Natale, la riflessione sul Vangelo del Vescovo Francesco Cavina: “Dio si è fatto uomo perché l’uomo diventasse Dio, per grazia”

Scritto da il 25 Dicembre 2020

La riflessione sul Vangelo di Natale – venerdì 25 dicembre 2020 – di monsignor Francesco Cavina*:

O Dio, che in modo mirabile ci hai creati a tua immagine, e in modo più mirabile ci hai rinnovati e redenti, fa che possiamo condividere la vita divina del tuo Figlio, che oggi ha voluto assumere la nostra natura umana” (Colletta).

La creazione dell’uomo ad immagine e somiglianza di Dio è stata un’opera mirabile. Con il peccato l’immagine di Dio in noi è stata deturpata, ma non cancellata. Ora, se la creazione dell’uomo è stata un’opera meravigliosa, che ha stupito Dio stesso (vide che era cosa molto buona, la traduzione letterale dice molto bella) e stupito gli stessi angeli perché vedevano specchiata nell’uomo l’immagine del loro Dio, la redenzione – che ci ha resi nuove creature riscattandoci dalle potenze di morte – è stata un’opera ancora più meravigliosa. Mentre la prima creazione ha posto in essere l’uomo dal nulla, la nascita di Gesù ha dato alla natura umana la dignità di partecipare alla vita divina. Appare evidente che la redenzione è un evento che ha superato la creazione stessa. Per questo l’exultet Pasquale canta: “O Felix culpa!”.

La preghiera, dopo averci portato a contemplare il mistero, diviene  umile richiesta: Fa’ che possiamo condividere la vita divina del tuo Figlio, che oggi ha voluto assumere la nostra natura umana. La liturgia per designare l’opera redentiva di Cristo nei confronti dell’uomo, parla di “scambio”. Il mistero del Natale è dunque un “mirabile scambio” tra Dio e l’uomo. Noi diamo a Dio la nostra natura umana e Lui che cosa ci offre in cambio? Ci offre un dono ineffabile! La partecipazione reale ed intima alla sua stessa vita. Dio si fa fragile (cfr Fil 2, 5-9) per dare all’uomo la dignità incomparabile di diventare suo figlio adottivo. Prende la nostra povertà per donarci la sua ricchezza; prende la nostra morte per donarci la sua vita; prende la nostra corruzione per donarci la sua incorruttibilità. “Io sono la vita”, dice Cristo di se stesso, e per questo è venuto, per darci la vita in pienezza, la nostra divinizzazione.

I grandi Padri della Chiesa, Atanasio, Gregorio di Nazanzio e Agostino, rifacendosi ad Ireneo, hanno coniato una formula che è divenuta classica: “Dio si è fatto uomo perché l’uomo diventasse Dio, per grazia”. Non stiamo dicendo solo delle belle parole o facendo dell’accademia, ma raccontando l’infinito amore di Cristo e la dignità a cui l’uomo viene elevato quando si apre all’amore divino. Riportati alla nostra condizione originaria perché divenuti “simili a Dio”, siamo chiamati a vivere in santità di vita perché egli è santo: Siate santi, perché io sono santo (Lev 11,44) Ora la santità consiste nel vivere il precetto dell’amore, non a parole, ma coi fatti e nella verità (1Gv 3,18) perché “Dio è carità” (1Gv 4,18) e verità.

La luce del Natale, il dono di grazia che si sprigiona dal Bambino di Betlemme raggiunge la nostra vita attraverso la celebrazione eucaristica, dove le barriere del tempo sono superate dalla presenza del Signore. Per questa ragione diciamo “Oggi Cristo è nato!”, “Oggi Cristo è risorto!”. Nel mistero eucaristico la temporalità della vita di Cristo viene inserita nella nostra storia e così ci è dato di entrare in rapporto diretto con la sua persona. Noi diventiamo, nella celebrazione eucaristica, i pastori che vanno a Betlemme per adorare Dio nella sua manifestazione visibile ma, anziché trovare l’umanità piccola e fragile di un Bambino, troviamo un segno ancora più povero e umile: un po’ di pane e di vino che però tali non sono più, perché corpo, sangue, anima e divinità di Cristo, per la nostra salvezza.

Il grande teologo russo, Vladimir Soloviev, termina con queste parole una sua poesia sul Natale: “E tu porta con te il gioioso mistero: il male è impotente. Noi siamo eterni/ perché Dio – Emmanuele – ormai sta con noi”. Il discepolo di Gesù recepisce, fin d’ora, che il confine del suo esistere non è solo la natura umana. Infatti, con l’Incarnazione i trovano finalmente risposta le grandi domande che ogni uomo porta con sè: Da dove vengo? Chi sono? Dove vado?

Cristo, infatti, si presenta come Colui che è all’origine di tutto, il senso delle cose e degli accadimenti e il fine verso cui tutto converge.

L’origine perché ciascuno di noi è stato pensato, voluto e amato da Dio in Cristo come figlio, “fin dall’eternità” (Ef 1,4ss). Non siamo il frutto del caso, ma il termine di un atto d’amore, che pone l’uomo e la donna al vertice della creazione (cfr Gen 1,31).

Cristo è il senso perché grazie a Lui scopriamo che la realtà non è governata dal destino, dal caso, dalla fortuna o dalla sfortuna, ma da Dio. E poiché Egli si è fatto compagno della nostra esistenza e si è lasciato coinvolgere perfino nella nostra stessa morte per aprirci l’accesso alla vita, la realtà non è più “l’acerbo indegno mistero delle cose” (Leopardi, Le ricordanze 71-72), ma luogo dove Dio manifesta la sua tenerezza ed il suo progetto d’amore per l’umanità.

Cristo è il fine verso il quale la realtà e l’uomo sono incamminati. A quanti lo accolgono dà il potere di diventare figli di Dio. E così ci viene svelato che il destino finale della nostra vita non è la morte, ma quello di “partecipare alla sua gloria nel cielo” (Colletta Messa della Notte). Con ragione, dunque, la nascita di Cristo può “Risvegliare la fede”, “donare pace e concordia”, “lenire la durezza dei cuori”, “accendere il desiderio della patria celeste” (Inno Lodi, Venerdì III settimana T.O.).

*Vescovo Emerito di Carpi 

 

 

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