Woodstock 2022: a Parcobaleno ritorna il festival acustico di Mantova
Written by Alessandro Baraldi on 19 Maggio 2022
MANTOVA-Dopo due anni di “silenzio” a causa della pandemia, torna uno degli eventi più iconici e particolari del panorama musicale mantovano: il festival acustico di Woodstock. Ambientato all’interno di Parcobaleno, un centro di educazione ambientale situato nei pressi di Bosco Virgiliano e gestito da Andrea Fiozzi e da Alberto Rovesti, il festival offre un’esperienza di ascolto unica nel suo genere, in quanto viene dato spazio a chi vuole esprimere la propria musica senza l’ausilio di microfoni o amplificazioni elettroniche. L’obiettivo è quello di dare un’esperienza di ascolto totale e pura, non distorta da apparecchiature elettroniche, in modo da dare più consapevolezza a chi partecipa del mondo che lo circonda. L’evento prenderà piede nei giorni del 10/11/12 di giugno e sarà totalmente gratuito: chi vorrà assistere quindi non dovrà prendere alcun biglietto, basterà presentarsi e partecipare a questa esperienza unica. Quest’anno, rispetto alle passate edizioni, ci saranno alcune novità, motivo per cui abbiamo incontrato uno degli organizzatori dell’evento, Andrea Fiozzi (che insieme a Mirko Bianchi, Fabio Negri e Luca Barbi cura tutto il festival), il quale ci ha parlato di come è gestito il tutto, degli ultimi due anni passati senza poter organizzare nulla e molto altro. Ecco qui le sue parole:
_Prima di tutto grazie ad Andrea Fiozzi per averci ospitato e averci dato la disponibilità per l’intervista. Parliamo di Woodstock: come è nata questa iniziativa?
_L’iniziativa è nata nel 2009 in occasione del quarantesimo anniversario dell’originario festival di Woodstock. Siccome molti di noi sono musicisti, ci siamo detti “non facciamo passare questa data senza darle un minimo di risalto”, per cui ci siamo messi d’accordo, in maniera un po’ improvvisata, di fare una serata aperta a tutti quelli che vogliono suonare. Nel 2009 abbiamo fatto questo esperimento e li è nata l’idea di dargli una periodicità fissa e di trasformarlo in un festival di tre giorni. Occhio che non è la celebrazione del Woodstock originale: non facciamo le pagliacciate di riproporre le cose che venivano suonate nel ’69 e magari vestiti in modo simile, per noi è un significato dal punto di vista culturale. È stato importante nel ’69 l’impatto che ha avuto dal punto di vista culturale e sociale il festival, secondo noi la musica è una cosa importante che va vissuta e riproposta, oltre ad essere aggiornata nel corso degli anni senza necessariamente riprendere sempre le stesse cose; quindi abbiamo detto che questa è una forma per trasmettere determinati contenuti. Questi contenuti sono sostanzialmente mettere a disposizione uno spazio per i gruppi locali (e non solo) e presentare generi musicali diversi, soprattutto quelli che non hanno cassetta: o giovani che stanno studiando musica e con generi che non trovano ingaggi in quanto, nonostante siano molto ricercati e impegnativi, non hanno la possibilità di essere suonati spesso dal vivo nel giro commerciale che c’è oggi, ma anche dei “vecchi” che hanno suonato la propria musica per tutta la vita. Quindi diamo la possibilità un po’ a tutti di presentare i propri generi, più diversi possibili tanto meglio, e poter dire “ci sono”. Inoltre, facciamo ascoltare alle persone che vogliono ascoltare qualcosa (e non per avere solo del sottofondo musicale) le cose più diverse, in modo tale che uno abbia le possibilità di scoprire o riascoltare dei generi che normalmente non finiscono nelle radio. Questo è un po’ lo spirito con il quale abbiamo fatto partire l’iniziativa che è stato raccolto al 100%, perché siamo già alla dodicesima edizione.
_I giorni distribuiti saranno il 10, l’11 e il 12 giugno. C’è un criterio per selezionare i vari gruppi che vogliono partecipare?
