L’intervista – Iperesposizione social e paura di essere tagliati fuori, lo psicoterapeuta Ezio Pellicano: “Assistiamo alla nascita di nuove condizioni patologiche”
Scritto da Anna Maria Pilozzi il 7 Ottobre 2021
Quante volte al giorno controlliamo il cellulare? E quante facciamo un salto sui social network ? Quali vantaggi otteniamo da essi? Quante e quali foto postiamo?
Cosa significa farsi un selfie e quali sono le regole non scritte che accompagnano questo fenomeno? Ma soprattutto quale realtà nutre le nostre emozioni?
Dati recenti stimano che un utente medio controlli il telefono circa 150 volte al giorno. Vale a dire che, in media, una volta ogni ogni 5 minuti andiamo a verificare se ci siano nuove comunicazioni, aggiornamenti o social-news.
Recentemente si stanno facendo largo termini quali “fomo“, “oversharing” e “shareting” cosa indicano e come sono connessi tra di loro? Ne parliamo con lo psicoterapeuta Ezio Pellicano.
E sotto gli occhi di tutti che l’utilizzo dei social network nel mondo ha raggiunto livelli davvero incredibili cambiando i nostri stili di vita, i comportamenti i nostri modelli relazionali. Quali sono i dati attuali?
Uno degli studi più rilevanti e completo sull’uso di internet e sugli utenti dei social network nel mondo è sicuramente il Digital 2020 di We Are Social con Hootsuite . Per quanto riguarda l’intera popolazione mondiale tale studio riporta che:
- Su una popolazione di più di 7 miliardi di persone, i dispositivi mobili sono accessibili a più di 5 miliardi di persone (+2,4% rispetto al 2019), ovvero al 67% di persone sulla terra, una penetrazione della tecnologia davvero impressionante!
- Le persone che accedono ad internet sono più di 4 miliardi e mezzo (+7% rispetto al 2019), il 60% della popolazione mondiale
- Gli utenti attivi sui social network sono 4,14 miliardi, con un incremento di oltre il 10% rispetto allo scorso anno.
In Italia l’indice di penetrazione di internet ( rapporto tra il numero di utenti di internet e i dati demografici in ogni paese, quindi che porzione di popolazione accede ad internet) si attesta intorno all’82% della popolazione, dati che cambiano in base alle varie fasce d’età: passando dall’89% delle persone di età compresa tra 25 e i 44 anni al 28,8% delle persone con 65 e più anni ( dati Istat ).
Il dato più impressione è che su una popolazione di 60 milioni di abitanti avvengono 80 milioni di connessioni da dispositivi mobili, a testimonianza del fatto che molte persone dispongono di più dispositivi.
Dati importanti che ci prospettano un futuro sempre più rappresentativo di una società in rete ? Ci sono rischi che forse sottovalutiamo nel trasformare una società in una società in rete? Quali sono i bisogni primari che stanno trovando un nuovo terreno di sviluppo?
Direi che di rischi ce ne sono molti, non solo di tipo pratico come la tutela della privacy ma anche di tipo emotivo, come la pressione sociale alla quale l’utente spesso è sottoposto.
Secondo la Teoria dell’autodeterminazione , il mantenimento dei legami sociali e la paura di esserne esclusi sono imperativi per un bisogno psicologico legittimo (benessere) e per la sopravvivenza della specie. In quest’ottica il “ controllo sociale ” risulta essere una strategia funzionale alla prevenzione di eventuali minacce e monitora le condizioni per cui gli altri potrebbero escluderci o respingerci.
A questo punto bisogna considerare che, con l’avvento delle nuove tecnologie (pc e smartphone) e i servizi di social networking, le esperienze sociali e comunicative si sono notevolmente ampliate.
Questi Social networking sites (SNS) stanno aprendo una vera e propria finestra tra la società che conosciamo ed in cui siamo inseriti per soddisfare i nostri bisogni, ed una società 2.0, appunto, la società in rete. Con questi strumenti si ha la possibilità di restare costantemente connessi con gli altri e di partecipare alle loro vite.
Se la frustrazione del bisogno d’inclusione può portare a problematiche legate ad ansia e depressione nella vita reale, lo stesso accade nella vita (realtà) di rete.
Si sta facendo infatti largo il fenomeno conosciuto come FOMO (tradotto in fear of missing out , letteralmente “ paura di essere tagliati fuori”) dove, la frustrazione del bisogno d’inclusione, porterebbe ad una forma d’ansia sociale caratterizzata dal desiderio di rimanere costantemente in contatto con gli altri, oltre che dalla paura di essere esclusi da eventi o contesti gratificanti.
