Rewind – Lunga vita al Re

Scritto da il 24 Ottobre 2021

Rewind Episodio 4 – Vi ricordate quando nel secondo appuntamento di Rewind, quello sui Toto, abbiamo brevemente parlato della loro convocazione da parte di Quincy Jones per aiutare Michael Jackson nella produzione di “Thriller”?

Bene! È arrivato il momento di guardare ed ascoltare più da vicino uno degli album che hanno segnato maggiormente gli anni ’80 e, più in generale, tutta la storia della musica, oltre alla carriera personale di Jacko. Mettetevi comodi perché non c’è periodo migliore di Halloween per assaporare ancora una volta Thriller!

Ma come sempre, prima di iniziare a travestirci da zombie e lupi mannari, facciamo un passo indietro…

 

Foto The Hollywood Archive / AGF

L’enfant prodige del Pop

 È il 29 agosto del 1958. Michael Jackson nasce da una modesta famiglia afroamericana in Indiana: ottavo di dieci figli, cresce in un ambiente familiare dove la Bibbia è l’unico strumento di formazione, la cui trasgressione implica severe punizioni.

Secondo diverse testimonianze, infatti, Michael ed i suoi fratelli erano maltrattati dal padre e costretti a prove incessanti oltre che a violenze fisiche. È proprio per sfuggire a una punizione che, quasi per caso, nel 1963 si forma il gruppo dei futuri Jackson 5: Tito, Jackie e Jermaine, i tre fratelli più grandi, erano soliti prendere di nascosto la chitarra di papà Joseph (detto Joe) quando questi si trovava al lavoro, per suonare e cantare insieme.

Una sera però Tito ruppe una delle corde della chitarra. Scoperti e rimproverati dal padre, fu lo stesso Tito a implorarlo di perdonarli cercando di convincerlo di cosa fossero capaci. Il padre, allora, chiese di dimostrarglielo: i fratelli si misero a suonare e cantare e Joe scoprì che avevano davvero talento! Decise così di incentivare questa loro passione per formare un gruppo musicale formato dai soli membri della famiglia e di diventarne lui stesso il manager.

Solo un anno più tardi, quando mamma Katherine ne scoprirà le doti canore, il piccolo Michael si unirà al gruppo, andando a rimpiazzare Jermaine come voce principale ed in seguito si unirà a loro anche il piccolo Marlon: è il 1964 e il gruppo “The Jackson 5” nasce ufficialmente.

La svolta per loro arriva nel 1968 quando vengono portati all’attenzione di Berry Gordy presidente della Motown Records: il cantante Bobby Taylor riuscì a far registrare loro un provino che fu in seguito visionato da Gordy il quale rimase così colpito dalle doti del giovane Michael che decise di metterli subito sotto contratto! Egli li lanciò cucendoci sopra la leggenda secondo la quale a scoprirli sarebbe stata Diana Ross, perché quest’ultima era la allora cantante di punta della casa discografica: il loro album di debutto del 1969 venne infatti intitolato “Diana Ross Presents the Jackson 5”.

A trainarlo fu il singolo “I Want You Back”, che si piazzò direttamente alla prima posizione della classifica generale di Billboard. L’anno seguente ne furono estratti altri tre singoli, che raggiunsero anch’essi la prima posizione: i 5 fratelli Jackson divennero così in breve tempo un fenomeno negli Stati Uniti, con partecipazioni ai più famosi programmi musicali dell’epoca , imbarcandosi presto in tour promozionali in tutto il paese e creando un grande seguito di fan.

Tra il 1974 ed il 1976 però le cose iniziano a cambiare: Gordy inizia a spronare Michael e Jermaine a realizzare lavori senza gli altri fratelli, producendo i loro primi album da solisti, cosa che il primo realizzerà sotto alla Epic Records nel 1979, dopo l’uscita del terzo album dei nuovi “The Jacksons” chiamato “Destiny” nel 1978.

 

Off the… band

Considerato da molti il suo vero primo album, in quanto pubblicato da un allora ventunenne Jacko, “Off the Wall” (1979) rappresenta il lancio per la carriera solista di Michael: l’album ricevette molte critiche e recensioni positive, in particolar modo per la sua performance vocale e gli valse il suo primo Grammy Award come cantante solista per l’interpretazione di “Don’t Stop ‘Til You Get Enough”, che ricevette il premio come miglior interpretazione R&B.

Con Off the Wall Jackson divenne il primo artista nella storia della musica ad aver piazzato nella top ten della Billboard HOT 100 quattro singoli provenienti dallo stesso album, due dei quali direttamente al numero uno. All’album va attribuito anche il merito di aver rotto ogni barriera razziale, almeno musicalmente parlando, dato che divenne il primo lavoro di un cantante di colore ad entrare in una classifica di artisti bianchi, contribuendo così alla nascita delle classifiche unificate.

