“Rosario Livatino. Il giudice giusto”: il libro di Toni Mira racconta aspetti inediti del beato assassinato dalla mafia nel 1990
Scritto da Nicola Pozzati il 9 Dicembre 2021
L’intervista
Cosa ti ha spinto a scrivere questo libro su Rosario Livatino?
Ho scritto su Avvenire da molti anni di Rosario Livatino. Sia seguendo la causa di beatificazione, sia analizzando i suoi scritti, sia raccontando la cooperativa che porta il suo nome. E mi sono accorto che si sa poco di lui, soprattutto del suo prezioso lavoro, spesso anticipatore. L’occasione per raccontare il “piccolo giudice” è stata la beatificazione dello scorso 9 maggio. Per far conoscere davvero un giudice giusto.
Spesso si fa riferimento alla giovane età e alla fede di Livatino, va però ricordato che era anche e soprattutto un giudice estremamente competente.
In anticipo sui tempi Livatino capì l’importanza del sequestro dei beni dei mafiosi, una cosa non scontata per l’epoca. Fu questo a segnare la sua condanna a morte?
Livatino fu tra i primi ad applicare, con convinzione e efficacia, la legge Rognoni-La Torre del 1982 che introduceva la confisca dei beni dei mafiosi. E lo faceva molto bene, anche nei confronti dei mafiosi di Canicattì, il paese dove era nato e dove viveva coi genitori. I suoi provvedimenti sono molto approfonditi e colpivano duramente le ricchezze mafiose.
Il fatto che non fosse un personaggio mediatico è dovuto alle circostanze o ad una sua precisa volontà?
Fu una sua precisa scelta. Riteneva che un magistrato non solo dovesse essere ma anche apparire indipendente. Per questo evitava ogni forma di esposizione.
Cosa rimane oggi di Rosario Livatino?
Da un lato rimangono i terreni che aveva confiscato e che ora sono coltivati dalla cooperativa che porta il suo nome, dando lavoro pulito e producendo frutti puliti.
Dall’altro lato rimane il forte insegnamento di magistrato lontano dal potere e dai suoi condizionamenti. Molto prezioso oggi, periodo di bassa credibilità dei magistrati. Infine resta l’esempio di vero laico cristiano che non esibiva la sua Fede ma la viveva nel suo lavoro, con efficacia e umanità. E questo i mafiosi non lo tolleravano.
Davvero un martire della fede e della giustizia, attualissimo. Da far conoscere, soprattutto ai giovani, per evitare di farne un “santino”, facendo emergere la sua straordinaria normalità.
Non un eroe, ma un uomo e magistrato davvero credibile. Come scrisse su una delle sue agende.
“Quando moriremo, nessuno ci verrà a chiedere quanto siamo stati credenti, ma credibili”.
Lui lo fu fino in fondo, andando coscientemente incontro alla morte. Davvero una persona da conoscere, approfondire e imitare.
Toni Mira
“Toni Mira, sposato e con quattro figli, è capo redattore e inviato speciale della redazione romana di Avvenire, giornale per il quale da anni cure le inchieste e i reportage.
È tra i collaboratori dei dossier annuali “Ecomafia” di Legambiente e “Sindaci sotto tiro” di Avviso Pubblico. Fa parte del Comitato scientifico del bimestrale di Libera “lavialibera”, dell’Osservatorio ambiente e legalità di Legambiente, della Commissione consultiva di Avviso Pubblico.
Nel 2006 ha vinto il premio “Ambiente e legalità”, nel 2007 il “Premio Saint Vincent” per il giornalismo d’inchiesta, nel 2016 il “Premio per l’impegno civile Marcello Torre”, nel 2018 il “Premio Franco Giustolisi”, nel 2019 il “Premio Paolo Borsellino”.
Nel 2019 ha pubblicato con la collega Alessandra Turrisi il libro Dalle mafie ai cittadini. La vita nuova dei beni confiscati alla criminalità (San Paolo), e il libro Spezzare le catene (Città nuova) sul caporalato”.