_Noi abbiamo messo a disposizione un modulo per richiedere la partecipazione. All’interno di esso bisogna spiegare in quanti sono, chi sono, genere musicale, brani presentati e così via, quando avevamo la necessità di amplificare i vari strumenti (all’inizio, ndr.) anche le strumentazioni che usavano e le necessità tecniche. Questo per avere un’idea del gruppo e per cercare di posizionarlo in modo tale da non avere tre gruppi che fanno jazz uno dopo l’altro, ma distribuire i generi nelle varie serate. La scelta è sempre stata quella di cercare di far suonare tutti quelli che lo hanno chiesto, alcuni anni avevamo addirittura 40 esibizioni, abbiamo dovuto far suonare il pomeriggio della domenica, però ci dispiaceva dire si ad uno e non all’altro. Tutti, dal momento in cui si approcciano alla musica, hanno gli stessi diritti, dai più bravi ai meno bravi, con questi ultimi che magari diventano bravi e che intraprendono un percorso musicale che li potrà portare lontano, per cui se si riesce facciamo suonare tutti quelli che ce lo chiedono. Ci sono però dei limiti, per esempio riguardo ad alcuni strumenti che non si adattano alla scelta acustica che abbiamo fatto nel tempo.
_Voglio collegarmi a questa scelta acustica: se non vado errato, nelle ultime edizioni è diventato un festival 100% acustico: 0 amplificazioni e 0 casse. Tutto è dovuto anche dalla particolarità del palco, puoi spiegarci com’è strutturato?
_Un’altra particolarità di questa iniziativa è che non è fine a sé stessa, di quelle ce ne sono centomila. L’obiettivo non era neanche quello di creare l’ennesimo festival/evento musicale così come possono esserci da altre parti, noi abbiamo cercato la particolarità. È un discorso che a Parcobaleno facciamo anche per tutti gli altri argomenti che seguiamo. Parcobaleno è un centro di educazione ambientale, quindi ha come obiettivo una ricaduta che sia educativa e/o culturale per chi frequenta il parco. Abbiamo scelto la musica acustica perché secondo noi è importante imparare ad ascoltare la musica. Come dicevo prima, tanti hanno bisogno della musica solo come sottofondo, uno può cantare e suonare quello che ne ha voglia, tanto non entri nel merito e magari non lo ascolti neanche, ti basta che ci sia qualcosa sotto e che non ci sia silenzio, mentre invece quelli che compongono hanno piacere ad essere ascoltati. Quindi abbiamo detto “perché non creiamo un momento in cui la gente è attratta ed interessata a quello che si suona?” e quindi creare delle condizioni di ascolto. Già all’inizio abbiamo tagliato dei generi/strumenti musicali che fossero prevaricanti, sia per difficoltà di amplificazione che per rispetto dello spazio in cui siamo: alcuni strumenti diventavano troppo complicati da amplificare e troppo forti, bisognava quindi alzare il volume complessivo (per esempio, le batterie non le abbiamo mai accolte). Alcuni di noi vengono da una cultura della musica acustica e quindi abbiamo dato questo taglio perché si presta a questo discorso, per cui nel tempo (cominciando dal 2017) abbiamo sperimentato questa proposta di palco che aumenta un po’ il volume sonoro dei musicisti e permette di fare a meno delle amplificazioni, che sono una facilitazione dal punto di vista organizzativo ma soprattutto è anche più rispetto degli strumenti che vengono utilizzati. Il fatto di suonare uno strumento particolare, come può essere una ghironda (strumento tipico della cultura celtica/inglese): questo strumento ha un suono talmente particolare che, passato attraverso un microfono, perde un po’ le sue sonorità. Abbiamo cercato di tagliare questa mediazione che altera il suono e di dare la possibilità a chi ascolta di sentire veramente il suono degli strumenti musicali. Abbiamo fatto un set di arpa che aveva un volume particolare ed esagerato in questo palco, che ha manifestato a tutti un suono incredibile, lasciando tutti sbalorditi perché non c’era nessun microfono che cambiava questo suono. Tutto ciò è un modo per dire che, se si fa un attimo di attenzione, si sentono suoni che non si è abituati a sentire. Noi che facciamo educazione ambientale l’argomento dell’ascolto ce lo abbiamo un po’ in testa, nel senso che tanti di noi che seguono il centro di recupero della fauna sanno ascoltare il suono della natura, conoscono il suono degli animali e riescono a identificare un volatile dal canto che fa. Quindi secondo noi, per conoscere meglio il proprio ambiente dove si è, bisogna imparare ad ascoltare. Ma l’ambiente non è solo ed esclusivamente quello naturale, ma anche l’ambiente culturale, quindi anche la musica, magari ogni tanto fermiamoci ad ascoltarla, questa è la nostra proposta.
_Più che giusto questo ultimo punto. Ad ogni modo, vista la mole di lavoro che ci può essere in questo festival, immagino non sarai da solo. Quindi non dovrai stare dietro al palco e contemporaneamente al bar e via dicendo, ma so che sei aiutato da varie persone, tra cui il gruppo scout del CNGEI di Mantova.