Dopo la parentesi da solista, il cantante ritornò in studio con i fratelli per registrare il loro nuovo album “Triumph”: nonostante il gruppo godesse di una rinnovata popolarità, il confronto con gli eccezionali risultati ottenuti da Off the Wall fu evidente, dando un chiaro segnale sul fatto che ormai Michael fosse lanciato verso una carriera da solista.

Uno degli obiettivi principali di Off the Wall fu proprio quello di presentare il “nuovo” Michael Jackson adulto: il suo manager di allora, Ron Weisner, in accordo con Quincy Jones, ebbe l’idea del “Frank Sinatra nero” e consigliò al cantante di indossare lo smoking perché, secondo lui, quell’abito rappresentava un “rito di passaggio”, dato che veniva spesso usato ai matrimoni o alle feste di laurea. Così facendo anche il pubblico generalista ancora legato all’immagine del Jackson bambino prodigio dei Jackson 5 lo avrebbe visto in un’ottica nuova.

Successo mondiale e fenomeno culturale

 Quello di cui vi parlerò è, molto probabilmente, l’album più venduto al mondo… almeno per alcuni. Al di là delle cifre senza termini di paragone, “Thriller” è l’album con il quale MJ supera l’umano per portarsi nel mito, diventando a pieno titolo una stella irraggiungibile, la più brillante del firmamento pop mondiale. Egli diventa per tutti “The King of Pop”, ma soprattutto il ballerino per eccellenza, l’uomo che sfida la gravità e che esorcizza le nostre paure a colpi di funky. Michael è una forza della natura e allo stesso tempo una macchina perfetta: questo è il primo disco in cui veste i panni di co-produttore con Quincy Jones, ossia il primo lavoro discografico in cui riesce a dare totale sfogo alla propria verve creativa, scrivendo cinque canzoni su nove tracce totali insieme al compositore britannico Rod Temperton, senza contare l’ultima parola su sezioni ritmiche, missaggio e laccature varie. È stato il primo album con Jackson saldamente al timone, capitano di un team di turnisti e collaboratori formidabili, tra i quali spicca in primis il compianto Eddie Van Halen chiamato nelle registrazioni di “Beat It” per dar vita a uno degli assoli più memorabili della sua carriera.

“L’eruzione di un carnevale di percussioni, sei minuti di frenesia musicale” basterebbe questo per definire la canzone che apre le danze, ossia Wanna Be Startin’ Somethin’. Scritta e composta inizialmente durante le sessioni dell’album Off the Wall ma registrato infine per Thriller, rappresenta un brano in cui i contatti con mamma Africa sono ancora evidenti. Il brano sarà campionato da Rihanna nella sua “Don’t Stop the Music” mentre il controverso campionamento di “Soul Makossa” del camerunense Manu Dibango, camuffato da un sound rigenerato a colpi di synth e fiati nel brano di Jackson, varrà a entrambi una citazione in giudizio per plagio nel 2009.

La giostra inizia il suo giro e la successiva “Baby Be Mine” ripropone in una luce meno scintillante e più soffusa gli umori sbarazzini dell’opening track. Il duetto con Paul McCartney è stato il primo singolo ad essere estratto dall’album, ma ricevette recensioni contrastanti da giornalisti e critici musicali: una ballad romantica, il primo duetto nella storia della musica in cui un uomo di colore e un uomo bianco si contendevano la stessa ragazza, con tanto di coro all’unisono nel secondo ritornello. Una sinergia ammiccante che va a precedere l’ululato più famoso della storia e uno dei brani più emblematici della carriera di Jackson.

Starlight… no, non fa decisamente lo stesso effetto di “Thriller”: un gothic-pop impreziosito di numerosi suoni che danno un’atmosfera “horror” e che va a rimpiazzare il primo titolo scelto per la titletrack dell’album, appunto Starlight. L’idea di fondere l’anima pop del pezzo in una danza macabra è del furbissimo Quincy Jones. Il risultato? Il video di Thriller si rivelò un successo senza precedenti: l’omonimo album balzò nuovamente in testa alle classifiche di tutto il mondo (le vendite triplicarono) e la neonata rete MTV registrò per la prima volta ascolti da record. Il cortometraggio, diretto da John Landis, costò complessivamente più di 500.000 dollari (all’epoca conseguì il primato di video più costoso della storia) ed è considerato uno dei primi video musicali ad avere una trama, una coreografia, degli effetti speciali e in generale uno stile “hollywoodiano”.

