Cristiani e perseguitati – Cristiani in Libano tra segnali di guerra civile e tensioni regionali
Scritto da Elisa Gestri il 14 Aprile 2024
Non c’è pace in Medioriente: nell’anniversario della guerra civile libanese l’attacco iraniano a Israele
Cristiani e perseguitati – Il 13 aprile 1975, a Beirut, Libano, lo scontro tra una squadra di milizie falangiste cristiane e un autobus di miliziani palestinesi dell’OLP fu la scintilla della guerra civile, che andrà avanti fino al 1990 provocando più di 150.000 morti fra civili e militari e centinaia di migliaia di sfollati.
Fino ad allora in delicato equilibrio tra numerose confessioni religiose cristiane e musulmane, il Libano divenne un sanguinoso campo di battaglia tra connazionali di fede diversa e richiamò gli appetiti devastanti di Israele, della Siria e dell’Iran, che destabilizzarono ulteriormente il piccolo Paese.
Quarantanove anni dopo, nella serata del 13 aprile 2024, in ritorsione all’attentato israeliano all’ambasciata iraniana a Damasco, Siria, costato undici morti, l’Iran, e in misura minore gli alleati Iraq Yemen e Libano, hanno inviato un arsenale di droni, missili balistici e da crociera contro Tel Aviv, “il 99 per cento dei quali è stato intercettato o abbattuto dalle difese aeree“, secondo Daniel Hagari, portavoce dell’esercito israeliano. “Alcuni missili“, afferma Hagari nel comunicato stampa rilasciato all’alba del 14 aprile, “sono riusciti a sfuggire alle difese israeliane, colpendo la base aerea di Nevatim nel sud del Paese“.
Dal bunker, il premier israeliano Netanyahu ha promesso vendetta, mentre per l’Iran, se Tel Aviv “non commette altri errori“, ça suffit.
Conflitto Iran-Israele, il ruolo del Libano
Mentre la comunità internazionale cerca di mettersi d’accordo su una strategia condivisa, ci auspichiamo diplomatica, dal Libano la milizia filoiraniana Hezbollah ha rivendicato il lancio nella notte di Katiuscia contro il quartier generale della difesa aerea israeliana a Kileh, nel Golan, e contro i villaggi di Manara e Margaliot in Galilea.
Dal canto suo, l’esercito israeliano ha bombardato pesantemente tra la notte e l’alba numerosi villaggi libanesi di confine, provocando almeno un decesso e diversi feriti a Khiam.
È dal 7 ottobre che l’IDF (Israel Defence Forces) ed Hezbollah si scontrano quotidianamente sul confine tra i due Paesi, in un conflitto che può degenerare ogni momento in guerra aperta.
Per quanto circoscritti, gli scontri hanno già causato da parte libanese circa 370 morti, tra miliziani sciiti, soldati dell’esercito regolare e civili, mentre da parte israeliana gli attacchi di Hezbollah hanno ucciso otto civili e dieci soldati, secondo le autorità di Tel Aviv.
Inoltre si registrano centinaia di migliaia di sfollati da entrambe le parti lungo i 78 km di confine, dove interi villaggi sono stati abbandonati.
Assassinio del politico cristiano Pascal Sleiman, quale ruolo ha avuto Hezbollah?
Per gettare ulteriormente il Libano nel terrore, una gang di criminali siriani ha rapito e ucciso domenica 7 aprile un politico del partito cristiano Forze libanesi nei pressi di Jbeil, a nord di Beirut. Il corpo di Pascal Sleiman, questo il suo nome, è stato ritrovato in Siria all’indomani dell’omicidio.
Mentre le autorità libanesi ipotizzano un furto d’auto finito male, il leader delle Forze libanesi Samir Geagea considera la morte di Sleiman “un assassinio politico fino a prova contraria“, accusando la milizia sciita di Hezbollah di aver commesso, direttamente o indirettamente, il brutale fatto di sangue con la complicità del governo.
Secondo Geagea le autorità libanesi corrotte hanno permesso, tra le altre cose, la proliferazione delle “armi illegali” sul territorio libanese: com’è noto, Hezbollah è l’unico partito a non aver riconsegnato le armi dopo la fine della guerra civile. Dal canto suo, il leader di Hezbollah Hassan Nasrallah ha negato il coinvolgimento del suo partito nell’episodio.
Hezbollah è il nemico storico delle Forze Libanesi, e questa stessa inimicizia tra confessioni religiose e loro emanazioni politiche e militari ha squassato il Libano per quindici sanguinosissimi anni.
C’è chi ravvisa nei fatti degli ultimi sei mesi i prodromi di una nuova guerra civile, e a ben guardare gli attori in campo sono gli stessi del 1975: Israele con le sue mire espansionistiche, l’estremismo palestinese di Hamas, formazione che frattanto ha sostituito l’OLP, la Siria di Bashar al Assad, il figlio dell’allora presidente/dittatore Hafez, l’Iran ed Hezbollah, legati dalla comune fede islamica sciita e dall’odio per Israele.
Come allora, le istituzioni libanesi sono deboli se non inesistenti: i deputati usciti dalle elezioni del maggio 2022 non hanno ancora formato un governo né eletto un Presidente della Repubblica, carica vacante dalla scadenza del mandato di Michel Aoun il 31 ottobre 2022.
