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Vangelo della domenica, la riflessione del Vescovo Francesco Cavina: “Vigliare affinché vanità, durezza e vizio non prendano il sopravvento”

Scritto da il 12 Luglio 2020

La riflessione sul Vangelo di domenica 12 luglio 2020 di monsignor Francesco Cavina*:
“Nel brano di vangelo Gesù racconta una parabola. Altre ne sentiremo nelle prossime domeniche. La parabola è un racconto che partendo dalla vita vissuta, dagli eventi dell’esistenza quotidiana ci innalza a Dio e dunque la parabola ha il compito di facilitarci la comprensione della Verità non tanto con il ragionamento, ma illuminando la mente e la fantasia di chi ascolta.
Nella parabola di oggi il protagonista è un seminatore che prende atto che il seme da lui seminato produce frutti diversi. Così è della Parola del Signore che cade nel cuore dell’uomo. Gesù parla di se stesso e del suo apostolato, il quale non è esente da insuccessi. Il Signore è onesto e realista e proprio per questo è in grado di analizzare lucidamente anche i suoi “fallimenti pastorali”.
Viene spontaneo chiederci: a quale categoria di terreno appartiene il mio cuore? Tuttavia mi sembra più utile fermarci sull’aspetto positivo e incoraggiante del Vangelo di oggi perchè la Parola di Dio ha trovato e trova ancora tanti cuori disponibili, tanto terreno buono che produce ottimi frutti.
La parabola, dunque, ci offre una straordinaria lezione di speranza. Invita a riconoscere che la Parola di Dio nonostante tutte le apparenze contrarie, ha un effetto sicuro, produce un raccolto nel cuore dell’uomo, della Chiesa e del mondo. Terreno ottimo fu quello della Vergine Maria che ha accolto tutte le parole e le conservava nel cuore; terreno buono furono gli apostoli e i discepoli che accolsero la parola e la predicarono al mondo, irrigandola con il proprio sangue. Chi è oggi il terreno buono che produce frutto? E’ il cristiano che, anzitutto, ha sete della parola di Dio, la ama, si preoccupa di ascoltarla, di capirla, consapevole che “ non di solo pane vive l’ uomo, ma anche di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”.
 
E’ il cristiano che applica la parola alla sua vita; le dà modo e spazio, con la riflessione, di attecchire nel suo cuore, di illuminare le intenzioni, di fortificare i propositi, in modo che essi si trasformino in opere evangeliche, cioè in quel cento per uno di cui parla Gesù alla fine della parabola.
Noi saremo terreno buono in proporzione alla nostra capacità di lasciarci penetrare dal Vangelo, di adeguare ad esso il nostro modo di pensare, di giudicare i valori; in una parola di convertirci.
Gesù vede molto lontano e dichiara che il seme – la sua Parola e la Fede – ha un nemico, un nemico temibile che chiama il Maligno. Ebbene a causa di questo “Nemico” tante persone che, pur ricevendo l’annuncio della Parola di Dio, non giungono alla fede a causa della superficialità con cui affrontano la vita, la quale impedisce qualsiasi radicamento per mancanza di profondità interiore.
Quando questo accade, emerge una conseguenza esistenziale: aumenta il vuoto del nostro cuore perché ci si lascia illudere ed affascinare dalle creature e ci si dimentica dell’Unico che può dare consistenza alla vita: il Signore.
San Tommaso d’Aquino afferma: Il seme trova tre impedimenti, dal momento che richiede tre cose: la memoria in cui venga conservato; l’amore in cui affondi le radici; e infine l’impegno. La memoria è tolta dalla vanità; l’amore o la carità dalla durezza; e l’impegno dai vizi”. E’ un invito a vigliare su noi stessi perché vanità, durezza e vizio non prendano il sopravvento nella nostra vita.”
*Vescovo Emerito di Carpi 
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