Banche più solide e aziende più deboli: ecco perché gli imprenditori dovranno cavarsela senza l’aiuto del Governo

Scritto da il 11 Aprile 2020

Scrivo questo articolo a malincuore, davanti a me un orizzonte economico funestato da una crisi di cui ancora non abbiamo ben compreso la gravità.

Ieri ho intervistato per Radio 5.9 il coordinatore nazionale del Centro Studi Tributaristi, nonché Sindaco di Masi Torello e commercialista, Riccardo Bizzarri. Mi preme riportare qui alcuni passaggi che considero significativi:

Non cambiano le regole di rilascio dei prestiti per le banche: chi non poteva richiedere un prestito prima, magari per situazioni pregresse, non lo potrà fare nemmeno ora – e aggiunge – con la sola garanzia dello Stato in mano, le banche cercheranno di chiudere le vecchie posizioni di indebitamento in essere dei vari richiedenti.

In sostanza avremo banche più solide mentre le aziende più deboli saranno spazzate via dato che, probabilmente, non potranno sopravvivere a questa tempesta. Certo, la tenuta del sistema bancario è fondamentale, questo è ovvio, ma altrettanto importante è evitare la morte delle nostre piccole e medie imprese, delle tanto bistrattate partite Iva e di tutti coloro che con il proprio lavoro hanno la sola colpa di non gravare sullo Stato, di non arricchire le fila di disoccupati e nullafacenti, e di pagare un sacco di tasse con la sola soddisfazione di vedersi additare come evasori fiscali da tanti benpensanti.

Parto con una domanda retorica, forse, ma anche sincera. Se in emergenza sanitaria, giustamente, ci affidiamo al parere di medici e scienziati, data la loro competenza nella materia trattata, con quale logica allo stesso tempo accettiamo alla guida del Ministero dell’Economia un signore, certamente degno, ma laureato in Lettere? Quale competenze potrà mai avere costui per gestire un’emergenza economica senza precedenti? Ci spiegano che questa è la rappresentanza, bellezza. Però non posso non notare una certa discrasia.

Non che avere un economista al Ministero sarebbe garanzia di successi. Basti leggere la quarta di copertina del libro “Maledetti economisti”, scritto dal professor Ricossa, già emerito di Politica Economia all’Università di Torino, scomparso nel 2016: “La storia degli economisti è una tragicommedia […] le loro teorie, contraddittorie, divergenti, rendono complicato ciò che è semplice e indecifrabile quel che è complesso […] senza volerlo si può essere eroi e si può essere ridicoli. Il peggio è quando si diviene ridicoli in conseguenza della volontà di essere eroi.

Vi ricorda qualcosa? A me sì.

Il Presidente Conte, eletto da certi osservatori a novello Churchill della nostra politica purtuttavia non essendo eletto dal Popolo al ruolo che ricopre (so come funziona il Parlamento, non sostengo l’illegittimità della sua carica, il mio appunto non è formale ma politico), ha detto nella sua videoconferenza di ieri che il Governo è al lavoro con fior fiore di scienziati per rafforzare i protocolli di sicurezza che consentiranno alle aziende di ripartire. Spero abbiano avuto il buon cuore di chiedere un parere anche a qualche imprenditore circa i suddetti protocolli.

Parlo di chiedere agli  imprenditori direttamente perché ho il sospetto, forse infondato, che l’intermediazione delle associazioni di categoria potrebbe non bastare in un frangente del genere dove, a mio avviso, sarebbe bene ascoltare direttamente le bocche attaccate a quelle teste che rischiano di essere tagliate, prima ancora che quelle dei loro avvocati difensori. Ai tanti imprenditori, mai così vicini al patibolo innalzato da questa crisi economica, vogliate dare la grazia di un’ultima parola a proprio beneficio, prima di consegnarli al boia della burocrazia e delle procedure fallimentari che decreteranno la fine delle loro imprese.

Anche se ho l’impressione che potrebbe andare come per la Rivoluzione francese, ricordando le parole di Élisabeth Vigée Le Brun testimone di quei giorni: “Sono  sempre più convinta che, se le vittime di quell’epoca di esecranda memoria non avessero avuto il nobile orgoglio di morire con coraggio, il Terrore sarebbe cessato molto prima”[1]. Sto esagerando con i paralleli storici? Forse.

