Per i fondatori di “Cultus Classicus” – Enrico e Nichita – “La cultura classica non è un rifugio nostalgico, ma una necessità: leggere Dante o altri non è museale, bensì un risveglio del pensiero critico che affina la sensibilità”

Nichita ed Enrico, i due giovani divulgatori fondatori della pagina “Cultus Classicus”
Cultura – Enrico e Nichita sono i creatori di “Cultus Classicus“, pagina Instagram seguita da oltre 44mila persone, all’interno della quale i due giovani studiosi accompagnano i follower alla scoperta dei classici utilizzando una comunicazione raffinata e, al tempo stesso, fresca, gradevole, finanche avvincente.
Abbiamo voluto intervistarli con la certezza che “Cultus Classicus” sarà, anche per i nostri lettori, una bella e interessante scoperta.
Chi siete? Diteci qualcosa su di voi e sulla vostra passione per la cultura.
Siamo due studenti universitari che si sono lanciati a creare un format con il quale esprimere le proprie passioni che riguardano appunto la cultura “classica”. Viviamo a Rovigo e frequentiamo l’università di Padova. Enrico ha vent’anni e studia Lettere Antiche mentre Nichita ha ventitré anni e frequenta un corso dedicato alla giurisprudenza digitale.
Nel tempo libero dallo studio entrambi viaggiamo per mostre e musei, andiamo spesso a teatro e cerchiamo sempre di leggere il più possibile. Scriviamo versi ma almeno in questo momento non ci vogliamo dire poeti, pur essendo oramai un termine inflazionato tra chi non è poi così avvezzo alla Poesia.
Quando e come nasce la pagina “Cultus Classicus”?
La pagina è nata nell’agosto dell’anno scorso su proposta di Nichita, poiché lui già aveva avuto un’altra pagina (meno fortunata anche se sempre dedicata alla cultura, principalmente letteratura russa) ed Enrico voleva da un po’ aprirla senza però sapere come.
Ci siamo quindi messi a provare e poi abbiamo iniziato a pubblicare i primi tentativi che hanno avuto quasi immediatamente dei riscontri positivi.
Vi occupate anche di opera lirica e avete all’attivo alcune collaborazioni in questo senso, di cosa si tratta?
La lirica, e il teatro più in generale, appassionano molto entrambi da tanti anni. Sicuramente è una forma d’arte da non farsi sfuggire anche perché la teatralità della vita è intorno a noi; e Shakespeare, scusateci le citazioni scontate, diceva:
“All the world’s a stage”.
L’opera lirica ne è la miglior rappresentazione in quanto unisce più arti insieme e siamo molto felici di sfruttare ogni occasione per goderne.
Per quanto riguarda ciò che interessa il teatro e la pagina, abbiamo avuto modo di partecipare a più incontri del progetto di InfluOpera tenutisi al Teatro Sociale di Rovigo.
Il progetto è rivolto ai giovani per far sì che si avvicinino al mondo della lirica tramite contenuti digitali, anche sulla nostra pagina. I teatri ne hanno bisogno perché i giovani sono il loro pubblico futuro e non vorremmo neanche immaginare un mondo dove le persone non vanno mai a teatro per un pregiudizio nato dalla mancata conoscenza di un luogo così sacro e per niente “barboso”.
Non credo che un “Barbiere di Siviglia” o un “Gianni Schicchi” possano lasciare indifferente un giovane; è proprio non venirne mai in contatto a farlo. La volontà di avere questo dialogo ci dà molta motivazione.
Noi ringraziamo Valentina Anzani della pagina @operameet e il Teatro Sociale di Rovigo in particolar modo per averci dato questa possibilità più volte e speriamo di potervi partecipare ancora.
Quali sono i libri che più hanno “segnato” la vostra formazione e perché?
Ce ne sono stati diversi, anche perché la formazione è trasversale. I nostri grandi maestri del gusto e della forma sono i classici, da Ovidio a Dante, da Petrarca a Pushkin, da Esopo a Stendhal ed altri che non potranno mai essere elencati tutti.
La scelta nel tempo di cosa leggere è stata guidata anche da un certo criterio estetico, ché, come diceva Brodskij: “L’Estetica è la madre dell’Etica”. Ha indubbiamente ragione.
La bellezza è la potenza più moralizzante e lo è anche in piena paradossalità. Detto ciò, credo ci siano tante opere piene anche di spirito libero, essenziale per l’arte, anche nei momenti di grande difficoltà: “La fattoria degli animali” di George Orwell (lasciamo “1984” a chi è abbastanza paziente), “Gli occhiali d’oro” di Bassani e il sottovalutatissimo “Cuore di cane” di Michail Bulgàkov.