Alla luce di ciò , alcuni studi hanno evidenziato un collegamento importante tra la FOMO( non riconosciuta ancora come una malattia) ed una vera e propria dipendenza appartenente alla categoria delle new addiction , ossia quelle forme di dipendenza in cui non è implicato l’uso di alcuna sostanza chimica (dipendenza da internet, smartphone, etc.).
La FOMO può comportare il desiderio, che può diventare ossessivo, di monitorare continuamente ciò che viene pubblicato dai nostri amici sui social. Questa dipendenza potrebbe provocare ansia quando ci si sente scollegati, portando così alla paura di essere tagliati fuori e che nel lungo termine i nostri bisogni non siano sodisfatti.
Una sindrome collegata al FOMO è, ad esempio, la NO.MO.FOBIA (nomofobia ; no mobile (phone) fobia), ossia la paura di rimanere con uno smartphone privo di connessione (cellulare scarico, zona priva di connessione, etc.) e quindi rimanere isolati dal mondo social. Può essere considerata una vera e propria dipendenza da smartphone, in cui i soggetti avvertono stati d’ansia e presentano la tendenza a mettere in pratica particolari comportamenti protettivi come controllare frequentemente il credito e portare sempre con sé un caricabatterie (power Bank).
Sintomi connessi alla NO.MO.FOBIA sono la sindrome nota come ringxiety (sindrome della vibrazione fantasma) in cui si ritiene con grande frequenza di avvertire il suono delle notifiche inesistenti provenienti dal cellulare; comportamento di phubbing (fusione tra phone e snubbing, letteralmente snobbare) quando in maniera scortese e maleducata controlliamo continuamente il cellulare trascurando la persona con cui stiamo interagendo.
In sintesi parallelamente alla nascita ed allo sviluppo continuo di nuove tecnologie, stiamo assistendo alla nascita di nuove condizioni patologiche ad esse legate.
L’abuso di strumenti tecnologici ha un impatto significativo sul corpo e sulla mente e questo può arrivare ad influenzare fortemente la nostra quotidianità.
Da quello che dice questa metaforica finestra che ci affaccia verso la società in rete si basa comunque su delle strategie funzionali per la sopravvivenza/accettazione che noi già ben conosciamo.
Esatto, come ho detto prima, il bisogno di essere “connessi”( interagire con la società) a livello partecipativo con il gruppo è per noi di fondamentale importanza in quanto può garantirci la sopravvivenza. A tale fine comprendere che il sistema che ci circonda è in costante aggiornamento può garantirci la sopravvivenza in quanto ci permette di far fronte tempestivamente agli imprevisti .
“ Essere sul pezzo” ha da sempre avuto grandi vantaggi in termini evolutivi, ecco perché siamo dotati dell’impulso all’update (aggiornamento) che avviene monitorando il contesto che ci circonda in attesa di aggiornamenti che potrebbero rivelarsi per noi pericolosi.
Il discorso cambia quando attraversiamo questa fantomatica finestra ed entriamo nel social.
Come dicevamo, nel mondo social il timore di essere tagliati fuori dai flussi di comunicazioni ha confini più vasti, infiniti ed ecco che utilizziamo l’unica strategia che conosciamo per prevenire la minaccia: il costante monitoraggio delle “realtà in rete”. Più controlliamo una realtà finta e più andiamo in ansia o depressione.
Infatti ad aggravare questo update, concorrono anche altre emozioni come l’invidia e la rabbia. Queste emozioni scaturiscono dal rimugino negativo, ossia quel tipo di pensiero rancoroso e frustrato da cui non ci si riesce a liberare e che è proprio di chi osserva la web vita degli altri considerandola migliore della propria.
Insomma, un mix di allerta ed invidia da non riuscire a smettere di controllare.
Allo stato attuale quali sono i soggetti più a rischio?
Tutti i soggetti che sono colpiti da stati d’ansia, solitudine ed abbandono, in particolare gli adolescenti con bassa autostima e maggiore insicurezza che spesso rischiano di confondere la vita reale con quella creata virtualmente dai social.
Per restare al passo con gli altri, non solo creano nei vari social una vita che non è reale ma lo fanno quotidianamente col fine di apparire ed autopromuoversi nel migliore dei modi, valorizzando la propria immagine ed evitando, così, l’esclusione sociale. Questo processo può raggiungere anche forme patologiche di narcisismo.
Quindi sta dicendo che quello che postiamo e vediamo nei post di altri non sempre corrisponde alla realtà?
