Vittorio Feltri, l’irriverente: cronaca dell’intervista a un direttore libero che ama i gatti

Scritto da il 9 Dicembre 2019

 

 

Venerdì scorso assieme a Ruben Giovannoni, un collega che si occupa di riprese video, siamo partiti da Carpi in direzione Milano dove ci attendeva un’intervista con Vittorio Feltri per parlare del suo ultimo libro “L’irriverente. Memorie di un cronista” pubblicato per Mondadori.

Arriviamo con alcuni minuti di anticipo nella sede di Libero in viale Majno a due passi da Porta Venezia,  saliti al primo piano siamo accolti da una ragazza che ci saluta con un sorriso e si reca ad avvisare il direttore, pochi secondi dopo, tornando verso di noi, ci fa segno di raggiungere l’ufficio in fondo al corridoio.

Entriamo e Feltri ci viene incontro accogliendoci con grande gentilezza e mettendoci subito a nostro agio. Elegante come siamo abituati a vederlo in tv, sotto un abito chiaro indossa una camicia club collar e una raffinata cravatta. Rompiamo il ghiaccio chiedendo subito di Ciccio Grigiotto, il bel gattone ormai noto a chi segue Feltri.

«È fantastico!» esclama il direttore mostrandoci una foto dove il gatto è ritratto mentre si trova su una finestra dalla quale, fieramente, scruta l’orizzonte con il suo bel faccione grigio.

“L’irriverente” raccoglie in un centinaio di pagine, suddivise in quindici capitoli scorrevolissimi, aneddoti e curiosità sulle persone che hanno fatto parte della vita di Vittorio Feltri. Egli si mostra ai lettori parlando di chi ha conosciuto più che di sé stesso.

Influenzati dal personaggio televisivo, che spesso appare politicamente scorretto, anticonformista e, comprensibilmente, insofferente alle interruzioni, non ci aspettiamo di trovare pagine così cariche di ironia, a tratti toccanti, pagine dove emergono chiaramente un profondo senso dell’amicizia e della gratitudine.

Oltre ciò, leggendo, si respira il desiderio di non disperdere ricordi preziosi, custodendo con la scrittura la memoria di ciò che è stato.

Amici e nemici 

«Spirava un’aria frizzantina quella placida domenica sera di luglio a Bergamo alta…» il libro inizia come spesso iniziano le fiabe e subito, come accade nelle fiabe, ecco l’impensabile: troviamo un Vittorio 18enne nell’ultimo luogo in cui oggi potremmo immaginarlo, una festa dell’Unità. Lì Feltri incontrerà per la prima volta Giorgio Gaber del quale poi diverrà grande amico.

Questo è un libro di cui si può svelare poco perché, ogni pagina, contiene l’essenziale.  «Non bisogna stancare il lettore dilungandosi troppo» ci spiega Feltri ma, leggendo queste memorie, tutto può accadere fuorché annoiarsi.

Immagini divertenti, a tratti esilaranti, vengono offerte al lettore pagina dopo pagina.

Il disappunto del direttore nel trovarsi a mangiare sushi, lui che odia cibarsi di pesce, con Alberto Ronchey quando, cercando di ordinare del vino si sente rispondere «Qui noi non bere vino, ma sakè» e quindi immaginarlo mandare, tra sé e sé,  a quel paese il cameriere.

Oppure quanto si trovò in volo con Marco Pannella, diventato poi suo amico, a bordo di quello che sarebbe dovuto essere un jet privato e che, invece, era un trabiccolo alato: decollati con fatica e finiti poco dopo in un furibondo temporale, Feltri chiederà rassicurazioni al pilota, un pittoresco cinquantenne con casco in pelle da aviatore e occhialini, che non gli risponderà mai per tutto il viaggio e che gli rivolgerà la parola soltanto per indicare, con fare iettatorio, il momento del passaggio su Ustica dove nel 1980 avvenne il disastro aereo.

Feltri ci regala immagini incredibili come quella di Alberto Cavallari che da direttore de “Il Gazzettino di Venezia” un giorno, non trovando nessun passaggio, raggiunse la redazione a nuoto presentandosi ai colleghi a torso nudo e incazzato nero.

Divenuto direttore del “Corriere” Cavallari non ebbe con Feltri quello che potremmo definire un buon rapporto. Allora leggiamo di quando Feltri, cambiando un titolo già approvato, fece infuriare il suo direttore rendendolo, per la rabbia,  prima «giallo, poi verde, poi blu, incandescente», una policromia sfociata con un inseguimento lungo i corridoi del giornale: «credevo mi avrebbe ucciso, eppure non potevo fare a meno di sbellicarmi dalle risate» ricorderà.

