Hinchada Diferente – José Luis Chilavert (seconda parte): i trionfi nel Vélez, i gol e le parate storiche
Scritto da Santiago Roque Favilla il 13 Agosto 2020
Chilavert torna in Argentina e scrive le pagine più gloriose del Vélez Sarsfield, passato dall’anonimato totale alla fama mondiale nell’anno di grazia 1994. E prima del ritiro nel 2004 lascia il segno vincendo anche in Francia e in Uruguay. Probabilmente parliamo del portiere più decisivo di sempre
Sport – Nel 1991, dopo tre stagioni in Spagna al Real Zaragoza con 1 gol su rigore alla Real Sociedad, Chilavert ritorna nel calcio argentino.
Non al San Lorenzo, che gli preferisce Oscar Passet dal River. Va al Vélez Sarsfield, club di Buenos Aires fondato il 1° gennaio 1910 da tre ragazzi dentro un tunnel, per ripararsi dalla pioggia, nei pressi della stazione dei treni intitolata all’avvocato d’origine irlandese Dalmacio Vélez Sarsfield, redattore nel 1869 del codice civile argentino. Stazione che dal 1944 ha ripreso il vecchio/attuale nome di Floresta.
La bacheca? Un campionato vinto nel 1968. Più tre secondi posti (1919, ’53 e ’71) e una Semifinale di Libertadores nel 1980. Non proprio un Grande del fútbol argentino. Come per esempio River e Boca, che cercarono Chilavert e per motivi diversi non l’hanno potuto tesserare.
“Nel 1988 stavo per passare, tramite uno scambio con Goycochea, dal San Lorenzo al River. Posai, senza essere ufficializzato, con la maglia del River per la rivista El Grafico, ma dopo 22 giorni di pre-campionato me ne tornai al San Lorenzo perché Goycochea non aveva superato le visite mediche a causa di un guaio alla spalla.
Inoltre non trovammo il giusto accordo economico. La stessa cosa mi capitò nel 1995 con il Boca: Macri aveva appena assunto come presidente ed era tornato Maradona.
Ci siamo incontrati e dopo venti minuti di riunione me ne andai perché mi offrì un contratto inferiore. Ho un diploma da contabile e i numeri mi piacciono.
Per questo non ho mai avuto un rappresentante. Mi piaceva occuparmi personalmente delle trattative, lottare e cercare di trarre il profitto migliore”.
Cosa potevano essere River e Boca con Chilavert non lo sapremo mai. Ma dal suo punto di vista non ci sono dubbi. E non li ebbe nemmeno quando, con beffardi gesti della mano, si tracciava la striscia diagonale del River davanti ai tifosi del Boca.
E nemmeno quando si tracciava, sempre sulla maglia del Vélez, la striscia orizzontale del Boca davanti ai tifosi del River.
“Più che piacere mio, credo al contrario: ai tifosi di River e Boca avrebbe fatto piacere vedere giocare per loro uno come Chilavert. Il gesto delle maglie lo facevo per entrare nel clima della partita e mi dava gusto. Più mi insultavano e più ero concentrato. Altri giocatori si rimpiccioliscono in queste situazioni”.
Chilavert al Vélez
Al Vélez Chilavert arriva a 26 anni, diventa immediatamente un punto di forza in una squadra con molti ragazzi sconosciuti e contribuisce al secondo posto nel Clausura 1992. A dicembre, dopo il sesto posto nel Torneo Apertura, il presidente Ricardo Petracca sostituisce in panchina Eduardo Manera con un vecchio idolo dei tifosi che meriterà un capitolo a parte: Carlos Bianchi, attaccante del Vélez campione d’Argentina nel ’68 e miglior marcatore con 206 gol. Bianchi, reduce da sei anni in Francia come allenatore di Reims, Nizza e Paris FC, vince al primo colpo il Clausura 1993 con due punti in più dell’Independiente.
L’8 giugno, nell’ultima giornata pareggiata per 1-1 contro l’Estudiantes, Chilavert torna nel tabellino dei marcatori segnando un calcio di rigore il parziale 0-1.