Eppure gli imprenditori che conosco io sono uomini e donne tutti d’un pezzo, gente che vive a testa alta, spesso forti di un senso dell’onore e del sacrificio che, difficilmente, consentirebbe loro di pianger miseria, difficilmente griderebbero il proprio dolore proprio perché ricchi di quel “nobile orgoglio” che impedisce di dar voce alle paure e di manifestare la sofferenza.

Perché, mettetevelo in testa, un’azienda è vita, essa spesso corrisponde alla casa, custodisce ricordi e passioni, non è solo economia, non è solo profitto. Un’impresa è in tanti casi l’espressione più alta del cuore di chi la realizza, della creatività e dell’ingegno di persone per bene che, attraverso il lavoro, realizzano la propria vocazione e danno sostanza positiva alle proprie tensioni.

Mi meraviglio che proprio Conte ieri abbia parlato di “economia di guerra”, non tanto perché vi siano molte differenze tra ciò che stiamo vivendo e una guerra, quanto perché l’attuale gestione dell’emergenza da parte del Governo, seguendo l’assioma, sta buttando nel cesso qualsiasi concetto di strategia bellica applicabile da Sun Tzu a Clausewitz passando per le teorie più moderne in materia.

Il primo, nell’ormai celebre testo L’arte della guerra scrive “In campo militare si è quindi sentito parlare di azioni forse goffe ma veloci, mentre non si è mai visto che un’abile manovra duri a lungo. Non esiste uno stato che tragga profitto da una lunga guerra”[2] per poi aggiungere più avanti “In ogni conflitto, le manovre regolari portano allo scontro, e quelle imprevedibili alla vittoria”[3].

Anche Clausewitz nel Della guerra scrive “Come si ammira la presenza di spirito di una risposta felice a una domanda improvvisa, così la si ammira nell’espediente rapidamente escogitato di fronte a un improvviso pericolo”[4] e ancora “Il sapere, assimilato intimamente in tal modo col proprio spirito e colla  passione, deve trasformarsi in un vero potere. Ecco perché i capi illustri sembrano agire in guerra con tanta facilità”[5].

Vi ricorda qualcosa? A me sì.

Ora poniamo davvero di essere in guerra e facciamo un bel gioco d’immaginazione. Davanti a noi il nemico avanza, miete migliaia di vittime, massacra l’economia. La sua furia ci costringe alla sospensione delle libertà individuali e ci caccia reclusi nelle nostre abitazioni.

Per tanti può essere facile, case spaziose, un bel giardino, ma per moltissime persone è pura galera. Ora abbiamo sul campo tanti soldati feriti e Dio solo sa quanto medici e infermieri stiano facendo, anche a scapito della propria vita, per salvare ogni singolo essere umano; eroi che onorano il proprio giuramento  armati, troppo spesso, di spade arrugginite e armature di scadente fattura.

Ma ecco che mentre occorre rapidità arriva il Generale della Burocrazia e pretende di applicare le proprie sciagurate regole che, in questo frangente, sono utili come la masturbazione per il concepimento.

Allora vediamo ad esempio come soldi stanziati per garantire cure e strumenti non possano essere spesi se non prima di una bella gara d’appalto e mentre il tempo passa, nel frattempo, il Cielo abbia in gloria le anime di chi non ce l’ha fatta.

E ancora, mentre il Popolo si trova in difficoltà lo Stato, giustamente, offre aiuti che serviranno per  mangiare o per pagare l’affitto di casa. Ma ecco subito dopo rifar capolino il Generale della Burocrazia che, sostenuto dall’Ufficio Complicazioni Cose Semplici, decide alcune regole per avere quegli aiuti: il Popolo infatti dovrà rivolgersi a un commercialista per presentare la domanda con relativi costi di gestione della pratica e attendere settimane l’arrivo del denaro.  Intanto, per non farci mancare nulla, vengono cambiate in corso d’opera le regole d’accesso agli aiuti in modo da escludere chi fino a un attimo prima ne aveva diritto[6].

Il nemico osserverebbe da lontano questa situazione compiacendosi del fatto che, dove non arrivasse la sua furia, a darci il colpo di grazia sarebbe la nostra inerzia.

