Da Franco Anderlini a Julio Velasco: la pallavolo ha avuto il coraggio di cambiare e ha raccolto i frutti

 

Il professor Franco Anderlini pioniere della pallavolo in Italia, scomparso prematuramente a 62 anni nel 1984

C’era una volta la pallavolo di cui Franco Anderlini fu l’uomo più rappresentativo

Lo sviluppo della pallavolo in Italia, dal ’46 in avanti, ha avuto un grande ed assoluto protagonista: il prof. Franco Anderlini. Modenese del ’21, diplomato all’Isef, dal 1948 in poi ha reso la sua città, Modena, il capoluogo della pallavolo Italiana.

Studioso di tutti gli aspetti del gioco è stato l’allenatore più vincente in campo nazionale con l’Avia Pervia prima e la Panini dopo conquistando ben otto scudetti e avviando alla pallavolo decine di atleti che sarebbero diventati colonne anche della nazionale di cui il prof. (come lo chiamavano i suoi giocatori) divenne commissario tecnico nel 1975 ed ottenne subito una storica qualificazione alle Olimpiadi di Montreal appunto nel ’76.

Moltissimi dei suoi giocatori più importanti provenivano dal liceo Tassoni di Modena in cui il prof. insegnava educazione fisica.

Per uno scherzo del destino Franco Anderlini morì prematuramente in un incidente stradale nei primi giorni del 1984 proprio pochi mesi dopo l’arrivo in Italia di colui che avrebbe proseguito, ingigantendole, le sue imprese sia in Italia e sopratutto in campo internazionale : Julio Velasco appunto.

Dopo la scomparsa di Anderlini arrivò dall’Argentina Julio Velasco

 

Jiulio Velasco (Foto Tasnim News Agency – Wikipedia Creative Commons)

 

Julio Velasco argentino che nel suo Paese aveva avuto una gioventù amara e difficile dopo aver abbandonato studi in filosofia, diplomato all’Istituto di Educazione Fisica a Buenos Aires, arrivò in Italia nel 1983 per allenare la pallavolo Jesi con cui sfiorò la promozione in A1.

Il suo talento non sfuggì agli addetti ai lavori e fu chiamato ad allenare la Panini in crisi di risultati.

Velasco conquistò con i gialloblu quattro scudetti consecutivi lanciando giocatori che avrebbero fatto la storia della pallavolo come Cantagalli, Bernardi, Lucchetta, Vullo e tanti altri.

Dopo tante vittorie inevitabile l’offerta della panchina azzurra, scelta rivelatasi azzeccatissima: la nazionale, sotto la sua guida, divenne protagonista e dominatrice assoluta in tutto il mondo,  campionati del mondo ed europei in serie, solo il tabù olimpico aveva resistito fino a domenica (conquistato con la femminile).

 

Il volley di oggi è solo lontano parente della pallavolo

Il volley che oggi si gioca assomiglia veramente poco alla vecchia pallavolo, fino agli anni’90, quindi per oltre 40 anni, la pallavolo era uno sport molto praticato per la semplicità ed economicità del gioco (sufficiente una rete e un campo di dimensioni ridotte rispetto ad esempio a basket e pallamano), tuttavia non faceva presa sul grande pubblico nonostante gli sforzi della Federazione e alcuni successi internazionali della nazionale.

La pallavolo pagava tutta una serie di regole e l’eccessivo tecnicismo poco comprensibile a chi non aveva mai praticato questo sport.

Pensiamo soltanto al cambio palla che rendeva interminabili le partite, le regole per l’invasione a rete e tanto altro.

Nel ’97 la svolta coraggiosa

Il cambiamento epocale, una vera e propria rivoluzione, è del 1997 : la federazione internazionale ha trasformato completamente il gioco introducendo tutta una serie di novità di cui le più eclatanti sono l’introduzione del “libero”, l’eliminazione del cambio palla, il quinto set divenuto tie break, semplificazione dell’invasione a rete solo per citare le più importanti.

La pallavolo, ormai volley in tutto il mondo, è diventato uno sport spettacolare che consentiva di valorizzare e far esprimere al meglio l’esplosività fisica dei suoi interpreti.

Anno dopo anno in Italia il numero degli spettatori è aumentato, gli spazi sui media sono andati di pari passo e domenica, con la finale di Parigi, il volley ha completato il proprio cammino:  5 milioni e mezzo di persone di media davanti ai teleschermi con punte che sono arrivate a 7 milioni, considerando che era volley femminile sono cifre sensazionali.

Per quarant’anni il volley ha inseguito il basket

Fino agli anni novanta il volley ha spesso copiato e inseguito il basket sul piano della visibilità mediatica e dell’interesse sul pubblico.

Inutile dire che il basket partiva da posizioni di vantaggio perchè la spettacolartità del gioco, l’incertezza del risultato finale, il contatto uomo contro uomo lo facevano preferire presso il grande pubblico e il traino dell’Nba in Europa era fondamentale.

La pallavolo ha cercato di copiare dal basket l’organizzazione dei campionati adattandoli alla propria realtà, dai play off alla super coppa e altro ancora.

Il volley è cambiato in meglio, il basket in peggio (e molto)

Se il volley ha avuto il coraggio di compiere una rivoluzione decisiva, il basket per contro ha di fatto operato un harakiri vero e proprio. Nella stagione ’84-’85 la  Fiba, rincorrendo come al solito l’Nba che l’aveva applicato nel 1979, introdusse il tiro da 3 punti.

Nell’Nba però, non dovendo fare i conti con ristrettezze economiche, l’arco fu collocato a 7,25 metri dal canestro. In Italia si optò per 6,25 metri perchè un metro in più avrebbe significato dover allargare i campi e in molti palazzetti non vi erano possibilità.

Nel 2009 tuttavia si scelse salomonicamente di optare per una via di mezzo (6,75) allargando i campi da gioco di un solo metro.

In questi 40 anni questa regola ha di fatto sconvolto il basket modificandone in modo drammatico la filosofia che dalla sua invenzione (James Naismith 1891) l’aveva contraddistinta: poichè vince la squadra che realizza più canestri e posto che più il tiro a canestro avviene vicino allo stesso quante più probabilità ci sono di segnare, la ricerca spasmodica della tecnica era quella di ottenere tiri più facili.

Il tiro da 3 punti ha cambiato radicalmente questa prospettiva ma, quel che è peggio, ha fatto diventare le partite delle gare di tiro a segno.

Il basket di oggi assomiglia sempre di più alla pallamano con dieci giocatori sull’arco a passarsi la palla, le penetrazioni a canestro hanno il solo scopo di creare un lato “debole” dell’azione per poter servire un tiratore da 3 punti.

Il basket abbia il coraggio di una rivoluzione

Il basket si trova ad un bivio: o cambia o si consegna inevitabilmente ad un declino d’interesse presso il grande pubblico.

In Italia non è più fortemente attrattivo tra i giovani come un tempo, presso il pubblico appassionato di oltre sessant’anni, la generazione che ricorda il gioco senza il tiro dall’arco, l’interesse è notevolmente diminuito e, quando resta, è legato al tifo per la propria squadra e alla grande peculiarità del basket data dall’incertezza del risultato.

Per il futuro però ci vuole ben altro, se vuole invertire la tendenza il basket deve operare scelte coraggiose e in parte anche dolorose, il volley e il suo coraggio insegnino.

Intanto per iniziare basterebbe poco: eliminare il tiro da 3 sugli angoli così da riportare in auge il gioco in post basso uno degli aspetti più spettacolare del gioco.

 

 

 


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