Forse memore del gol da centrocampo subito da Goikoetxea della Real Sociedad nel 1991, il paraguaiano esulta correndo a gran velocità verso la propria porta mentre lo inseguono i compagni e i fotografi, in parte ostacolati dal fangoso campo di gioco.
Il trionfo vale l’accesso alla Copa Libertadores 1994. Il Vélez, secondo nell’Apertura ’93, sacrifica letteralmente il Clausura ’94 (finirà terz’ultimo) per puntare al massimo alloro continentale.
Una volta superato al primo posto il Gruppo 2 davanti al Cruzeiro del 16enne Ronaldo (nell’1-1 in Brasile segna di testa dopo 20 secondi), al Palmeiras e al Boca (sconfitto per 2-1 alla Bombonera), agli Ottavi vengono eliminati gli uruguaiani del Defensor Sporting, ai quarti i venezualani del Minervén e in Semifinale i temibili colombiani del Junior de Barranquilla, capitanati dalla classe ribelle del Pibe Valderrama.
Chilavert, sia contro lo Sporting (due rigori parati) che contro il Junior (uno), trasforma con freddezza i secondi rigori delle due serie. Nella doppia Finale c’è il São Paulo campione delle ultime due edizioni e in cerca del tris.
Il fattore campo si fa valere: 1-0 per gli argentini all’Amalfitani, 1-0 per i brasiliani al Morumbi. Si deve andare nuovamente ai rigori. In questa serata del 31 agosto 1994 Chila sarà fondamentale.
“Siamo arrivati al Morumbì passando davanti ai tifosi del São Paulo che ci distruggono a sassate l’autobus… Negli spogliatoi ci avevano appeso delle locandine che inneggiavano alla vittoria della terza Libertadores consecutiva.
Quando stavo per uscire con la squadra per fare il sopralluogo del campo si stava giocando una partita d’esibizione tra le vecchie stelle del São Paulo. La sicurezza ci dice di stare fuori, ma io entro da solo.
Uno dei portieri mi vede e mi dice di uscire. Mi piantai davanti e gli dissi ‘Vuoi cacciare me che sarò la figura della partita? Tu sei il peggior goleiro della storia del Brasile’.
Quel portiere era Valdir Peres e per colpa sua il Brasile perse il Mondiale di Spagna 1982”.
Dopo il solito e impeccabile primo penalty del Vélez trasformato dal capitano Trotta, Chilavert para il primo tiro di Palinha e subito dopo si presenta per affrontare il collega avversario Zetti. È 2-0.
Nessun altro sbaglierà fino al quinto rigore di Pompei che, con qualche brivido, vale il titolo di campione d’America per Bianchi e i suoi ragazzi.
“Nell’ultimo rigore calciato da Pompei mi si stava fermando il cuore perché vidi che la palla aveva colpito la traversa e, dalla mia posizione, non capivo se il rimbalzo aveva superato la linea di porta.
Quando vidi il pallone alzarsi e andare all’indietro mi resi conto che eravamo campioni d’America. Vélez è stato campione d’America e del mondo per meriti propri”.
Ma l’ascesa del piccolo Vélez non è ancora finita. Dopo il Sudamerica c’è il mondo da conquistare e il 1° dicembre 1994 si vola a Tokyo per giocare la prestigiosa Coppa Intercontinentale contro il Milan di Capello, vincitore della Champions League grazie al memorabile 4-0 di Atene contro il Barcellona di Cruijff.
Gli argentini chiuderanno terzi l’Apertura ’94 e in questo torneo, il 2 ottobre, Chilavert vince virtualmente la sua scommessa con Bora Milutinovic dato che segna quasi a tempo scaduto il suo primo gol su calcio di punizione nella vittoria per 1-0 contro il Deportivo Español. Tutto sembra possibile, persino giocarsela contro quel Milan.
I ricordi di Luis sono un concentrato di emozioni che rendono veramente l’idea di cosa fosse una Coppa Intercontinentale: non regge il confronto con l’attuale e troppo ecumenico Mondiale FIFA per club, lanciato dal 2005.