Sono queste le opere che troverei più opportuno menzionare per un motivo più che altro utilitaristico: vi sono degli adattamenti cinematografici impeccabili di tutte e tre, tutti fatti nello scorso secolo (1954, 1987, 1988 rispettivamente), così non sfuggono anche ai detrattori dei libri.
L’arte vive su piani molto diversi e ovviamente sarebbe bello se nessuno degli uomini si privasse da solo della “pan-dimensionalità” dell’arte, anche perché è il bello a far di un uomo l’uomo. La vera formazione è questa e non può fare altro che portarci a delle evidenti verità.
Quali sono le domande più interessanti che avete ricevuto dalle persone che seguono “Cultus Classicus”?
Noi abbiamo fame e sete delle domande più curiose ma purtroppo sui social non è facile trovarne. Una cosa che ci ha sorpresi molto e in un modo positivo sono le numerose richieste di valutare poesie (alcune solo di nome, altre dei veri gioielli) da parte delle persone che trovano la nostra pagina.
Certo, il feedback è principalmente (oserei dire) a noi favorevole, ma riceverlo sotto forma di un sonetto curato nei suoi aspetti formali fa la differenza.
Quali sono, secondo voi, gli autori meno noti e al tempo stesso più interessanti da studiare e approfondire?
Bisogna notare che molti autori poco noti lo sono per una ragione ben specifica e sensata. Per noi, un ennesimo romanzetto francese che poteva appagare una Madame Bovary non è un vero classico solo perché è dell’Ottocento. Bisogna conquistare la targa del “classico” e lo si fa con la “Prova del tempo” che rileva il talento nonostante i secoli e i millenni.
Se un autore, o meglio il suo genio della forma e del contenuto, ha ancora da dirci molto, è un classico. Allo stesso tempo, già tra i classici ci sono quelli che il pubblico generale conosce meno, probabilmente perché né li si fa a scuola né se ne fanno dei film.
In Italia soprattutto sono poco noti i classici stranieri e per Nichita, per ovvie ragioni, i versi di Bunin, Kuzmìn, Severjànin e tantissimi altri poeti russi risuonano come delle melodie senza fine. Nonostante ciò, non consiglieremmo agli italiani di cercarseli perché le librerie sono piene di cattive traduzioni.
Meglio non conoscere un poeta che conoscerlo male.
Per un italiano è un gran privilegio leggersi Leopardi in originale e serve più di una vita per capire la sua. La traduzione dell’Infinito da parte di Achmatova è un grande onore per la lingua russa, ma purtroppo non è Leopardi a tradurre Achmatova in italiano.
Ma non è il motivo per cui dire che la tradizione letteraria italiana è cosa zoppa o priva di qualcosa. Ci sono tantissimi autori poco noti già tra quelli italiani, e spesso compaiono tra gli argomenti della nostra pagina.
Un autore di cui già abbiamo trattato e che soprattutto Enrico si ritrova spesso a leggere e rileggere è Guido Gozzano. I suoi testi esalano un certo “odore d’abbandono desolato” in cui spesso ci identifichiamo, ed è ormai quasi accogliente stare fra i suoi versi, come se avesse una voce “recente” in mezzo ai tanti defunti che leggiamo che ci parla.
Stilisticamente anche lo apprezziamo per la sperimentalità tradizionale di metri e rime. La lista non finisce qui e ne parleremo ancora e ancora sulla nostra pagina.
Se aveste la possibilità di incontrare tre personaggi del passato chi vorreste conoscere e quali sarebbero le prime domande che fareste loro?
Porsi dei limiti numerici in un’ipotesi così aperta sembra quasi contraddittorio. Certo bisogna eleggerne pochi per scegliere bene, ma non è certo facile, come rispondere a quegli interrogativi schematici che illudono di poter racchiudere il gusto in una classifica: “Quali sono i tuoi cinque libri preferiti?” o “Dimmi i tre film migliori di tutti i tempi?”.
Non abbiamo mai capito perché bisogna che ce ne siano tre o cinque e non quattro o venticinque. Una cifra, un algoritmo non dovrebbe mai essere una nostra limitazione, soprattutto quando usiamo la nostra fantasia.
