Spiritualità – Solennità dell’Ascensione, la riflessione sul Vangelo di oggi del Vescovo Emerito di  Carpi Francesco Cavina:

 

 

Dopo la Risurrezione, il posto di Cristo non è più accanto agli apostoli sulla terra, ma nella gloria eterna di Dio. Per questo motivo, san Luca conclude il suo Vangelo con l’episodio dell’Ascensione: “Gesù si staccò da loro e veniva portato su, in cielo”. Con queste parole, l’evangelista vuole farci comprendere che il Risorto non è semplicemente tornato alla vita di prima, ma è entrato in una realtà nuova e definitiva: è asceso alla gloria del Padre, portando con sé anche la nostra umanità.

Con l’Ascensione, Gesù affida agli Apostoli — e tramite loro a tutta la Chiesa — una missione universale: annunciare il Vangelo a tutti i popoli. Questo annuncio deve avvenire “nel suo Nome”, cioè fondato sulla Sua autorità, e non su opinioni personali. Gli apostoli sono chiamati a testimoniare la morte e la risurrezione di Cristo, perché il cristianesimo non si fonda su regole morali o su una generica ricerca spirituale — cose che anche l’uomo, da solo, può elaborare. Al centro della fede cristiana c’è un fatto concreto e unico: Gesù è morto ed è risorto. Senza questo evento, il cristianesimo perderebbe la sua verità e il suo significato più profondo. Solo se Cristo è veramente risorto, e vive, allora possiamo guardare alla nostra vita con una nuova speranza, con gli occhi dell’eternità.

In questa luce, anche la morte non è più la fine, ma un passaggio verso la vita piena. Per chi ha creduto in Cristo non vi sarà un giudizio di condanna, ma l’ingresso nel Regno di Dio, dove “non ci sarà più né lutto né pianto, né dolore”. La Chiesa è stata voluta da Cristo per questo scopo preciso: annunciare al mondo che Dio si prende cura di ogni persona, in questa vita e oltre la morte. L’uomo non è il risultato del caso o di un destino cieco, ma è stato voluto, amato, chiamato per fare parte della Famiglia di Dio, già da ora e per l’eternità. È un destino così alto da ispirare anche le parole di uno scrittore come Cesare Pavese: Sapersi infinitamente importante per qualcuno: in questo sta il cristianesimo. Per questo non potrà mai morire.”

Con l’Ascensione, Cristo non ci abbandona, ma inaugura una nuova forma di presenza. Non è più accanto a noi in modo visibile e fisico, ma vive in mezzo a noi in modo vero, seppure  misterioso, nella comunità dei credenti. Cristo è presente nella sua Chiesa. È vero: è salito al cielo ed è alla destra del Padre, ma nello stesso tempo ha promesso di rimanere con noi fino alla fine dei tempi. L’Eucaristia è il segno concreto, il pegno sicuro di questa presenza reale: ogni volta che partecipiamo alla Santa Messa e ci nutriamo del suo Corpo e del suo Sangue, diventiamo un po’ più cittadini del cielo.

Possiamo allora affermare con fiducia: l’ascesa di Cristo al Padre è la garanzia della nostra stessa ascesa, quando un giorno anche noi “saremo saziati alla vista del suo volto”. L’Ascensione non è dunque un distacco malinconico, ma una festa di arrivo, la gioia della nostra destinazione definitiva.