“Battere il Milan è stato il massimo. Io dico sempre che quando una squadra è unita tutto è possibile. Tutto il mondo diceva che Vélez avrebbe perso di goleada, che il Milan aveva un fatturato molto superiore al nostro…
Quando eravamo nel tunnel dello stadio di Tokyo quelli del Milan ridevano e ci guardavano da sopra le spalle. Io avevo di fianco Sebastiano Rossi e, in un italiano approssimativo, gli dissi ‘Cosa ridi? Sei il peggior portiere del mondo’.
Lui mi rispose ‘Vaffanculo paraguayo!’ e altre cose. Noi non dovevamo avere paura del Milan anche se aveva tanti crack come Baresi, Maldini, Costacurta, Desailly, Donadoni, Massaro, Boban, Savicevic, Simone… Pompei, che non era alto, doveva marcare Desailly ma quando lo vide da vicino mi disse che sembrava King Kong.
Allora gli suggerì che doveva giocare d’intelligenza, spingendolo quando saltava per togliergli equilibrio o afferrarlo per i pantaloncini. Noi eravamo pronti per andare in guerra e avevamo fame di gloria.
Mai nella mia vita ho visto una squadra giocare a un tocco e in velocità come quel Milan.
A un certo punto urlai ai miei compagni di cominciare a picchiare per fermarli. Dopo l’1-0 segnato su rigore da Trotta all’inizio del secondo tempo, il Milan era arrabbiato e attaccò con tutto. In totale ho parato tre conclusioni, una a bruciapelo, a Massaro.
Fu la tipica serata in cui se sei concentrato ti riesce tutto, ma il portiere esiste per parare. Ho aiutato a reggere davanti all’impeto degli italiani e poi il resto lo fece l’astuzia e di quel tank che avevamo in attacco, Omar El Turco Asad, che segnò il 2-0 sfruttando una distrazione tra Rossi e Costacurta. Si girò su una mattonella e fece un golazo.
I tifosi giapponesi erano impazziti per noi e lo furono ancora di più dopo il raddoppio. Nel finale ho giocato un po’ con il cronometro e l’arbitro colombiano Torres Cadena mi venne a rimproverare insultandomi.
Mi gridò ‘Gioca la palla subito o ti caccio!’ e io risposi ‘Se mi cacci, tu non torni in Colombia. Ti veniamo a cercare’”.
Il ritorno in Argentina
Il ritorno in Argentina nel barrio di Liniers tutto esaurito, con i giocatori esultanti nel pullman scoperto, rappresenta l’apoteosi definitiva per una società che a fari spenti in meno di due anni si è iscritta nella lista de Los Grandes del calcio argentino e non solo.
Il Vélez di Bianchi, che rimane in sella fino all’estate del 1996 (va alla Roma insieme al suo primo rigorista Trotta, viene esonerato dopo 27 partite e quasi convince Franco Sensi a vendere nel gennaio ’97 un giovane Totti alla Sampdoria), vive nella seconda metà degli anni Novanta un ciclo di vittorie difficilmente replicabile.
Nel Torneo Clausura ’95 finisce di nuovo terzo, poi vince consecutivamente l’Apertura ’95 e il Clausura ’96, i primi campionati in Argentina con la vittoria che vale 3 punti, rispettivamente davanti al Racing de Avellaneda di Claudio Lopez e al Gimnasia de La Plata di Guillermo Barros Schelotto.
Il ciclo di Bianchi finisce con la vittoria della Copa Interamericana contro il Saprissa di Costa Rica campione del Centro-Nord America, ma con il successore Osvaldo Piazza arriveranno altri due titoli continentali: la Supecopa Sudamericana nel 1996 vinta contro il Cruzeiro (nella Finale d’andata Chilavert fa calare il silenzio sul Mineirão con un rigore all’87’, come aveva minacciosamente promesso ai tifosi rivali); e la Recopa Sudamericana l’anno dopo.
In Giappone, a Kobe, il Vélez pareggia per 1-1 contro il River campione della Libertadores nel ’96 (segnano dal dischetto Chilavert al 29′ e Francescoli all’83’) e la spunta per 4-2 ai rigori dopo una serie pazzesca: Chilavert si fa parare il primo rigore dal Mono Burgos, poi para due tiri di fila a Gallardo e a Trotta, il suo ex compagno/rivale che gli faceva concorrenza nel ciclo di Bianchi.
