Caffè Lungo: Malati da social

Scritto da il 8 Novembre 2019

Ogni giorno, un paio di volte al giorno (salvo casi eccezionali) faccio un giro su Twitter: per il mio lavoro, è un posto da frequentare, perché spesso le notizie, in particolar modo le ultim’ore, passano prima di lì rispetto ai grandi media generalisti. Mi capita, tuttavia, di imbattermi sempre più spesso in alcuni tweet, ovvero i messaggi da 140 caratteri con annessi hashtag, che mi lasciano sbigottito, incapace di comprendere il senso profondo di alcuni di questi.

Sono tweet di persone che pubblicamente parlano della malattia, che sia la loro o quella di qualche caro. Ora, prima che si possa scatenare un putiferio, questo non è un editoriale contro le persone che soffrono; desidero solo riflettere su un certo tipo di messaggi. Cosa spinge una persona a scrivere: “Oggi inizio le terapie, me lo lasciate un messaggio?” ed altre frasi in cui si cerca volutamente la reazione del follower di turno, il tutto magari contornato da selfie. Tralascio le vicende di chi si inventa malattie anche gravi solo per fare il pieno di like, salvo poi essere scoperto e fare una colossale figuraccia.

Quello che non riesco a comprendere è il bisogno che si ha di condividere con il mondo virtuale ciò che di più intimo abbiamo, ovvero la nostra salute. Perché, in un momento di dolore, di sofferenza, di ansie e paure legittime, in un momento in cui si è costretti a fare i conti con sé stessi, si sceglie di fare un post? Perché si sente il bisogno di avere qualcuno dall’altra parte di uno schermo che commenta o lascia una reazione, magari un qualcuno che non si conosce nemmeno?

Non condanno né condivido, semplicemente non capisco. Non mi sono mai trovato in queste situazioni e posso solo provare ad immaginare, senza riuscirci, cosa si possa provare. Ad ogni modo, mi spaventa un mondo in cui si sente il bisogno di rendere pubblica anche la propria salute, quando forse sarebbe il momento adatto per lasciare il virtuale riabbracciando il reale e gli affetti più intimi. Mi spaventa il mondo che si è edificato sul potere dei social (e c’è ancora chi parla di privacy), mi spaventa il fatto che ognuno di noi abbia permesso ciò. Federico Bonati 


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