Una trovata geniale e l’inizio di un tris che segnerà per sempre la carriera di Jackson. Al climax pop in salsa horror della title track segue la bomba disco-rock di “Beat It”, con l’assolo memorabile del sopracitato Van Halen, in quello che resta il più riuscito dei crossover di Jackson: un incrocio perfetto tra l’R&B della black music e il rock e l’heavy metal dei bianchi, ed ebbe il merito di introdurre sul mercato il cosiddetto rock nero, mentre altri critici la definirono dance metal. Steve Lukather raccontò che Van Halen suonò delle improvvisazioni e il celebre solo fu montato tagliando e incollando spezzoni di nastro da Lukather stesso e Jeff Porcaro dei Toto.

A chiudere il triangolo magico, è il basso indimenticabile di Louis Johnson che infiamma l’intro eternamente irresistibile dell’altra hit per eccellenza ossia “Billie Jean”. Nella storia della musica pop possiamo trovare tante hit in scia disco-music dal passo contagioso, ma poche hanno la capacità di mettere d’accordo tutti: il video, grazie alle sue coreografie e al talento straordinario di Jackson, rivoluzionò completamente il modo di fare videoclip conosciuto fino ad allora e creò rapidamente uno stereotipo del quale Jackson fu un emblema. Lo stile cinematografico fu poi ripreso, riadattato e migliorato nella successiva clip di Beat It, per esplodere con Thriller.

Il cantato più rilassato e riflessivo di “Human Nature” distende a sua volta gli animi, prima dell’ennesimo refrain contagioso. La parte strumentale del pezzo vede all’opera tutti i membri dei Toto: David Paich e Steve Porcaro alle tastiere, Steve Lukather alla chitarra e Jeff Porcaro alla batteria. “P.Y.T. (Pretty Young Thing)” rimarca la natura synth-funk dell’opera, prima che le luci soffuse dell’altra ballata sentimentale del disco, “The Lady In My Life”, chiudano l’album tra un basso funky che scodinzola e lo strazio di Jackson per quello che rimane un amore irrisolvibile.

 

Foto Camilla Morandi / AGF

 

E questo è quanto. Anzi, no: perché ancora oggi, canzone dopo canzone, emozione dopo emozione, Thriller si rivela un ascolto che non lascia scampo. Un vero asso pigliatutto.

Michael Jackson scrisse un messaggio motivazionale a sé stesso, ritrovato dopo la sua morte:

“MJ sarà il mio nuovo nome, non più Michael Jackson. Voglio un personaggio completamente nuovo, un look completamente nuovo, dovrei essere una persona completamente diversa.

La gente non dovrebbe mai pensare a me come al ragazzino che ha cantato ABC e I Want You Back […] Dovrei essere un nuovo incredibile attore, cantante, ballerino che sconvolgerà il mondo. Non rilascerò interviste. Sarò magico.

Sarò un perfezionista, un ricercatore, un formatore, un maestro […] studierò e guarderò indietro a tutto il mondo dell’intrattenimento per perfezionalo e per portarlo un passo avanti rispetto a dove si erano interrotti i grandi.

Il successo di “Thriller” darà vita a una scalata clamorosa di Jackson nei piani altissimi dello star-system mondiale, con lo scettro acquisito di Re del Pop che lo porterà a conquistare ogni angolo del pianeta rimasto scoperto. I successivi “Bad” e “Dangerous” amplieranno la sua fama, consolidando il suo trono. La stella polare del firmamento pop di ogni epoca.

 

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“Rewind” è un appuntamento mensile con gli album che hanno fatto la storia della musica: un viaggio attraverso gli anni alla ricerca di quelle pietre miliari che tanto hanno saputo cambiare lo scenario musicale, scolpendo in modo indelebile la figura di un artista o di una band nell’immaginario culturale, consacrandoli per sempre a miti della musica.

Nicola Morgan SgarbiNicola “Morgan” Sgarbi classe ‘92, da sempre appassionato di tutto ciò che è nerd e musica, decide di fare diventare questa passione il suo lavoro.

Dal 2014 è docente di chitarra elettrica, acustica, musica d’insieme e propedeutica musicale presso la Fondazione Scuola di Musica “Carlo e Guglielmo Andreoli” di Mirandola, nonché co-organizzatore del concorso musicale “Mirandola Rock” e uno dei coordinatori del progetto “A scuola di Rock” della Fondazione stessa.

Ha suonato in svariati gruppi e formazioni musicali nel corso della sua adolescenza. Al momento suona come chitarrista nei seguenti progetti:

  •  “Coro Moderno Mousiké” della Fondazione “Andreoli”
  •  quartetto acustico “Pull Lovers”
  • duo acustico “MorgAnn”
  • “Pahann” progetto solista in cui è arrangiatore e produttore assieme a Cam Alchemy

 


 


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