L’ultimo penalty lo segna il difensore Mauricio Pellegrini, futuro giocatore di Barcellona, Valencia e Liverpool e attuale allenatore del Vélez.
Nel Clausura ’96, il 22 marzo, Chilavert segna il gol più incredibile dei suoi 62, nonostante lui se ne aggiunga qualcuno in più.
“Ho fatto 70 gol e il più impressionante è quello su punizione da 65 metri contro River. Dio mi ha aiutato perché deviò la traiettoria della palla che sarebbe andata sopra la traversa sulla sinistra, ma grazie al vento la palla scese improvvisamente ed è per questo che Burgos mentre indietreggia scivola e cade.
Il gioco era fermo, quindi presi una gran rincorsa dalla mia porta per colpire con potenza senza perdere tempo. Davanti avevo l’arbitro Mastrangelo e poco prima di calciare gli urlai ‘Abbassati o ti ammazzo!’”.
Sempre in questo torneo Chilavert trova la prima doppietta in una partita per nulla banale: un 5-1 al Boca Juniors che in campo ha Caniggia (autore dell’illusorio 1-0) e Maradona, tornato in patria in pompa magna dopo la sospensione per doping nel Mondiale di USA 1994.
I gol sono su rigore e con una punizione che entra dopo aver baciato il palo sinistro di un sorpreso Navarro Montoya (contro il quale ha avuto vari screzi verbali). All’81’ Bianchi gli regala l’ovazione dell’Estadio Amalfitani, ormai soprannominato Fortín dato che era molto difficile espugnarlo, sostituendolo con il secondo portiere Guzmán. È il 16 giugno 1996.
“In settimana alcuni giornalisti dicevano che Veléz era più forte di Boca, che c’era Chilavert… Maradona non era d’accordo e sparò alcune frasi come che Vélez non esiste, che Boca ci avrebbe asfaltato e altro ancora.
Durante il sorteggio gli ricordai queste parole, lui si infastidì e l’arbitro Castrilli mi disse ‘José, stai tranquillo!’. Gli risposi ‘Io sono tranquillo.
Lui ha il controllo antidoping ed è nervoso’. Il problema degli argentini è che non sono abituati a sentirsi dire in faccia la verità perché si credono di essere i migliori del mondo”.
La seconda doppietta (reti 37 e 38) la fa nel 2-2 casalingo contro l’Unión de Santa Fe del 27 settembre 1998: prima trasforma l’1-1 su rigore, poi si fa parare un’altra massima punizione da Pablo Cavallero e, sul rimpallo, segna il suo secondo gol su azione (stessa dinamica nel 6-1 contro Colón del 19 aprile 1998).
Emblematico il saluto, in entrambi i casi sotto forma di paternale mano sulla testa, al giovane Cavallero che era stato fino a pochi mesi prima il terzo portiere del Vélez.
Con Maradona non ci fu mai grossa simpatia (“Per me i cinque migliori giocatori della storia del calcio sono nell’ordine Messi, Di Stefano, Maradona, Pelé e Zidane”). Chila lo ricorda quando parla delle due parate più belle della sua carriera.
“La più bella parata l’ho fatta a Maradona su calcio di punizione in un Vélez-Boca 0-0 (Apertura ’97, 16 settembre, n.d.r.): la palla stava andando all’incrocio e toccò la mia mano destra e la traversa.
Maradona mi applaudì e venne a battermi i cinque con le due mani. Forse è stata l’unica volta in cui ci siamo salutati.
La seconda direi durante Paraguay-Nigeria 3-1 del Mondiale di Francia 1998: Oliseh calciò un sinistro potente da fuori area, volai e tolsi la palla dall’incrocio con le due mani”.
Miglior portiere del mondo
I riconoscimenti diventano pure individuali dato che Chilavert riceve per tre volte il premio dell’IFFHS come miglior portiere del mondo (1995, 1997 e 1998). Proprio nel ’98, dopo aver vinto il suo ultimo titolo col Vélez (il Clausura con El Loco Bielsa in panchina), partecipa da protagonista con il Paraguay al Mondiale di Francia.
Al debutto contro la Bulgaria potrebbe diventare il primo portiere in gol della Coppa del Mondo, ma il portiere Zdravkov mantiene lo 0-0 parandogli una punizione spaventosa.