L’intervista a Padre Abdo Raad
In questo calderone pronto ad esplodere non mancano i cristiani, rappresentati in politica dalle citate Forze Libanesi, dal Free Patriotic Movement di Michel Aoun, da Kataeb di Sami e Nadim Gemayel, da Marada di Sleiman Frangieh e da altri partiti minori.
“Ma essendo politicamente divisi sono poco significativi e poco influenti” spiega Padre Abdo Raad, sacerdote libanese greco-cattolico melkita, attualmente incardinato nella diocesi di Campobasso Bojano, Molise.
Fondatore dell’associazione Annas Linnas a favore dei poveri di ogni nazionalità che vivono sul territorio libanese, Padre Raad è un profondo conoscitore delle due sponde del Mediterraneo.
Come legge la situazione attuale del Libano ed in particolare la realtà dei cristiani libanesi?
“I cristiani hanno pagato un prezzo molto alto nella guerra civile, a causa dei massacri e dell’emigrazione di massa soprattutto dei giovani, spaventati dalle milizie musulmane armate e dai conflitti continui. È probabile che oggi nel Paese i cristiani siano meno del 30%, mentre prima della guerra civile tra comunità cristiane e musulmane c’era più equilbrio numerico. Se la popolazione cristiana in Libano, oltre al resto economicamente molto impoverita, continua a diminuire e perdere presenza e forza, col tempo potrebbe perdere anche diritti e libertà religiosa, ed essere soggetta a persecuzioni come in altri Paesi.”
La prospettiva che ha descritto non è rassicurante, tenendo conto che in Libano i cristiani godono di diritti negati in altri Paesi del Medioriente, dove non hanno diritto nemmeno alla libertà religiosa.
“È vero, nonostante tutto in Libano il dialogo tra le confessioni è ancora possibile, ma la situazione politica e religiosa molto tesa limita il dialogo ed incoraggia i fanatismi.” prosegue Padre Raad. “Come è chiaro nel caso di Sleiman, ogni omicidio, ogni episodio violento possono diventare occasione di conflitto religioso. Il problema è che i libanesi continuano a pregare ognuno il proprio Dio come un Dio che trionfa sugli altri: invece la vera pace sorgerà solo da un nuovo concetto di politica, che separi la religione dallo Stato. Le iniziative popolari di chi vuole un regime laico sono però limitate a causa della situazione attuale: in Libano non si può mettere mano ai problemi, non si può eleggere un nuovo Presidente della Repubblica finché continua il conflitto israelo-palestinese, finché Hezbollah non lascia le armi e finché non si risolverà la questione dei tanti rifugiati siriani che si sono aggiunti ai rifugiati palestinesi. Ciò che succede in Palestina influisce su tutto il Libano, e se la guerra si allarga i libanesi saranno ulteriori vittime involontarie del conflitto.”
L’attacco dell’Iran in Israele non promette bene in questo senso.
E’ una prova riuscita che l’Iran è forte e può bombardare Israele quando vuole. La situazione è ancora più pericolosa, perché se Israele risponde con un attacco in Iran, l’Iran potrebbe rispondere a sua volta. L’unico fatto chiaro è che siamo in guerra, e che la guerra può andare avanti. Le popolazioni dei Paesi più deboli, Libano, Siria, Palestina, Giordania saranno le vere vittime del gioco mortale dei Paesi più forti.
A livello geopolitico, cosa comporta l’attacco iraniano di stanotte?
E’ la prima volta che qualcuno ha la forza o il coraggio di bombardare direttamente Israele, questo è un fatto, e si tratta di un cambiamento importante a livello globale. Dalla fondazione dello Stato di Israele, più di settantacinque anni fa, non c’è mai stato un bombardamento così importante.
Quali conseguenze ci potrebbero essere?
“Il male produce male, dunque non c’è altro da aspettarsi se non altri attacchi, altri bombardamenti, altri massacri.. Per quanto riguarda il Libano, il pericolo viene dalla presenza di Hezbollah, perché Tel Aviv potrebbe rivalersi sul Paese oltreconfine per punire l’Iran. Sono cristiano e non perdo la speranza, ma la fede e i Santi non possono aiutare molto se i popoli non accolgono l’invito di Dio alla pace e alla fratellanza. Sono realista: la situazione odierna è confusa, siamo al buio e non si intravede una via d’uscita.
In effetti qualcuno sostiene che, a causa della composizione religiosa variegata e della posizione geografica al centro delle tensioni della regione, il Libano non sia mai uscito dalla guerra civile.
Segnali in questo senso non mancano: per citare gli ultimi, il 14 ottobre 2021 una sparatoria tra Forze Libanesi ed il duo sciita Hezbollah/Amal nel quartiere di Tayoune, a Beirut, ha lasciato sul terreno otto vittime provocando una trentina di feriti; il 9 agosto 2023 uno scontro a fuoco tra alcuni membri di Hezbollah ed i residenti del villaggio cristiano di Kahaleh, a circa 12 km da Beirut, ha causato due morti.
Dopo la sparatoria di Tayoune, l’allora presidente della Repubblica Michel Aoun dichiarò in un discorso televisivo che l’episodio aveva riportato il Libano “a giorni che abbiamo già visto e non vorremmo mai più vivere”.
Ma forse, come scrive Assaad Chaftari, ex miliziano di Forze libanesi, nel suo libro La vérité même si ma voix tremble, “i libanesi hanno una data per commemorare lo scoppio della guerra civile, ma non ne hanno una per celebrarne la fine“.