“Il latino lingua immortale” intervista a Vittorio Feltri: “Imparai da un prete che mi parlava solo bergamasco e latino”

Scritto da il 31 Maggio 2025

 

 

ll latino è davvero una lingua morta? Molti risponderebbero di sì. Così non è per Vittorio Feltri che nel libro “Il latino lingua immortale” (Mondadori) difende il latino entrando a gamba tesa in un dibattito presente nel nostro Paese sin dagli anni Cinquanta. Un tema che, ancora oggi, è oggetto di discussioni da parte di intellettuali e politici.

Attraverso le storie e le persone incontrate nel corso della carriera giornalistica – dalla politica alla cronaca nera – Feltri difende l’attualità del latino che imparò da ragazzo quando, grazie a monsignor Angelo Meli – personaggio che meriterebbe un approfondimento a parte – imparò a parlare la lingua dei nostri avi: “A me invece era toccato il privilegio di un’esperienza che di solito uno studente non fa. Parlare direttamente il latino, trattarlo e usarlo come fosse una lingua viva”.

Una competenza che ha influenzato lo stile di Feltri, la sua scrittura sempre chiara e senza fronzoli. Una conoscenza profonda che gli avrebbe causato anche qualche fastidio ascoltando i numerosi strafalcioni di politici e commentatori lanciatisi in citazioni apparentemente dotte e terribilmente errate (non facciamo esempi, li troverete nel libro).

Gustosa la prefazione di don Giulio Dellavite che, anziché ammorbare il lettore spiegandogli ciò che leggerà (come spesso accade nelle prefazioni), lo introduce stimolandolo e divertendolo. Sapevate, ad esempio, che sui bancomat dello IOR appare la scritta “Inserito scidulam quaeso ut faciundam cognoscas rationem” (inserisci la scheda per accedere alle operazioni consentite), un avviso che dobbiamo a padre Reginald Foster, latinista non privo di umorismo che, per quasi quarant’anni, lavorò alla Sezione Latina della Segreteria di Stato del Vaticano.

Per Dellavite “Vittorio Feltri riconsegna al latino, forse in extremis, la qualità di incipit. Quella linfa che ha fatto fiorire arte, letteratura, filosofia, innovazione con condivisi valori umani e cristiani che hanno tessuto l’Europa”.

Dall’inizio alla fine il libro è un’occasione per riflettere sull’origine e sul significato delle parole. Nel capitolo intitolato “Homo homini lupus” Feltri ci ricorda come i latini, forse meglio di altri, avevano compreso la natura umana. E visto che per l’autore “la gratitudine è una raffinatissima forma di intelligenza” capiamo e restiamo toccati dal ricordo del giornalista Walter Tobagi, assassinato da un gruppo terroristico di sinistra il 28 maggio 1980.

Forse è proprio questo il collegamento più importante: attraverso la nostra lingua possiamo far rinascere ciò che, pur appartenendo al passato, ha ancora vita in noi. Così, attraverso il latino, possiamo scoprire il senso profondo delle parole, ritrovando quei significati che i nostri antenati hanno saputo esprimere in modo tanto perfetto e, ancora oggi, vibrante.

 

 


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