Agli Ottavi di Finale la Francia padrona di casa vince per 1-0 grazie a un golden gol di Blanc quasi alla fine dei supplementari. Chila viene comunque inserito nella squadra ideale del torneo insieme a Barthez, collega di reparto transalpino e campione di quell’edizione.
È il capitano di una squadra che ha poca qualità rispetto ad Argentina, Brasile, Cile, Colombia e Uruguay, ma che si difende con la solidità di una squadra di Serie A. Al centro della difesa Celso Ayala e Carlos Gamarra sono quasi insuperabili.
Una squadra che contro gli avversari sudamericani, tutti ispanofoni tranne i brasiliani, parla in campo il guaraní (la lingua degli indigeni che tuttora si insegna nelle scuole) per non farsi capire. Come il 1° settembre 1996, nel match contro l’Argentina al Monumental valido per le qualificazioni al Mondiale del 1998.
“Tutti i tifosi argentini insultavano me e mia madre, come se solo io stessi giocando contro l’Argentina. Perdevamo 1-0 e, mentre mi insultavano, mi passai le mani sulla faccia e chiesi a Dio ‘Ti prego, dammi un calcio di punizione!’.
A metà primo tempo ci fu una punizione per noi da circa 25 metri e, appena l’arbitro fischiò, uscii correndo dalla mia area.
Quando arrivai a centrocampo il Monumental era rimasto muto, come se non ci fosse nessuno tranne i 15mila tifosi paraguaiani che urlavano dietro la mia porta.
Nella barriera metto due compagni e, nella nostra lingua guaranì che gli argentini non conoscono, dissi ‘Abbassatevi, la palla andrà a mezz’altezza e andate a prendere il rimbalzo’.
Ho colpito la palla forte e con effetto affinché Burgos a terra lasciasse il rimbalzo, ma lui tuffandosi andò oltre, la palla gli rimbalzò davanti ed entrò direttamente in rete. Dio mi aiutò… Forse la palla era rimbalzata sull’osso di una formica”.
Sempre durante le Qualificazioni a Francia 1998 troviamo un altro fattaccio: il 2 aprile 1997, nella vittoria casalinga per 2-1 contro la Colombia, Chilavert protesta giustamente per un rigore inesistente concesso ai Cafeteros per una spinta di Asprilla (ex Parma allora al Newcastle) a Celso Ayala.
Asprilla replica colpendo il portiere con un pugno in bocca e Chila risponde sputandogli addosso.
Risultato? L’arbitro brasiliano de Souza Mendonça mostra il cartellino rosso ad entrambi. Mentre Chilavert esce dal campo passa di fronte alla panchina della Colombia e rifila ad Asprilla, seduto a terra, un pugno in faccia.
Si scatena la solita rissa con Aristizábal che per poco non centra Chilavert, girato di spalle, con un calcio aereo di kung-fu (ricordate Cantona contro un tifoso del Crystal Palace nel 1995?).
La polizia entra in campo in assetto antisommossa e la partita riprende dopo dieci minuti di ansia e animi surriscaldati. La Colombia pareggia con Chicho Serna all’80’ grazie al rigore regalato da de Souza Mendonça, ma poco dopo subisce il definitivo 2-1 di Soto.
A fine partita Asprilla raccontò che fu contattato da un narcotrafficante colombiano, Julio Fierro: costui, in un hotel sfarzoso e circondato da uomini ubriachi fradici e donne, gli presentò due sicari disponibili per ammazzare Chilavert.
El Tino, sorpreso dalla proposta e con molto buon senso, rispose che i fatti che accadono in campo restano in campo.
L’orgoglio nazionale di Chilavert esce fuori anche 15 agosto 2001, dopo una sconfitta per 2-0 contro il Brasile a Porto Alegre. La vittima? Roberto Carlos, il terzino sinistro del Real Madrid.
“Finita la partita Roberto Carlos si avvicina e per prendermi in giro mi dice ‘Indio, vi abbiamo battuto 2-0’. Come se lui fosse tedesco dagli occhi azzurri… Allora contai fino a dieci, volevo dargli un pugno ma ho girato la faccia e gli ho sputato sotto l’occhio sinistro.
