Cristiani e perseguitati – La persecuzione senza fine dei cristiani in Pakistan
Scritto da Elisa Gestri il 5 Maggio 2024
Cristiani perseguitati in Pakistan, una speranza dall’Italia per le minoranze religiose
Cristiani e perseguitati – Secondo la World Watch List 2024, il report annuale sulla persecuzione dei cristiani nel mondo a cura dell’associazione Porte Aperte/Open Doors, il Pakistan è il settimo luogo al mondo, subito dopo la Nigeria, dove è più pericoloso essere cristiani, rientrando nella Top 13 dei Paesi dove i cristiani soffrono una persecuzione estrema.
Il Pakistan è la seconda nazione al mondo dopo la Nigeria dove si manifesta più violenza anticristiana in assoluto. Inoltre, è tra i Paesi in cui nel 2023 si è registrato il maggior numero di cristiani rapiti ed arrestati, rispettivamente 100 e 200.
In un Paese in cui la popolazione di quasi 234 milioni di abitanti è a stragrande maggioranza di religione islamica, i cristiani sono poco più di quattro milioni e vivono in un ambiente decisamente ostile.
Il maggior numero di persecuzioni avviene nel Punjab, regione al confine con l’India dove si concentra la maggioranza dei cristiani, e nel Sindh, dove tra i prigionieri dei numerosi campi di lavoro forzato si registrano moltissimi cristiani.
Attentati alla libertà religiosa si verificano in Pakistan da anni, ma secondo il rapporto di Open Doors nel corso del 2023 c’è stata un’ escalation, fino ad arrivare ai pogrom anticristiani di agosto nella città di Jaranwala. In seguito ad accuse infondate di profanazione del Corano rivolte a due fedeli, sono state devastate circa venti chiese e cento case e bruciate centinaia di Bibbie. Il Senato del Pakistan ha infatti inasprito ulteriormente le leggi sulla blasfemia, che vengono utilizzate come pretesto per attaccare i cristiani, ed aumentato le pene previste per tali reati.
I cristiani ed i credenti delle altre minoranze religiose come hindu, buddisti, sikh ed ebrei vengono discriminati dalle autorità e perseguitati anche in altri modi: secondo Open Doors le autorità riservano loro i lavori più umili, sporchi e degradanti; vengono chiamati “chura”, parola dispregiativa che significa sudicio.
Donne e ragazze cristiane rischiano ogni giorno di essere rapite e abusate sessualmente, costrette a matrimoni forzati ed alla conversione all’islam, oltre che di cadere vittime di delitti d’onore e della tratta di esseri umani. Le persecuzioni coinvolgono anche gli uomini, in particolare giovani e ragazzi, che vivono nel timore di essere accusati di blasfemia, incarcerati, condannati al lavoro forzato, stuprati ed uccisi.
I cosiddetti muslim background believers, cioè cristiani ex-musulmani, sono tra coloro che rischiano di più: i convertiti sono costretti a nascondersi e riunirsi in chiese clandestine, impossibilitati a rivelare apertamente la nuova fede cristiana, pena la persecuzione grave e la morte.
Leggiamo questi dati allarmanti con Shahid Mobeen, a Roma dal 1993, fondatore dell’associazione dei Pakistani Cristiani in Italia.
“I cristiani in Pakistan vengono perseguitati, ma non ufficialmente” spiega il professor Mobeen. “Nella Costituzione pakistana è infatti prevista la libertà di praticare il proprio culto, ma non esiste libertà religiosa tout court.
Per perseguitare i cristiani in maniera indiretta si utilizzano tre strumenti: in primo luogo, il largo abuso delle leggi sulla blasfemia, per cui nessun cristiano è al riparo dall’accusa infondata di aver bestemmiato o profanato il Corano e l’Islam; poi, i curricola scolastici, che prevedono l’insegnamento obbligatorio del Corano non solo nelle scuole islamiche, ma anche alle superiori e nelle Università, in modo da insegnare a bambini e ragazzi la supremazia dell’islam e l’odio per le altre religioni; infine, le conversioni forzate all’islam delle bimbe dai nove ai tredici anni, che vengono rapite, abusate e costrette al matrimonio islamico.”
È sempre stato così?
“No. Alla sua nascita nel 1947 il Pakistan era uno Stato laico e svincolato dalla religione. Peraltro, la nazione pakistana non sarebbe nata senza i voti determinanti dei tre deputati cristiani del Punjab, che appoggiarono la separazione dall’India del padre fondatore del Pakistan, il musulmano ismailita Muhammad Ali Jinnah.
Negli anni, però, le pressioni del fondamentalismo sciita e sunnita sul Governo indussero il Presidente Zulfiqar Ali Bhutto, padre di Benazir, ad introdurre nel 1973 un Preambolo alla Costituzione tuttora in vigore, che andava in direzione opposta. Bhuttu cambiò inoltre il nome del Paese in Repubblica islamica del Pakistan.
Successivi emendamenti introdotti dal generale Muhammad Zia radicalizzarono ulteriormente la Costituzione in senso islamico: la sharia ne divenne il fondamento e vi trovarono spazio per la prima volta le leggi contro la blasfemia, che dettero il via libera alle persecuzioni dei cristiani, fino ad arrivare ad episodi clamorosi come l’arresto e l’incarcerazione della giovane mamma Asia Bibi nel 2010 e l’omicidio del ministro per le minoranze religiose Shahbaz Bhatti nel 2011.
Il risvolto positivo di questi casi è che hanno avuto molta risonanza a livello internazionale ed è iniziata una grande mobilitazione in tutto il mondo a favore dei pakistani cristiani perseguitati“.
