“Lettere da un Paese chiuso” di Toni Capuozzo: esce domani il libro sulle commoventi storie raccontate dal giornalista durante il lockdown

Scritto da il 6 Luglio 2020

Esce domani nelle librerie “Lettere da un Paese chiuso” di Toni Capuozzo, il libro che raccoglie le toccanti lettere scritte dal giornalista durante il lockdown

 

Uscirà nelle librerie domani, martedì 7 luglio 2020, il libro “Lettere da un Paese chiuso. Storie dall’Italia del coronavirus”  scritto dal giornalista e inviato di guerra  Toni Capuozzo. Il testo, arricchito dai disegni di Armando Miron, raccoglie le toccanti lettere scritte da Capuozzo durante tutto il lockdown.

Un viaggio capace di commuovere e far riflettere il lettore attraverso un racconto popolare, nel senso più alto del termine, di questo periodo così difficile e imprevisto. Con le sue lettere Capuozzo ha dato calore alla freddezza dei numeri presentati ogni sera dalla Protezione Civile, ricordandoci che dietro quelle statistiche stavano le vite, le storie, le speranze e gli affetti di tante persone travolte dal dramma del coronavirus.

Riportiamo di seguito l’inizio della prefazione:

Confesso: non ho voluto leggere le bozze di questo libro. Per non avere la tentazione di correggere, oltre agli inevitabili errori di battitura, anche il testo. Non è possibile migliorarlo, e non perché abbia qualcosa di speciale, ma perché è un documento, e i documenti non si alterano, se non si è falsari. L’ho scritto di getto, giorno dopo giorno, o meglio, notte dopo notte, per i 71 giorni di quello che abbiamo chiamato “lockdown” e avrei preferito chiamare “confino”.

Ho iniziato per caso, un giorno, sulla mia pagina Facebook, e il giorno dopo ho chiamato il secondo post Lettera da una città chiusa e poi è diventato qualcos’altro, un impegno quotidiano da un Paese chiuso per intero. Ma non un diario personale, anche se c’è molto di personale. Piuttosto un dialogo, iniziato per fare compagnia a me stesso e finito per essere una compagnia per molti altri. Era ogni giorno sorprendente non solo il numero dei lettori, ma di più e piuttosto il numero di risposte, così tante che non riuscivo a leggerle tutte, e ovviamente ancora meno a rispondere a tutte. E poi c’erano le lettere in privato, ognuna con una sua storia. Non lo so bene, ma adesso ho la sensazione di aver fatto da assistente sociale a tante persone, e che tante persone abbiano fatto assistenza sociale, o volontariato, nei miei confronti. Ecco perché, in qualche modo, si tratta del documento di un tempo, della narrazione in diretta di qualcosa di impensabile fino al giorno prima.

Confesso: lo scorso 31 dicembre, l’ultimo giorno del 2019, sono andato a letto presto. Ero a Udine, a casa di mio fratello, ed entrambi non amiamo la festa dell’ultimo dell’anno. Però ho pensato molte volte al conto alla rovescia, agli auguri, alle promesse di felicità e agli oroscopi per il 2020. Alla sventatezza innocente con cui abbiamo fatto programmi o non ne abbiamo fatto alcuno. E tutto mi sarei aspettato, dopo una vita in cui ho visto da vicino molte più tragedie che la media delle persone, tranne che il mio Paese e il mondo attraversassero un’esperienza del genere: non ero preparato, ero disarmato. Però, da subito, l’ “andrà tutto bene” mi è sembrato qualcosa che andasse bene per i bambini – guai a non essere sicuri ed ottimisti davanti a loro – ma fosse di una serenità amabile e disarmante, destinata a lasciarci soli, davanti al buio dei camion con le bare, al buio delle sirene delle ambulanze, al buio delle solitudini vissute insieme.


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