Io coi brasiliani ho un problema a pelle. Ci dovrebbero restituire le terre che ci hanno rubato dal Mato Grosso in giù”.
Luis prenderà quattro turni di squalifica per aver risposto in quel modo alla provocazione di Roberto Carlos, ma sarà in campo in 3 partite su 4 nel Mondiale di Corea-Giappone 2002. Parte come riserva di Tavarelli, ma dalla seconda partita contro la Spagna il c.t. Cesare Maldini (proprio lui) lo rilancia da titolare.
Nella terza partita, vinta per 3-1 contro la Slovenia, Dabanovic con un miracolo gli nega il primo gol mondiale.
Come in Francia, il percorso della Albiroja si ferma sfortunatamente agli Ottavi contro la Germania, che vince soffrendo per 1-0 con un gol di Neuville all’88’. Di questa partita Chilavert narrò un anno fa un curioso episodio riguardante l’allora poco conosciuto Michael Ballack, talento del Bayer Leverkusen.
“Maldini, un po’ in italiano e un po’ in spagnolo, cercava di dire a Struway ‘Ballack… Tu marca. Comprende? Capisce?’. Struway lo guardava strano e con la testa gli diceva di sì.
Durante la partita contro la Germania Struway in guaranì ci disse che non voleva marcare Ballack perché puzzava come una puzzola morta.
Noi all’inizio ridevamo ma era vero. Non so se era una sua strategia o se non si faceva la doccia, però Ballack puzzava forte veramente. Nei corner addirittura si metteva davanti a me. Era terribile”.
Il ritorno in Europa allo Strasburgo
Nel 2001 Chilavert lascia il Vélez Sarsfield e torna in Europa allo Strasburgo. Prima di farlo però fa in tempo a diventare il primo e finora unico portiere autore di una tripletta: il 28 novembre 1999 è implacabile dal dischetto nella vittoria per 6-1 contro il Ferro Carril Oeste.
Nella prima stagione in Francia non gioca molto, la squadra retrocede in Ligue 2 ma si porta in bacheca la Coppa Nazionale.
In questo torneo Chilavert gioca 5 partite, segna un rigore nella Semifinale vinta per 4-1 contro il Nantes e nella Finale, giocata il 26 maggio 2001 allo Stade de France di Parigi e finita 0-0 dopo 120′, para il quarto rigore ad Abalo e trasforma il quinto e decisivo tiro dagli undici metri.
Nella stagione successiva gioca da titolare e contribuisce, pur senza segnare, al secondo posto che vale allo Strasburgo il ritorno in Ligue 1. Se ne va dopo qualche screzio con la dirigenza (successivamente risolto) e senza aver giocato nemmeno una gara nell’annata 2002-2003.
Nel mercato estivo Chilavert va al Peñarol, la squadra più titolare dell’Uruguay, e ovviamente vince anche qui il campionato di Clausura mettendo a segno i suoi ultimi 4 gol.
L’ultimo dei 62 lo realizza su calcio di punizione il 23 novembre 2003 nel 5-2 contro il Deportivo Colonia. Il 20 agosto 2006 il brasiliano Rogério Ceni del São Paulo, con una doppietta in un 2-2 al Cruzeiro, lo sorpassò toccando quota 64 reti e, fino al ritiro nel 2015, migliorerà il record per un portiere a 131 gol.
La partita d’addio
Nel 2004 torna al Vélez per chiudere la carriera. Gioca solo in Copa Libertadores e si ritira ufficialmente il 22 aprile, pochi mesi prima di compiere 40 anni, nella sconfitta in Venezuela per 4-2 contro l’Unión Atlético di Maracaibo.
La partita d’addio del 15 novembre 2004, giocata in un Amalfitani vestito a festa, vede la prestigiosa presenza di tanti calciatori amici o vecchi rivali. Luis si trova quindi di fronte Higuita, il primo portiere al quale fece gol nel 1989, e gli segna il rigore più scontato (e microfonato) di sempre, con tanto di abbracci e risate e indicazioni (“Tira alla mia destra, io mi butto dall’altra parte”).