_Certo, e non solo. Va detto che siamo sempre troppo pochi, abbiamo messo in piedi questa cosa contando sulla comunità di Parcobaleno. “Parcobaleno” non è solo un’associazione di volontariato che gestisce l’area del comune, ma ci sono anche altre associazioni che lavorano all’interno di esso, tra cui il gruppo scout CNGEI di Mantova che si è accollato l’onere di organizzare il rinfresco della manifestazione: loro lo fanno anche per un obiettivo di autofinanziamento, così riescono ad avere qualche introito per poter organizzare i campi estivi, ma soprattutto partecipano ad un’impresa collettiva. Noi siamo tante anime all’interno di quest’area che andiamo tutti nella stessa direzione, l’evento di festa dell’anno testimonia che c’è collaborazione tra tutti quelli che fanno qualcosa a Parcobaleno. Quest’anno in particolare abbiamo un’altra collaborazione molto importante: siccome l’evento occupa le tre serate, il sabato e la domenica mattina rimangono scoperte. Calcola che è possibile campeggiare, per cui i ragazzi vengono qui, piantano le tende e rimangono per i tre giorni. Nelle giornate non c’è musica dal vivo, per cui abbiamo chiesto se era interessata ad unirsi l’associazione di Fridays for Future di Mantova e loro, con molto entusiasmo, hanno creato una festa nella festa, ovvero organizzeranno nelle giornate di sabato e domenica attività, dibattiti, incontri con degli esperti, laboratori pratici su temi ambientali in modo tale che chi sta qua due giorni ha l’opportunità di avere le giornate piene con attività a sfondo ambientale, perché siamo in un centro di educazione ambientale (tra le altre c’è pure il risveglio yoga, dove per chi vuole, grazie all’aiuto di un esperto, impara a disarticolare bene braccia e gambe per un risveglio migliore). Loro gestiranno anche questo aspetto che, nel 2019, è stato abbastanza anticipatorio per fiere e manifestazioni pubbliche, ovvero quello dei bicchieri a cauzione riciclabile. Nel 2019 cominciava ad entrare in vigore la norma contro la plastica usa e getta, per cui noi abbiamo da subito seguito l’indicazione di usare dei bicchieri riutilizzabili (realizzati con il logo di Parcobaleno), per cui chi vuole venire alla festa di Woodstock e bere deve prendersi un bicchiere su cauzione: chi vuole tenerselo se lo tiene, sennò lo rida indietro alla fine e gli verrà restituito ciò che ha dato. Tra l’altro chi viene in bicicletta avrà uno sconto sulle birre, questo per incentivare la mobilità sostenibile: siamo all’interno del centro urbano di Mantova e quindi si può fare una pedalata.
_Il festival ritorna dopo due anni di inattività a causa della pandemia. Come è stato vissuto questo periodo? Come è stata affrontata questa enorme difficoltà, nonostante il tentativo di ripartire nel 2021?
_Male come tutti, dal momento che lo abbiamo vissuto con una serie di limitazioni enormi. Non male dal punto di vista delle attività perché questo festival è a costo 0, non ci guadagniamo niente ma non ci spendiamo niente (a parte qualche piccolo costo). I musicisti vengono gratuitamente, la gente non paga il biglietto, se uno vuole mangiare o bere si paga la consumazione, ma questo è un altro discorso che è al di fuori dalla linea principale del festival. In questi due anni abbiamo preferito non cercare delle scorciatoie o degli aggiustamenti perché lo spirito del festival ha avuto una sua evoluzione ed era bello così com’era; quindi, piuttosto che fare un mezzo festival che non permettesse che si creasse quel clima presente negli scorsi anni abbiamo preferito saltare. Questo ci ha permesso di lavorare l’anno scorso, in modo particolare per cercare di realizzare una struttura (la migliore possibile) che andasse incontro alle esigenze che ti dicevo prima, ovvero questo palco, che noi chiamiamo palco autoamplificante, fatto in legno massiccio di larice, per cui dovrebbe durare anche contro le intemperie e avere una certa sonorità. Quindi abbiamo investito nel tempo delle chiusure per attrezzarci nel miglior modo possibile.
Per cui non ci resta che attendere con ansia l’arrivo di giugno, per poter assistere a questo grandissimo ritorno. Inoltre va ricordato che il palco verrà “inaugurato” nella giornata del 29 maggio, quindi chi volesse assistere alla “magia” sonora che offre il suddetto palco potrà farlo qualche giorno prima dell’inizio del festival.
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