Lo scopo è quello dell’approvazione sociale al fine di limitarne l’esclusione. Se lei deve vendere un prodotto, lo presenta così com’è o cerca di valutarlo e renderlo appetibile? Credo la seconda! Questo è l’approccio anche nello scegliere i post che poi gli altri vedranno.
Quindi da una parte c’è il bisogno di controllare e dall’altra quello di presentarsi bene. L’affanno di apparire sui social è quindi stimolato da un correlato bisogno di approvazione sociale, di sentirsi accettati. Ne è un esempio il benessere che proviamo quando carichiamo un selfie che riceve molti likes o commenti lusinghieri.
Quali sono i meccanismi psicologici che spingono una persona a postare ogni aspetto della propria vita o addirittura a continuare ad aggiornare continuamente la bacheca con contenuti nuovi ma tutti uguali?
Egocentrismo e narcisismo. Condividere aspetti banali della propria quotidianità, immagini di sé che risultano sempre le stesse nelle medesime pose e con le identiche espressioni facciali, allo scopo di sentirsi e rendersi desiderabili, è tipico dell’egocentrico e narcisista. Ciò che conta è apparire ed apparire il più possibile.
Più likes ottiene e più si sente gratificato, adulato e desiderato, sentendosi così al riparo dal rischi di esclusione di cui abbiamo fino ad ora parlato.
Come è normale nei bambini manifestare un certo egocentrismo, necessario a rafforzare la propria identità in formazione, cercando di catturare l’attenzione dei familiari, lo stesso avviene da parte degli adulti sui social ma con la differenza che abbiamo a che fare con adulti e non con bambini.
La realtà di essere veramente desiderato ed ambito non esiste, è puramente illusoria, eppure la gente si comporta come se non vi fosse differenza confondendo le due realtà. Questo fenomeno è noto con il termine di Oversharing.
L’Oversharing può presentare conseguenze deleterie e rischiose che possono coinvolgere anche altri soggetti?
Certamente ed in una forma che può avere esiti gravissimi. Mi riferisco al trend social che riguarda i genitori, ossia alla pubblicazione di immagini e video dei propri figli non considerando minimamente gli accorgimenti per arginare i pericoli che si nascondono sulla rete e senza il permesso dei figli. Questo fenomeno è noto come shareting (“to share” condividere, e “parenting” essere genitori).
Spesso queste abitudini possono causare imbarazzo nei giovani protagonisti, una volta che una foto è pubblicata lo sarà per sempre. Basta postare la foto dei piccoli sulla propria pagina facebook per rischiare che l’immagine finisca in un archivio pubblico, scaricata da sconosciuti ed inserita in un archivio pedopornografico.
Il rischio è anche quello di danneggiare la relazione tra genitori e figli, infatti, i bambini potrebbero perdere la fiducia negli adulti dopo aver scoperto che i momenti più importanti della loro vita sono stati condivisi sul web senza il loro consenso. Si prevede che entro il 2030 questo tipo di condivisione sarà la causa di quasi 2/3 dei casi di frode di identità che colpiscono i bambini di oggi. Furto di informazioni personali, bullismo, imbarazzo, discriminazione e violazione della propria privacy sono i rischi che i genitori devono conoscere prima di condividere informazioni sui propri figli.
Lo scorso anno uno studio commissionato da Microsoft ha riportato come su 12.500 adolescenti di 25 paesi il 42% ha dichiarato di essere angosciato per quanto i loro genitori condividessero online, con l’11% di loro che credeva che fosse un grosso problema nelle loro vite.
Come sente di concludere questa nostra chiacchierata?
La vita reale e le persone vere assicurano una condivisione emotiva vera, tangibile e palpabile che un social non potrà mai assicurarci. Non potrà garantirci la vicinanza ed il calore umano né le parole di affetto, critica o confronto che tanto possono aiutarci nella nostra crescita reale e non illusoria ed ingannevole.
Inoltre non perdiamo di vista i rischi che la società in rete nasconde. Vi lascio con una domanda: ma per me, conta veramente tanto essere riconosciuto socialmente da persone che mai incontrerò o che se li incontro neanche salutano?
Ezio Pellicano è psicoterapeuta specializzato nell’indirizzo Cognitivo-Comportamentale, iscritto all’Ordine degli Psicologi del Lazio dal 2003 (nr. 12449), svolge la professione presso studio privato a Colleferro in Provincia di Roma.
Rivolge il suo intervento al trattamento individuale di giovani e adulti su tematiche quali ansia, panico, depressione, dipendenze, fobie e disturbi del comportamento alimentare.