Un atteggiamento raro per Chilavert, abituato a comandare con grinta e con faccia da cane rabbioso, come quella del famoso Bulldog che aveva disegnato sul petto della maglia, sia nei club che in Nazionale.
L’artista, Óscar Tubío, fu capace di convincerlo a lasciare il fornitore tecnico Ulhsports (compenso di 3.200 pesos all’anno) per avere una maglia personalizzata, promettendogli un guadagno di 600.000 pesos in sei mesi. Il Chila sa come fare affari, soprattutto scommettendo su sé stesso.
APPENDICE
I tifosi del Vélez hanno finanziato la costruzione di due statue per il loro stadio: una per Bianchi e una per Chilavert, inaugurate nel 2015 e nel 2017.
“Sono una persona privilegiata perché a sette anni ho avuto un’epatite e dovrei essere morto. I miei genitori fecero uno sforzo terribile per aiutarmi. Un giorno mi portarono da un curandero indio (uno sciamano, n.d.r.) che fece un miscuglio con dei medicinali e mi curò quando invece i medici volevano tagliarmi senza sapere cosa avevo”.
“In una partita in trasferta contro Newell’s, che vincemmo 1-0 (15 marzo 1998, n.d.r), stavo posizionando la barriera e appena ho messo fuori la testa dai pali dagli spalti mi arrivò sulla tempia un pezzo di costina con l’osso. Poco dopo dagli spalti cadono due coltelli Tramontina. A quel punto l’arbitro Javier Castrilli mi disse ‘Chila, sospendiamo?’ e io gli risposi ‘Porta una griglia che facciamo un asado. È tutto perfetto’”.
“Siamo stati compagni di squadra nel Vélez, poi nelle sfide tra Argentina e Paraguay cominciarono i primi scontri. In quella partita vinta per 4-1 contro San Lorenzo (6 agosto 1996, n.d.r.) gli sputai in faccia durante un corner e Ruggeri, per vendicarsi, in un’altra azione stava per entrare in scivolata sulle caviglie e mi mancò per poco perché saltai in tempo. Inoltre mi resi conto che poteva succedere questo perché avevo sentito dire a Rivadero ‘Spezzalo! Rompilo’. Mentre tornavo in porta gli gridai ‘Burro, burro!’ (asino in spagnolo, n.d.r.). Lui disse che era entrato in quel modo per rompermi apposta. Per me tutto era finito in campo, anche se poco dopo ci siamo chiariti bevendo un caffè in un bar. Mi disse che non voleva ritirarsi con il rancore addosso. Ci siamo chiariti, ma i fatti dicono che Vélez vinse tutto dopo che Ruggeri se ne andò via al San Lorenzo. Mi hanno offerto tanti soldi per partecipare a programmi con ospiti Ruggeri e Maradona, ma ho sempre rifiutato”.
“In nove anni Vélez ha vinto nove titoli ed è diventato grande per meriti propri. Senza doping, senza aiuti dalla CONMEBOL, senza aiuti degli arbitri. Questo è l’orgoglio che deve avere il tifoso del Vélez: noi non abbiamo avuto aiuti da nessuno”.
“Quando morirò mi piacerebbe essere cremato e che le mie ceneri siano messe, metà e metà, dietro le due porte dell’Amalfitani. Così ogni quindici giorni sarò in compagnia. E devono passare sempre tre canzoni: My Way di Frank Sinatra, The Show Must Go On dei Queen e Forever Young degli Alphaville”.
STATISTICHE DI CHILAVERT
Gol totali: 62 (48 col Vélez, 8 con il Paraguay, 4 col Peñarol, 1 col Real Zaragoza e 1 con lo Strasburgo).
Rigori segnati: 44 su 53 (9 errori).
Punizioni segnate: 16.
Gol su azione: 2.
CLASSIFICA DEI PORTIERI GOLEADOR
1) 131 gol: Rogério Ceni (Brasile).
2) 62 gol: Chilavert (Paraguay).
3) 46: Campos (Messico).
4) 43: Ivankov (Bulgaria).
5) 41: Higuita (Colombia).
6) 40: Vegas (Perù).
7) 38: Márcio (Brasile).
8) 32: Butt (Germania).
9) 31: Alfaro (El Salvador).
10) 26: Pantelic (Jugoslavia).