“Rosario Livatino. Il giudice giusto”: il libro di Toni Mira racconta aspetti inediti del beato assassinato dalla mafia nel 1990

Scritto da il 9 Dicembre 2021

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Quando si parla di magistratura, criminalità organizzata e legalità nel nostro Paese non dovremmo mai scordare la figura di Rosario Livatino, giudice siciliano assassinato dalla mafia il 21 settembre 1990 e beatificato ad Agrigento il 9 maggio scorso, definito da Papa Francescomartire della giustizia e della fede“.

 

Nel libro “Rosario Livatino. Il giudice giusto“, edito da San Paolo Edizioni, il giornalista Toni Mira, caporedattore e inviato speciale di Avvenire, ci aiuta a conoscere meglio questo straordinario giudice le cui intuizioni e il cui lavoro ci raccontano oggi la storia di un servitore dello Stato capace di provvedimenti ancora “attualissimi“, basti pensare all’applicazione della “confisca dei beni“, all’azione contro i “crimini ambientali” e alle indagini sugli intrecci tra “mafia, politica ed economia“.

 

Mira raccoglie diverse testimonianze dirette e condivide con i lettori un’interessante scritto inedito di Livatino proprio sulla magistratura e sul ruolo che il magistrato dovrebbe avere. Un testo prezioso per conoscere un uomo giusto, fermo nell’applicazione della legge, ma sempre attento alla “dignità delle persone“, anche quella dei “delinquenti più efferati” che faceva arrestare; uomo forte di una “fede convinta espressa soprattutto nel suo lavoro” che certamente ha lasciato un segno nella lotta alla mafia.

 

L’intervista

 

Cosa ti ha spinto a scrivere questo libro su Rosario Livatino?

Ho scritto su Avvenire da molti anni di Rosario Livatino. Sia seguendo la causa di beatificazione, sia analizzando i suoi scritti, sia raccontando la cooperativa che porta il suo nome. E mi sono accorto che si sa poco di lui, soprattutto del suo prezioso lavoro, spesso anticipatore. L’occasione per raccontare il “piccolo giudice” è stata la beatificazione dello scorso 9 maggio. Per far conoscere davvero un giudice giusto.

 

Spesso si fa riferimento alla giovane età e alla fede di Livatino, va però ricordato che era anche e soprattutto un giudice estremamente competente.

 

Livatino quando venne ucciso aveva meno di 38 anni però era magistrato già da 12 anni. Davvero non era un “giudice ragazzino” inesperto e sprovveduto.
Le sue erano indagini importanti che avevano disvelato i vertici mafiosi agrigentini e i rapporti con cosa nostra palermitana e americana. E non è un caso che ebbe stretti rapporti di collaborazione con Falcone e Borsellino.
Indagò sull’intreccio mafia, politica, imprenditoria, capì il ruolo della massoneria, e fu tra i primi a colpire i crimini ambientali. Lo faceva con grande efficacia e intransigenza, ma con giustizia, trattando anche i più efferati criminali con dignità e umanità.

 

In anticipo sui tempi Livatino capì l’importanza del sequestro dei beni dei mafiosi, una cosa non scontata per l’epoca. Fu questo a segnare la sua condanna a morte?
 

Livatino fu tra i primi ad applicare, con convinzione e efficacia, la legge Rognoni-La Torre del 1982 che introduceva la confisca dei beni dei mafiosi. E lo faceva molto bene, anche nei confronti dei mafiosi di Canicattì, il paese dove era nato e dove viveva coi genitori. I suoi provvedimenti sono molto approfonditi e colpivano duramente le ricchezze mafiose.

Sicuramente facevano molto male. Al punto che un boss, al quale Livatino aveva confiscato i patrimoni, si vendicò dopo la morte del giudice andando a danneggiarne la tomba.

 

Il fatto che non fosse un personaggio mediatico è dovuto alle circostanze o ad una sua precisa volontà?

 

Fu una sua precisa scelta. Riteneva che un magistrato non solo dovesse essere ma anche apparire indipendente. Per questo evitava ogni forma di esposizione.

Non era un magistrato mediatico, di lui non abbiamo nessuna intervista e neanche conferenza stampa. E le uniche foto sono quelle ufficiali.
Livatino parlava solo coi suoi provvedimenti e questo, per sua esplicita e convinta scelta, lo teneva lontano da possibili condizionamenti della politica e dell’economia.

 

Cosa rimane oggi di Rosario Livatino?

 

Da un lato rimangono i terreni che aveva confiscato e che ora sono coltivati dalla cooperativa che porta il suo nome, dando lavoro pulito e producendo frutti puliti.

Dall’altro lato rimane il forte insegnamento di magistrato lontano dal potere e dai suoi condizionamenti. Molto prezioso oggi, periodo di bassa credibilità dei magistrati. Infine resta l’esempio di vero laico cristiano che non esibiva la sua Fede ma la viveva nel suo lavoro, con efficacia e umanità. E questo i mafiosi non lo tolleravano.

Davvero un martire della fede e della giustizia, attualissimo. Da far conoscere, soprattutto ai giovani, per evitare di farne un “santino”, facendo emergere la sua straordinaria normalità.

Non un eroe, ma un uomo e magistrato davvero credibile. Come scrisse su una delle sue agende.

“Quando moriremo, nessuno ci verrà a chiedere quanto siamo stati credenti, ma credibili”.

Lui lo fu fino in fondo, andando coscientemente incontro alla morte. Davvero una persona da conoscere, approfondire e imitare.

 

Toni Mira 

 

Toni Mira, sposato e con quattro figli, è capo redattore e inviato speciale della redazione romana di Avvenire, giornale per il quale da anni cure le inchieste e i reportage.

È tra i collaboratori dei dossier annuali “Ecomafia” di Legambiente e “Sindaci sotto tiro” di Avviso Pubblico. Fa parte del Comitato scientifico del bimestrale di Libera “lavialibera”, dell’Osservatorio ambiente e legalità di Legambiente, della Commissione consultiva di Avviso Pubblico.

Nel 2006 ha vinto il premio “Ambiente e legalità”, nel 2007 il “Premio Saint Vincent” per il giornalismo d’inchiesta, nel 2016 il “Premio per l’impegno civile Marcello Torre”, nel 2018 il “Premio Franco Giustolisi”, nel 2019 il “Premio Paolo Borsellino”.

Nel 2019 ha pubblicato con la collega Alessandra Turrisi il libro Dalle mafie ai cittadini. La vita nuova dei beni confiscati alla criminalità (San Paolo), e il libro Spezzare le catene (Città nuova) sul caporalato”.

 

 


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