Allo stesso modo, mentre tutti siamo in preda all’incertezza, il nostro comandante in capo, lo stesso che il 27 gennaio scorso sosteneva in televisione che l’Italia fosse prontissima a gestire l’emergenza Coronavirus, è in grado di rassicurarci con parole come “mi assumo tutte le responsabilità delle decisioni” ricordandoci, mentre le restrizioni vengono confermate, che si vedono “segnali incoraggianti” e ribadendo come “dopo il 3 maggio” forse si potrà allentare la morsa ma soltanto a patto che tutti noi “rispetteremo le regole”. Parole di buon senso certo ma, in questa fase,  avremmo bisogno di guardare in faccia l’orrida realtà e non di ascoltare un rinnovarsi di raccomandazioni che nulla aggiungono a quanto detto nelle settimane precedenti.

Ma il Presidente prosegue e io stento a credere a ciò che odono le mie orecchie: “Superata la fase acuta infatti – spiega Conte – dovendo convivere con il virus, stiamo lavorando a un programma che poggia su due pilastri: l’istituzione di un gruppo di lavoro di esperti e il protocollo di sicurezza dei luoghi di lavoro”. Cioè tutte cose che dovevano essere fatte appena entrati in questa emergenza e non ora che stiamo entrando nella fase due. Toc-toc! come direbbe Nicola Porro, il tempo è prezioso! Sveglia!

La Terza Legge Fondamentale

La pazienza è finita. Mai fu più vera La Terza Legge Fondamentale espressa nel libro Allegro ma non troppo del professor Cipolla per il quale gli esseri umani si possono suddividere in quattro categorie: “gli sprovveduti, gli intelligenti, i banditi e gli stupidi”[7] per poi spiegare che “una persona stupida è una persona che causa un danno a un’altra persona o un gruppo di persone senza nel contempo realizzare alcun vantaggio per sé od addirittura subendo una perdita”[8]. Non penso che Conte sia uno stupido e non penso che sia un bandito. Restano gli sprovveduti e gli intelligenti, fate voi.

A coloro i quali dicono che questo non è il momento per polemizzare rispondo che, non potendo uscire di casa e avendo sospese gran parte delle nostre libertà individuali, considero la possibilità di esprimere un’opinione come l’ora d’aria concessa anche al più bieco dei criminali. Allo stesso tempo mi auguro che, leggendo queste parole, qualcuno faccia una seria riflessione su ciò che le nostre imprese stanno vivendo. Perché mettiamocelo in testa: non c’è salute senza economia!

Concludo con un aneddoto. Ieri ho ordinato qualcosa per cena in un ristorante della mia città. Dopo qualche ora è arrivata una signora, avrà avuto, forse, sessant’anni, il volto coperto da una mascherina e i guanti in lattice. Era tutta trafelata per la fretta delle consegne.

L’ho ringraziata e lei ha mi risposto “teneteci in considerazione se avete bisogno, grazie davvero”.

Quel “teneteci in considerazione” mi si è ficcato nel cuore perché mi ha fatto pensare alla fatica e al sudore di quelle  persone. Ho pensato al loro mutuo per pagare le attrezzatture, ho pensato alle mille scartoffie amministrative a cui dedicarsi dopo una giornata passata ai fornelli e ho pensato ai tanti sacrifici che avranno dovuto fare per trovarsi con ben poco in mano; forse uno stipendio e, certamente, tante tasse da pagare.

Guardando quella signora ho pensato a mia nonna che, per tanti anni, ha portato avanti una trattoria e ora, anche se in pensione, non ha perso il carattere tipico della rezdora, per i non pratici del dialetto colei che dirige la casa.

Ecco certe volte, con tutto il rispetto, preferirei avere al Governo una brava rezdora rispetto a certi politici. In fondo mia nonna, anche quando aveva ben poco, non ha mai fatto mancare ai propri figli un piatto in tavola e un tetto sopra la testa. Lo stesso, oggi, ho paura di non poterlo dire del nostro Stato.

 


 

[1] “Gli ultimi libertini” di B. Craveri ed. Adelphi (pp. 394)
[2] “L’arte della guerra” di Sun Tzu ed. Newton Compton (pp. 35)
[3] Ibidem (pp. 51)
[4] “Della guerra” di C.V. Clausewitz ed. Mondadori (pp. 73)
[5] Ibidem (pp.146)
[6] Si veda a tal proposito l’art. 34 del decreto legge 23/2020
[7] “Allegro ma non troppo” di Carlo M. Cipolla ed. il Mulino (pp. 57)
[8] Ibidem (pp. 58)

 


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