L’intervista – Il preoccupante fenomeno della violenza giovanile secondo lo psicologo Ezio Pellicano
Scritto da Anna Maria Pilozzi il 17 Maggio 2021
Prosegue il nostro appuntamento con professionisti legati a diversi ambiti che caratterizzano il nostro quotidiano.
In questa occasione abbiamo voluto soffermarci sulla sfera psicosociale, al fine di approfondire aspetti legati alla violenza giovanile insieme al dottor Ezio Pellicano, psicologo e psicoterapeuta di Colleferro, in provincia di Roma.
L’intervista
Nelle cronache e nel dibattito pubblico ricorrono frequentemente atti di violenza nei quali sono coinvolti giovani. Si tratta di episodi che inducono un clima di insicurezza e allarmano la popolazione. Qual è la dimensione del fenomeno?
Cominciamo con il dire che, nonostante non ci sia omogeneità di opinioni tra gli esperti, gli atti di violenza imputabili ai giovani riguardano soltanto una ristretta minoranza di individui. Le conseguenze sono tuttavia pesanti per le vittime, per la società nel suo insieme e per gli autori stessi. Questo ci giustifica, ed aggiungo, ci obbliga ad intensificare gli sforzi per capire ed arginare il fenomeno.
Ad ogni modo per contenere il fenomeno è importante affiancare la “prevenzione” all’intervento e alla repressione e impegnarsi a rafforzare i fattori di protezione e ridimensionare i fattori di rischio.
Un fenomeno preoccupante
Conosciamo meglio il fenomeno, cosa si intende per violenza giovanile? E come la rabbia si trasforma in violenza?
Nel definire “violenza giovanile” cominciano con il dire che può manifestarsi in forme differenti tra loro. Possiamo parlare di violenza psichica e verbale o fisica, inoltre gli atti violenti possono essere perpetuati contro persone luoghi ed oggetti.
Concetti come violenza, aggressività, delinquenza e inciviltà sono spesso utilizzati indistintamente nelle discussioni, mentre in realtà designano realtà diverse.
Questa confusione rischia di falsare e aggravare la percezione della situazione ed inficiare gli interventi proposti.
Il termine «giovani» è impreciso e può essere inteso in vari modi. Nella discussione pubblica, quando si parla di «violenza giovanile» non è ben chiaro a quali fasce d’età ci si riferisca.
Soprattutto in caso di eventi clamorosi non si distingue tra atti di violenza commessi da giovani adulti e atti perpetrati da minorenni, questa distinzione viene però considerata in sede processuale.
L’adolescenza è una fase evolutiva caratterizzata da molti cambiamenti , fisici e cognitivi , in cui il ragazzo cerca di crearsi un’identità che sancisce il passaggio dallo status sociale di bambino a quello di adulto. In questo percorso non possiamo escludere che si entri in contato con quell’emozione evolutiva, tipica di tutti gli esseri umani che ci permette di fronteggiare un ambiente ostile, reale o percepito che sia, ovvero la rabbia.
Questa emozione perde il suo scopo evolutivo quando viene vissuta in modo distruttivo ed espressa con aggressività e l’espressione più drammatica di questa è la violenza (rabbia maladattiva).
Si ha cosi la seguente definizione per lo più riconosciuta e condivisa da tutte le istituzioni: «La violenza giovanile si riferisce a tutti i reati intenzionali contro la vita e l’integrità della persona (omicidi, lesioni personali ecc.), contro la libertà personale (minaccia, coazione ecc.) o contro l’integrità sessuale (coazione sessuale, violenza carnale ecc.), commessi da persone di età inferiore ai 18 anni.»
Le cause
Quali sono le cause? Che cosa si può fare per proteggere i giovani e contrastare in modo efficace la diffusione della violenza giovanile?
Personalmente non mi concentrerei nel cercare un colpevole, cercherei piuttosto di inquadrare il fenomeno all’interno di possibili concause. Quando parliamo di “colpa” generalmente siamo portati a ragionare secondo due binari, il primo sono le caratteristiche di chi ha commesso il “dolo”, il secondo quale “punizione “ merita tale soggetto.