A questo proposito, cosa può fare la Comunità Internazionale?
“Molto. Il contributo internazionale è determinante in molte situazioni, ad esempio nel recupero delle bambine rapite, violentate e costrette alla conversione e al matrimonio forzati: quando si è riusciti ad attirare l’attenzione internazionale sulle vittime di questi atti violenti è stato possibile riportarle a casa.
Poiché legalmente non si può fare nulla contro questi abusi, se il caso passa sotto silenzio la bambina, dopo qualche mese passato a fare da schiava sessuale al marito, viene generalmente rivenduta sui mercati di Emirati Arabi, Cina e Thailandia.
Noi pakistani cristiani chiediamo che la Comunità Internazionale iintervenga per salvaguardare libertà religiosa, istruzione e sviluppo economico: in questo modo le persecuzioni religiose non si estinguerebbero, ma diminuirebbero notevolmente“.
E in Italia come vivono i pakistani cristiani?
“In Italia il quadro è simile al Paese d’origine: nel 2023 in Italia c’erano poco meno di 145.000 pakistani, di cui solo tremila cristiani.
Purtroppo anche in Italia si riproduce l’odio religioso della madrepatria: basti pensare che spesso i richiedenti asilo cristiani si sentono giudicati dal traduttore di fede islamica, che spesso non descrive in modo coerente ciò che i richiedenti dicono“.
Vivere in Italia non predispone i pakistani musulmani ad una maggiore tolleranza verso i cristiani e, in generale, ad una maggire apertura?
“Certamente no, ed il caso della povera Saman, uccisa dalla famiglia per aver rifiutato un matrimonio combinato, ne è una prova. Il nucleo familiare abita a Brescia da molti anni, eppure, come la gran parte dei musulmani in Occidente vive completamente ghettizzato.
I pakistani musulmani emigrati vivono e si comportano come se fossero ancora nel loro villaggio sulle montagne del Pakistan, Paese dove ufficialmente solo il 55% della popolazione è alfabetizzato, mentre si ritiene che in realtà solo il 20% sappia leggere e scrivere“.
Facendo un passo indietro rispetto all’età contemporanea per cercare di mettere a fuoco la difficile situazione attuale, ripercorriamo con don Gilbert, sacerdote cattolico originario del Punjab, le tappe dell’evangelizzazione del Pakistan.
Nato nel villaggio di Rangpur nella diocesi di Multan, don Gilbert è parroco da otto anni di un paese in provincia di Firenze. Dal 1995 in italia, ha studiato presso l’Università Urbaniana di Roma per essere quindi destinato alla diocesi di Bari-Bitonto ed in seguito a quella toscana.
“È storicamente accertato che San Tommaso arrivò fino in India: nel Kerala sono state ritrovate croci ed oggetti di culto relativi alla presenza di una comunità cristiana circa cento/duecento anni dopo la predicazione di Gesù.
Occorre però attendere il XVII° secolo per l’evangelizzazione dello Sri Lanka e della regione pakistana del Punjab ad opera del missionario indiano Joseph Vaz, canonizzato nel 2015 a Colombo da Papa Francesco.
Nei secoli successivi missionari di vari ordini religiosi si sono avvicendati nella regione, dai domenicani ai cappuccini: è grazie a questi ultimi che la mia famiglia si convertì al cristianesimo all’inizio del Novecento“.
Come definirebbe, da sacerdote, la libertà religiosa?
“A mio avviso perché esista libertà religiosa sono necessarie le seguenti condizioni: puoi credere in quello che vuoi, oppure anche non credere; puoi affermare la tua fede in pubblico; puoi propagandare liberamente la tua fede“.
Ed in relazione al Pakistan?
“In Pakistan la piena libertà religiosa esiste, ma per il 97% della popolazione, ossia quella musulmana; anche se in realtà ai musulmani non è concesso dichiararsi atei o affermare di non credere, dunque ci sono restrizioni anche per loro.
Il restante 3% della popolazione ha solo la libertà di culto, cioè può praticare la propria fede in privato, a casa propria o in chiesa.
Ad esempio, non si può dire pubblicamente «io credo in Gesù Cristo, figlio di Dio, nato da Maria Vergine», si può solo dire «io sono cristiano» e basta”.
Riguardo alle terribili violenze in atto contro i cristiani, è possibile che rimangano impunite?
“Anzi, se un musulmano uccide un fedele di qualche minoranza religiosa è considerato un eroe, perché ha ucciso un infedele. Anche se chi si è macchiato dell’azione omicidiaria fosse messo in carcere per qualche giorno, sarebbe trattato con tutti gli onori“.
Don Gilbert ed il professor Mobeen sono stati invitati il 22 aprile scorso a Palazzo Chigi ad un incontro per istituire, su iniziativa dell’onorevole Tajani, una Consulta sulla libertà religiosa in seno alla Camera dei Deputati.
Coordinato da Davide Dionisi, inviato speciale del governo italiano per la libertà religiosa, l’incontro ha visto la partecipazione di rappresentanti della Comunità di S. Egidio e dell’ ufficio per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso dell’Ordinariato Militare; lo scopo è sensibilizzare a livello istituzionale sulle gravi limitazioni alla libertà religiosa nel mondo.
“Sono fiducioso” afferma in merito all’iniziativa don Gilbert. “Quando ci mobilitammo in Campidoglio per Asia Bibi ottenemmo grande ascolto e partecipazione. Ci auguriamo che, grazie alla Consulta, le istituzioni ascoltino le nostre istanze“.