Dunque, i due personaggi che Nichita incontrerebbe del passato sono i poeti Esènin e Majakovskij (potrebbe stupire qualcuno soprattutto la scelta del secondo) per chiedere loro se fu l’NKVD colpevole della loro morte o è valida la versione ufficiale. Anche oggi rimane un mistero.
Enrico, invece, per arrivare a tre, dice solo che, se potesse, vorrebbe ascoltare letti da Virgilio stesso quei versi così potenti e pregni di quella musicalità che oggi si è inevitabilmente perduta che son stati capaci, a quanto si dice, di far svenire la moglie di Ottaviano.
Il Vescovo Antonio Rosario Mennonna – autore dei “Dialoghi con personaggi dell’antica Roma” – ormai centenario, venne intervistato da Vito Salinaro per Avvenire e disse: “Quando sono solo tengo sveglia la mente recitando brani poetici, soprattutto della Divina Commedia; ripasso le declinazioni latine e greche; inseguo le immagini dei ricordi e collego gli eventi“. Guardando all’epoca in cui viviamo viene da chiedersi come si possa, oggi, tenere “sveglia la mente” e quale sia il ruolo della cultura classica in una società come la nostra. Qual è il vostro pensiero su questo tema?
La domanda ci è molto difficile e non crediamo di poter rispondere veramente in poche righe. Ma crediamo si possano condividere alcune linee guida che, bisogna ripetere, non sono esaustive.
La cultura non è una donna nuda stesa sul letto che aspetta noi ad arrivare da lei, comodi e allegri. La cultura non è un qualcosa di cui possono servirsi tutti. Si tratta di un tragitto, forse non quello più facile oggi, ma tra i tanti altri proposti è uno dei più appaganti. Il tragitto non è di tutti e nonostante ciò è perfettamente democratico perché disponibile a tutti.
L’arte e la poesia non hanno nulla di elitario; sono amici, sì, permalosi, ma pronti a dialogare con chiunque e di tutto; richiedono un’interlocuzione attiva.
Riteniamo che la Divina Commedia rappresenti un esempio perfetto di questo concetto. Sì, non è facile il volgare del ‘300; sì, il conflitto tra guelfi e ghibellini potrebbe confondere qualcuno perché è un contesto molto diverso dal nostro; ma la cosa più importante è che Dante invita al dialogo, provocatorio per il suo tempo e paradossalmente anche per il nostro, perché è una dialettica tra due tempi diversi, mostrando come l’uomo sia cambiato poco o punto.
Oggi, tenere “sveglia la mente” significa resistere, contrastare la frammentazione dell’attenzione, l’incessante sovraccarico di informazioni effimere, il dominio del rapido e del superficiale. La cultura classica, in questo contesto, non è un rifugio nostalgico, ma una necessità: leggere Dante o altri non è museale, bensì un risveglio del pensiero critico che affina la sensibilità.
Ci permette di vivere in pochi versi delle vite intere, ancora coperte di segreto alcune; ci dà delle certezze che poi ci toglie; ci conduce verso un’armonia formale in cui trovano spazio tanto il dolore più profondo quanto l’amore più fine; ci insegna un altro ritmo, meno frenetico, che viene sempre a mancare nonostante sia quello più vicino alle nostre origini.
Per carità, leggere la Divina Commedia e studiare lingue antiche o moderne aiuta a sviluppare memoria e retorica, ma è molto di più di questo (anche se già in questo supera il contenuto medio dei social).
Il ruolo della cultura è proprio della nostra specie, solo gli uomini si servono della Poesia su questa terra. Il ruolo della classicità nella cultura generale non è solo quello di tramandare un’eredità; è, invece, imprescindibile in quanto è lo standard d’oro della forma e del messaggio.
Superata la Prova del tempo, governa con la sua genialità anche noi, i posteri. Lei è una certezza e forse noi oggi siamo carenti per quanto riguarda le certezze.
Quali progetti avete per il futuro e come vorreste si sviluppasse Cultus Classicus?
L’idea sarebbe quella di continuare, recuperare il fiato dopo la sessione intensa e riprendere i nostri argomenti, che ci attendono come amici sempre presenti. Cultus Classicus andrà avanti (paradossale ma vero) e speriamo possa solo crescere.
Speriamo di fare nuove conoscenze anche con chi è ancora in terra, a differenza dei nostri autori preferiti. Ci auguriamo che oggi si trovi spazio e tempo per coltivare ciò che è arte, ciò che è melodico, ciò che è poetico; insomma, ciò che è classico e tale rimarrà.