È ancora valida la frase: “Alla fine è sempre un plotone di soldati a salvare la civiltà”?
Scritto da Giulio Bonzanini il 13 Aprile 2021
La celebre frase di Oswald Spengler, tratta dal libro “Il tramonto dell’Occidente”, risulta oggi la più adatta a descrivere quest’anno convulso causato dall’emergenza conseguente alle restrizioni relative al Covid-19.
È dei primi giorni di marzo, infatti, la notizia della sostituzione del Commissario Arcuri con il Generale di Corpo d’Armata dell’Esercito Francesco Paolo Figliuolo, in una delle prime nomine compiute dal neo Presidente del Consiglio Draghi, per segnare quel cambio di passo indispensabile a favorire una necessità non più rimandabile per imprese, lavoratori e cittadini: una ripresa rapida e ordinata della normalità, con riaperture che permettano all’Italia di ripartire con regole chiare e precise.
Il ruolo della politica
Questo auspicio porta alla mente ciò che, più di una volta, ha rappresentato una costante nella gestione della politica e della diplomazia italiana, da decenni incapace di esprimere una classe dirigente adeguata per il grande Paese che siamo e costretta a più riprese ad attingere a quelle figure “tecniche” che frequentemente appartengono al troppo spesso bistrattato mondo militare o delle grandi aziende a partecipazione statale che svolgono concretamente quel ruolo che, invece, competerebbe alla Farnesina e alle diverse istituzioni governative.
Una diplomazia che voglia dirsi veramente capace, con strumenti utili a svolgere il ruolo che le compete, non può infatti fare affidamento unicamente alle capacità di mediazione politica, ma deve poter contare su una forza militare all’avanguardia, non necessariamente grande nei numeri, ma che sia tecnologicamente avanzata e pronta a svolgere quella che, nelle varie missioni all’estero come anche nei presidi delle varie ambasciate italiane nel mondo, rappresenta un prolungamento della proiezione di potenza di un Paese appartenente al G7.
Una missione che potremmo e dovremmo esprimere non solo per difendere il nostro interesse nazionale, ma anche nel rispetto dei tanti nostri servitori dello Stato (come il nostro Ambasciatore in Congo Luca Attanasio, vittima di un attentato nel febbraio scorso assieme al carabiniere Vittorio Iacovacci e all’autista Mustapha Milambo) e come mediatori in quella zona strategica che prende il nome di Mediterraneo allargato.
Mediterraneo allargato
Il concetto di Mediterraneo allargato nasce dall’esigenza di definire quell’area che vede il nostro mare come bacino principale, ma a sua volta collegato a tutti quei mari e quelle aree vicine o collegate culturalmente, politicamente e geograficamente, come il Sahel o il Mar Rosso, fino al Mar Nero e al Golfo Persico. Ponti che, in un mondo così globalizzato, collegano inevitabilmente l’Italia e l’Europa all’Africa e al Medio Oriente, non limitandosi quindi ai suoi confini marittimi naturali rappresentati dallo Stretto di Gibilterra e dal Canale di Suez.
Parliamo quindi di quelle terre (e quei mari) che sono il centro di interessi strategici fondamentali per il nostro Paese e per le nostre aziende e dai quali non possiamo assolutamente essere esclusi, così come avvenuto, ad esempio, in Libia e nel Corno d’Africa.
Terre complesse e a pochi passi dai nostri confini, su cui ha puntato invece la Turchia di Erdogan in un ritrovato slancio imperialista e neo-Ottomano e la cui instabilità politica ha aperto le porte alla diffusione dell’estremismo islamico e di quel caos che ha generato solo ulteriore povertà, insicurezza e immigrazione clandestina.
L’opportunità dell’Esercito per il nostro Paese
Ciò che emerge da questa riflessione è l’assoluta necessità per l’Italia di un apparato militare che non sia visto come strumento d’offesa, in contrasto con quanto espresso nell’articolo 11 della Costituzione, quanto invece come una grande risorsa per il Paese a fini difensivi, diplomatici e a tutela di un interesse nazionale sempre più complesso da delineare, in un XXI secolo nel quale sono venuti meno gli schemi, le alleanze e i “blocchi” del passato, lasciando il posto invece ad un mondo sempre più multipolare.
Giulio Bonzanini è nato a Carpi nel 1993 e attualmente lavora in un’azienda del settore biomedicale in provincia di Modena.
Appassionato di storia e cultura, dal 2019 ricopre il ruolo di Consigliere Comunale d’opposizione nel Comune di Carpi e nell’Unione delle Terre d’Argine.