Si rischia, a mio avviso, di spostare l’attenzione dal fenomeno al colpevole, inoltre il soggetto che si sente chiamato in causa come “colpevole” tenderà a mettersi sulla difensiva.
Faccio un esempio, mettiamo il caso che il messaggio sia “ i giovani d’oggi non hanno valori per colpa della famiglia che non riesce a trasmetterli”, detta cosi è la famiglia al centro dell’attenzione e non tanto il fenomeno.
Puntare il dito alla ricerca di un colpevole ritengo che non sia funzionale per contrastare il fenomeno, non bisogna assumere un atteggiamento “ colpevolizzante” ma porsi in un ottica preventiva, bisogna fare prevenzione.
Io descriverei tale fenomeno come una matrioska, la bambola più grande è il fenomeno che contiene all’interno una componente direttamente più piccola (ad esempio la famiglia), poi una ancora più piccola (ad esempio la suola) una ancora più piccola (es. il gruppo dei pari ) , una serie di bambole che incastrandosi tra di loro ne creano una più grande.
A mio avviso fare prevenzione, significa agire su ciascun attore coinvolto, trovarne le criticità e dov’è possibile anticipare determinati problematiche.
Il ruolo della scuola
Parlando di scuola, alcuni fatti di cronaca ci parlano di una trasformazione dell’istituto scolastico da luogo di cultura ed educazione alla socializzazione, a luogo di svago ed a volte temuto. Come mai?
Riflettiamo, come fanno gli insegnati ad educare se gli alunni in classe , ad esempio, preferiscono fare video mentre riprendono delle bravate e dove ostentano aggressività sui pari e sugli insegnati stessi?
Come si è passati a permettere ciò? Vogliamo passare alla sfera sociale? Come può un genitore educare il proprio figlio al rispetto e all’educazione, alla tolleranza ed al dialogo se i giovani trascorrono il maggior tempo sui social dove passano messaggi legati a termini quali dissing (bisticcio), influencer (non coltivare una propria identità), tik tok (ostentare la forma piuttosto che la sostanza)?
Di domande da porsi ce ne sono tante ma mai cominceremo a farcele dalla dovuta prospettiva e mai ne verremo a capo.
Occorre incrementare una prevenzione efficace nella famiglia, nella scuola, nello spazio sociale ma, soprattutto, sui Social e nel loro utilizzo.
I Social rappresentano la variabile impazzita e sconosciuta della nuova gioventù che ci ha trovati impreparati nel prevenire eventuali rischi causati da un loro scorretto utilizzo.
Cosa fare?
Ritengo, inoltre, che la sensibilizzazione, sempre in ottica preventiva, non debba prescindere dal considerare non solo gli “autori” e le” vittime” ma anche i “testimoni” che, pur non essendo direttamente implicati, agevolano, stimolano o frenano la violenza con il loro atteggiamento.
La loro passività o indifferenza lancia infatti un segnale di permissività, mentre una cultura della responsabilità e del coraggio di non chiudere gli occhi e di affrontare le situazioni di violenza – il cosiddetto «coraggio civile» – fa capire che determinati comportamenti non sono tollerati.
La prevenzione va vista come uno degli elementi di una più ampia azione concertata – comprendente anche interventi di cura e misure di repressione/dissuasione, di riabilitazione e di aiuto alle vittime – finalizzata a ridurre la violenza e ad aumentare la sicurezza.
Ezio Pellicano è psicoterapeuta specializzato nell’indirizzo Cognitivo-Comportamentale, iscritto all’Ordine degli Psicologi del Lazio dal 2003 (nr. 12449), svolge la professione presso studio privato a Colleferro in Provincia di Roma.
Rivolge il suo intervento al trattamento individuale di giovani e adulti su tematiche quali ansia, panico, depressione, dipendenze, fobie e disturbi del comportamento alimentare.