Rewind – Ritorno alle origini per i Toto
Scritto da Nicola Morgan Sgarbi il 5 Luglio 2021
Rewind Episodio 2 – È il 1981 e la Columbia Records ha appena dato a un gruppetto un ultimatum: “O il quarto disco sarà un successo o non avrete più un contratto!”
Non sembrava un’impresa impossibile visto che solo tre anni prima, nel 1978, quella stessa band aveva composto e suonato successi come “Hold The Line”, “I’ll Supply the Love” e “Georgy Porgy” dimostrando così che dei turnisti potevano diventare dei musicisti di successo.
Un album di debutto ricco di generi così diversi, ma così amalgamati bene tra loro, da far calzare a pennello il nome scelto per la band e per l’omonimo primo album: Toto.
La scelta del nome della band deriva dal batterista Jeff Porcaro, che al momento della registrazione delle prime demo aveva appena visto il film “Il mago di Oz”, in cui il cane di Dorothy, la protagonista del film, si chiama “Toto”.
Solo successivamente il nome divenne ufficiale: fu David Hungate, il bassista del gruppo, a far notare che in latino la parola toto significa “totale”, “che comprende tutto”.
Ma come erano passati dal successo mondiale a rischiare di non avere quasi più un contratto?
Uno sguardo al passato e uno al presente
L’album appena pubblicato, il terzo, intitolato “Turn Back” si rivela un flop pauroso, ancor più del precedente “Hydra” del 1979.
Certo la critica musicale è sempre stata piuttosto dura con il gruppo: la rivista Rolling Stone giudicò negativamente l’album d’esordio e sottolineò come il tentativo di passare da turnisti a musicisti in carriera fu del tutto fallimentare, aggiungendo inoltre che le canzoni di David Paich non erano altro che “scuse per assoli e parti strumentali”.
La stessa rivista disse anche che né Paich, né Steve Lukather, né Steve Porcaro fossero vocalmente eccezionali, mentre del cantante Bobby Kimball disse addirittura che era terribile.
Era evidente che il gruppo fosse passato dalla capacità di riuscire a comporre canzoni di qualsiasi genere, a non riuscire ad amalgamare tra loro le capacità dei singoli musicisti, tutti turnisti di lusso a cavallo degli anni ‘70.
La band decide così di ritornare alla formula che aveva contribuito al successo del primo album, abbracciando molti generi musicali diversi tra loro, affidandosi anche ad alcuni musicisti esterni per contribuire a rendere il suono più vario e raffinato possibile: Joe Porcaro, padre di Steve e Jeff, alle percussioni e Mike Porcaro, il loro fratello di mezzo, che sarebbe entrato stabilmente in formazione al basso sostituendo Hungate.
Il tutto sarà impreziosito dagli archi della Martyn Ford Orchestra, diretti ed arrangiati da James Newton Howard, che vennero registrati agli Abbey Road Studios di Londra.
O tutto o niente
L’album sarà un successo mondiale, scalando in breve tempo le classifiche di tutto il mondo, portando ai Toto un numero sempre maggiore di ascoltatori, oltre un triplo disco di platino per le vendite negli Stati Uniti e 6 Grammy Awards, tra cui “Album dell’Anno”: il premio varrà loro la convocazione da Quincy Jones per aiutare Michael Jackson nella produzione di “Thriller”. David Paich ricordò quei momenti in un’intervista:
Michael ci coinvolse molto nel progetto, ed era un perfezionista. Stava sempre in sala con noi, seduto da una parte, lasciandoci la più completa libertà in quello che facevamo: “Immaginate di essere Michelangelo mentre dipinge la Cappella Sistina. Non avete limiti!” diceva.
La parte di basso e di chitarra ritmica di “Beat It” sono infatti opere di Steve Lukather, mentre “Human Nature” è stata scritta e composta da Steve Porcaro: la canzone restò però fuori dalle fasi finali del missaggio di “Toto IV”, la stessa sorte che ha rischiato di subire “Africa” divenuto poi uno dei maggior successi, se non il più grande successo della band, grazie anche ai numerosi passaggi radiofonici e su MTV. La canzone, infatti, raggiungerà le vette delle classifiche nel febbraio del 1983.