Anni dopo Feltri lo rincontrerà in occasione di una trasmissione televisiva ma Cavallari fingerà di non riconoscerlo, forse infastidito dal successo ottenuto nel frattempo dal suo “ex giornalista”. Durante l’intervista tuttavia Feltri ci dice «Forse con lui ho sbagliato, alla fine il direttore va lasciato lavorare…».

In ogni caso, nonostante le forti divergenze, si tratta di una descrizione priva di rancori in cui Cavallari ne esce come un personaggio, tutto sommato, unico.

Il libro è anche carico di episodi toccanti, drammatici in alcuni casi, ma non vogliamo svelarvi molto perché,  per essere apprezzati, essi vanno letti direttamente.

Se per Feltri, da buon bergamasco, «l’esibizione delle emozioni» può essere un «tabù», in queste pagine il direttore riesce a far emozionare il lettore di continuo. I racconti dell’infanzia, lo stupore nel vedere il mare durante il suo primo viaggio al sud,  dove ritroviamo un meridione vissuto da gente che non possedeva nulla se non una grande dignità, un contesto nel quale non importava quanto si fosse poveri poiché tutti «si comportavano sempre da ricchi generosi e ti offrivano qualcosa ogni volta».

Il ricordo affettuoso dei genitori, un padre intelligente ed elegante morto prematuramente e una madre che ha allevato i suoi figli facendo molti lavori e grandi sacrifici.

Feltri e i felini

Infine un capitolo dedicato ai gatti che, in armonia con l’incipit del libro, potrebbe esser letto ad un bambino quasi si trattasse di una fiaba.

Le storie dei mici accuditi dal direttore e dalla sua famiglia, infatti, si susseguono lasciando spazio a meraviglia e commozione: il suo primo amico felino fu «Vecio», un gattino salvato da un nubifragio quando Feltri aveva solo 13 anni «restai commosso dal suo desiderio di vivere» ricorda.

Poi «Amalia» che imparò ad accendere e spegnere la luce del salone dove, Feltri e la moglie Enoe, si recarono, quatti quatti, immaginando di trovare uno dei figli e rimanendo, invece, sorpresi e divertiti nel trovare la micia che si dilettava nel premere l’interruttore con la zampina, affascinata dall’effetto magico che provocava questo suo gesto.

Infine, ma ce ne sarebbero altri, «Sparky», un trovatello divenuto amico del cane lupo «Ciro» al quale spesso saltava in testa facendosi così trasportare da questo cagnolone con cui condivideva un’intesa perfetta.

Feltri parla di loro come di amici veri, componenti della famiglia capaci di arricchire la vita e, alla fine, leggendo queste pagine ci si commuove nel pensare che queste creature vivono troppo poco rispetto all’amore che sono in grado di dare e allora, ecco, che una lacrimuccia scende.

Viene così da pensare che di tutte le parole scritte da Vittorio Feltri in tutti questi anni, quelle riportate nell’ultimo capitolo del suo libro, siano, forse, le più toccanti perché svelano, meglio di ogni intervista o articolo, l’anima del loro autore.

Finito di registrare scambiamo qualche parola.

I rompiballe del firmacopie

Nel salutarlo sto per chiedergli una firma sul suo libro ma, prima che possa fare questa richiesta, come se mi avesse letto nel pensiero, esclama «mi piace fare interviste e scrivere ma se c’è una cosa che proprio mi rompe i coglioni è firmare le copie, insomma è chiaro che il libro sia scritto da me, a cosa cazzo serve che io lo firmi …». Quindi taccio e, tra me e me, ringrazio di non aver fatto in tempo a parlare evitando così di passare per uno di quei “rompiballe del firmacopie”.

Con grande cordialità il direttore ci conceda, abbiamo sforato di mezz’ora il tempo previsto per l’intervista. Una volta usciti parliamo a lungo dell’incontro mentre mangiamo qualcosa in un ristorante poco distante.

Verso la fine del pranzo una bella signora sulla cinquantina si siede accanto a noi e, una volta ordinato, dopo aver inforcato un paio di occhiali rossi, estrae dalla borsa il libro di Vittorio Feltri, mentre legge la vediamo sorridere divertita. Anche noi la guardiamo sorridendo, stupiti dalla coincidenza, sappiamo già che, anche per lei, sarà una buona lettura.

 

 


Traccia corrente

Titolo

Artista

Background