Ecco perché il cristianesimo non è una morale, un’etica o una forma di spiritualità

Scritto da il 28 Maggio 2022

Cristo ascende al cielo circondato dagli angeli, sotto gli occhi della Madonna e degli Apostoli. Giotto,  Cappella degli Scrovegni a Padova (Fototeca Gilardi / AGF)

 

La riflessione sul Vangelo di domenica 29 maggio 2022 del Vescovo Emerito di Carpi Francesco Cavina:

 
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“Dopo la Resurrezione il posto di Cristo non è più presso gli apostoli sulla terra, ma nell’eternità di Dio. È per questa ragione che san Luca conclude il suo vangelo con l’episodio dell’Ascensione di Gesù.

Il testo precisa che il Signore “si staccò da loro e veniva portato su, in cielo”. Utilizzando queste parole, l’evangelista vuole sottolineare che con la resurrezione Gesù non è ritornato alla vita di prima, ma è entrato in una condizione nuova, è entrato anche con il suo corpo nella gloria del Padre.

Agli Apostoli, e tramite loro alla Chiesa, il Signore affida il compito di portare il Vangelo a tutti i popoli. L’annuncio deve avvenire “nel suo Nome”, ossia deve  fondarsi sulla Sua autorità e non su altro. Inoltre, essi sono chiamati a essere testimoni della morte e resurrezione di Cristo. Infatti il cristianesimo non è una morale o un’etica e neppure una forma di spiritualità perchè anche gli uomini sono in grado di fondarle. Senza la morte e la resurrezione di Cristo non c’è, dunque, ragione ad aderire al cristianesimo!

Solo se Cristo è risorto da morte ed è vivo è possibile guardare la nostra vita terrena dalla prospettiva dell’eternità. In questa prospettiva la morte diviene un passaggio alla riva della vita eterna e, per coloro che hanno creduto in Cristo non ci sarà un giudizio di condanna, ma entreranno nella pienezza della vita, dove non ci sarà più né pianto né lutto.

La Chiesa è stata voluta da Cristo per annunciare che Dio si è fatto Pastore per prendersi cura dell’uomo, per dirgli che non è il frutto del caso, ma un essere chiamato alla comunione con Dio e a fare parte della sua famiglia e del suo regno. Si tratta di un destino, quello che Dio ha riservato all’uomo, che faceva dire allo scrittore Cesare Pavese:

Sapersi infinitamente importante per qualcuno: in questo sta il cristianesimo, per questo non potrà mai morire.

Conn l’Ascensione Cristo instaura un nuovo modo di presenza in mezzo a noi: non più una presenza tangibile, visibile, udibile, ma una presenza comunitaria. È vero che Cristo è salito al cielo ed è seduto alla destra del Padre, tuttavia nello stesso tempo ci ha promesso, di rimanere con noi fino alla fine dei tempi.

L’Eucarestia è la garanzia e la certezza di questa nuova presenza reale di Cristo tra noi. Ogni volta che partecipiamo al suo Corpo e al suo Sangue diventiamo un po’ più cittadini del cielo. Possiamo, dunque, affermare che la salita di Cristo al Padre e il suo ingresso nella gloria sono la garanzia della nostra stessa salita, quando finalmente “saremo saziati dalla vista del suo volto”.

Così l’Ascensione, anziché ricordo nostalgico di Cristo è la festa gioiosa di un arrivo.

Per realizzare e accogliere questo progetto di bene del Signore sulla nostra vita, è necessario, alla luce delle parole di Cristo, la comprensione delle sacre Scritture perché senza di esse l’uomo è cieco, in quanto non è in grado di comprende né la vita di Cristo – in particolare la sua croce e la sua resurrezione – e neppure è in grado di decifrare il senso ultimo della propria esistenza.

L’uomo, privo della luce che viene dalla Parola di Dio, è abbandonato a se stesso, è come una canna sbattuta ovunque dal vento, è mistero, è enigma, che spesso si trasforma in angoscia.”

 


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