I migliori al mondo
Se Africa chiude l’album, “Rosanna” è la traccia numero uno che diventerà anche il primo singolo estratto e la definizione del Rock Mainstream degli anni ‘80: la parte ritmica di Jeff Porcaro alla batteria costituisce un intro dai sapori Jazz che si mescola così bene alla chitarra ritmica decisamente più Funk di Lukather, che è anche la voce nella prima parte della strofa. Essa si evolve e lascia il posto a quella di Kimball in un crescendo dal sapore decisamente Rock che si spegne improvvisamente.
Il ritornello parte piano, con uno schiocco di dita che sembra quasi essere più importante della parte vocale decisamente più Pop, che esplode anticipata da un virtuosismo musicale che fa ben presto capire perché i Toto erano i migliori musicisti e turnisti sulla piazza nel 1982: in appena un minuto e mezzo di brano hanno saputo magistralmente mescolare quattro generi così diversi tra loro, amalgamandoli così bene dal portare l’ascoltatore fino alla jam session finale che chiude il pezzo.
“Make Believe” è il secondo singolo estratto e anche la seconda traccia dell’album: un intro di piano che ricorda molto Elton John ed i Beatles, impreziosito dal sax di Jon Smith che va a strizzare l’occhio ai Supertramp, mentre la vena più rock sa tanto di Steely Dan: ancora una volta spicca la capacità dei Toto di riuscire a creare un tappeto musicale su cui intrecciare le diverse vocalità dei membri della band.
La terza traccia “I Won’t Hold You Back” ne è un esempio: Lukather e la sua voce, con l’aiuto dell’orchestra, riescono a rendere questa ballad un po’ troppo sdolcinata, molto più malinconica grazie al testo scritto dallo stesso Lukather che ne smorza i toni, dimostrando una capacità che va oltre a quella di essere solo bravi musicisti, ma anche dei grandi compositori ed autori.
Oltre al chitarrista, anche i tastieristi Steve Porcaro e David Paich firmano e cantano due brani molto diversi tra loro: il primo firma e canta “It’s a Feeling”, la cui atmosfera piomba nella scaletta come un alieno, con le sue chitarre eteree e delicatissime, le tastiere che lasciano rivoli di suono in lontananza, la voce che non si increspa mai.
Il secondo invece si prende la scena con “Lovers in the Night”: il brano è la naturale prosecuzione e conclusione del precedente “Afraid of Love” introdotto dal pianoforte di Paich che lascia posto alla sua voce prima di esplodere in una coralità rock sul ritornello, con uno stile che ricorda molto quello dei Journey.
Nell’album c’è anche spazio per la musica Funk e Disco e per esaltare la capacità vocale di Kimball: “Waiting for Your Love” è sicuramente il miglior brano tra quelli cantati solamente dal frontman, con il pianoforte elettrico sincopato, il giro di basso levigato, ma soprattutto la voce, grintosa e potente, consapevolmente la più dotata fra quelle del sestetto, per quanto presto parzialmente compromessa dall’abuso di alcol e droghe che ne segneranno il licenziamento nel 1984.
Toto IV è sicuramente un album che merita più di un semplice ascolto, per cogliere tutte le più piccole sfumature che sono presenti grazie alle diverse sovraincisioni e alle scelte stilistiche e musicali dettate da quelli che molto probabilmente sono e saranno per sempre una delle migliori, se non la migliore, rock band mai esistita.
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“Rewind” è un appuntamento mensile con gli album che hanno fatto la storia della musica: un viaggio attraverso gli anni alla ricerca di quelle pietre miliari che tanto hanno saputo cambiare lo scenario musicale, scolpendo in modo indelebile la figura di un artista o di una band nell’immaginario culturale, consacrandoli per sempre a miti della musica.
Nicola “Morgan” Sgarbi classe ‘92, da sempre appassionato di tutto ciò che è nerd e musica, decide di fare diventare questa passione il suo lavoro.
Dal 2014 è docente di chitarra elettrica, acustica, musica d’insieme e propedeutica musicale presso la Fondazione Scuola di Musica “Carlo e Guglielmo Andreoli” di Mirandola, nonché co-organizzatore del concorso musicale “Mirandola Rock” e uno dei coordinatori del progetto “A scuola di Rock” della Fondazione stessa.
Ha suonato in svariati gruppi e formazioni musicali nel corso della sua adolescenza. Al momento suona come chitarrista nei seguenti progetti:
– “Coro Moderno Mousiké” della Fondazione “Andreoli”
– quartetto acustico “Pull Lovers”
– duo acustico “MorgAnn”
– “Pahann” progetto solista in cui è arrangiatore e produttore assieme a Cam Alchemy
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