “Anna” di Niccolò Ammaniti o Your Honor, giusto per citare un paio di serie.

Se di tanti romanzi che arrivano sulla mia scrivania faccio fatica a trovarne uno che regga il confronto con normali serie televisive,  anche solo in termini di fabula, di narrazione, sulla storia che racconta, perché dovrei consigliare a qualcuno di leggere un libro piuttosto che guardare una serie tv?

Per non parlare poi dei videogiochi, mondo che non frequento ma che adocchio distrattamente notando come certe volte abbiano la capacità di narrare storie e delineare i personaggi con un abilità che è almeno sullo stesso piano di molti romanzi.

Perché non provare a pensare il libro come un oggetto, una merce, qualcosa in cui possiamo distinguere ciò che è buono da ciò che è mediocre: come per il vino, dire “beviamo del vino” non significa nulla, tutto dipende da quale vino beviamo. I libri si possono buttare se sono brutti

Nel libro citi Schopenhauer: “per ogni libro degno di essere letto c’è una grande quantità di cartastraccia“, ma lui lo affermava nell’800. Cosa direbbe oggi trovando una produzione molto più vasta? 

Lo cito nel mio libro, tralasciando l’anno del lockdown, mediamente vengono stampati circa 65-70mila titoli tra novità e ristampe, un numero pazzesco tanto più in un Paese come l’Italia in cui si legge pochissimo.

A maggior ragione bisogna saper scegliere, impossibile che tutti questi libri siano belli, necessari, in grado di insegnare qualcosa. La frase “anche il peggior libro ha qualcosa da insegnarti” non è vera! Ci sono libri che non insegnano, non danno e non dicono nulla.

Siamo in un Paese in cui i lettori forti che leggono almeno un libro al mese sono si e no l’11% e metà del Paese non legge neppure un libro all’anno. Ecco perché mi scaglio contro questo mercato “drogato”. Dovremmo saper selezionare meglio! Anche quando  durante la prima fase della “pandemia” si diceva “teniamo aperte le librerie” mi sapeva molto di retorica. 

Scrivendo “Libri. Non danno la felicità (tanto meno a chi non li legge)” hai anche sfatato il luogo comune che un libro per esprimere concetti interessanti debba per forza avere centinaia di pagine…

Il mio è un libro di quaranta paginette in cui ho condensato, con il massimo della sintesi giornalistica, le mie idee in materia. È un pamphlet anche un po’ provocatorio e molto di battaglia. Per dire quelle cose bastavano poche pagine e così ho fatto…

 

 

 


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