Vangelo della domenica, il commento del Vescovo Francesco Cavina: “Vivere alla presenza di Cristo”

Scritto da il 22 Marzo 2020

Il commento al Vangelo di domenica 22 marzo 2020 di monsignor Francesco Cavina*:

“Il Vangelo di oggi ci presenta Gesù che guarisce un cieco nato. Ci soffermiamo sulla parte finale dell’episodio, dove viene riportato il dialogo tra Gesù e il cieco risanato. Gesù gli chiede: Tu credi nel Figlio dell’uomo? Risponde il risanato: E chi è, Signore, affinché creda in lui? Questa richiesta, che esprime il desiderio di conoscere Dio, porta Gesù a manifestarsi: Lo hai visto ed è quello che parla con te. Gesù si rivela come la Parola di Dio incarnata che viene incontro agli uomini e li interpella. Ora quello dichiarò: ‘Credo, Signore’. Con queste parole siamo giunti al vertice dell’episodio. Il cieco risanato, proclama ufficialmente la sua fede, che costituisce il coronamento spirituale di un lungo e tribolato cammino, vissuto in un ambiente a lui ostile.

Gesù, per lui, non è più semplicemente “un uomo”, non è più neppure un profeta cioè un inviato di Dio, ma è “il Signore”. Con il dono della fede il guarito, dunque, riesce ad andare oltre le apparenze e a cogliere il mistero di Gesù, la sua vera identità di Figlio di Dio. Dopo questa scoperta, immediatamente la sua fede passa dal dire al fare: si prostra davanti a Cristo. Scrive san Tommaso: con ciò mostrò di credere la sua natura divina…lo riconobbe non solo figlio dell’uomo, come appariva all’esterno, ma Figlio di Dio, il quale aveva assunto la nostra carne. L’adorazione infatti è dovuta soltanto a Dio: ‘Adorerai il Signore Dio tuo’ (Ibidem, 182-183). Il cieco risanato compie, dunque, un gesto di adorazione che è riservato solo a Dio. In tale modo, riconosce di trovarsi davanti a Colui che è il Signore della vita e della storia, Gli attribuisce il posto che deve avere, lo sceglie come Guida e lo accoglie come suo Dio e Signore.

Per giungere a tale maturazione ha dovuto accettare di mettere in discussione le certezze e le sicurezze sulle quali fondava la sua vita, comprese quelle derivanti dal mondo sociale, culturale e religioso in cui viveva. Tuttavia, queste rinunce e privazioni sono state ampiamente compensate dalla sua nuova condizione. Ora gode dell’amicizia del Figlio di Dio e, per mezzo di Lui, è reso partecipe della vita divina e coerede del Regno dei cieli. Il risanato ha assunto un atteggiamento opposto a quello dei capi del popolo. Costoro, poiché si sentivano persone perbene, giuste e chiuse nelle loro certezze, hanno ritenuto non necessario entrare in un cammino spirituale e così sono rimasti impermeabili alla novità di Cristo, che se accolta avrebbe contribuito a cambiare in bene la loro vita. Ha scritto C. Peguy che “le persone per bene non si mescolano con la grazia”. Per questo è più facile che siano toccati e penetrati dalla grazie i grandi peccatori piuttosto che le persone virtuose.

Il significato di questo miracolo ci viene spiegato in maniera molto precisa dal prefazio della messa della IV domenica di Quaresima: Cristo nel mistero della sua incarnazione si è fatto guida dell’uomo che camminava nelle tenebre, per condurlo alla grande luce della fede. Con il sacramento della rinascita ha liberato gli schiavi dell’antico peccato per elevarli alla dignità di figli. Il sacramento della nostra rinascita è il Battesimo nel quale ognuno di noi è stato lavato dal peccato che non ci permette di vedere Dio. Siamo entrati “ciechi dalla nascita” nella vasca battesimale, che è la nostra piscina di Siloe, e da essa siamo riemersi vincitori sulle tenebre del peccato. In quel giorno noi, o chi per noi, abbiamo ripetuto le stesse parole del cieco, una volta che è giunto alla fede: Io credo, Signore. La fede è la luce di Gesù che si accende nella nostra vita e con la quale ci viene svelato chi è Dio, che cosa fa per noi, chi siamo noi, che senso ha la nostra vita e qual è il destino finale del nostro esistere.

Una persona che ha ricevuto il dono della fede vive una vita che va oltre il dato puramente umano perché si apre alla comunione con Dio in Cristo Gesù. Il credente con la fede riceve il dono: di avere illuminati gli occhi del cuore (Ef 1.18) e di godere del pensiero di Cristo. Questa visione della fede trova il suo fondamento nella Scrittura. San Paolo precisa che la fede è via per la comprensione del mistero di Cristo (Ef 3.4), perché la fede cristiana nella sua natura più profonda è incontro, relazione, comunione con Cristo. Infatti, come insegna sempre l’apostolo: Per mezzo della fede Cristo dimora nei vostri cuori (Ef 3.17).

La chiamata alla fede, dunque, è legata indissolubilmente ad una conoscenza intima e amorosa di Cristo, simile a quella di cui hanno fatto esperienza i discepoli nei tre anni vissuti con Gesù. L’allora card. Ratzinger precisava che la fede è vita, perché è relazione, cioè conoscenza, che diventa amore, amore che proviene dalla conoscenza e conduce alla conoscenza. La vita, dunque, è vivere alla presenza di Cristo. Vivendo la relazione d’amore con Lui si vede il Padre e si svela il mistero dell’uomo. Vivere nella fede significa, dunque, entrare in un mondo nuovo, e quindi in una vita nuova perché si è immersi nel mondo di Dio e si respira l’eternità. Questa ampiezza di prospettive ci devono portare a riconoscere che la fede oltrepassa la ragione, ma non la deprime, né la umilia, ma la potenzia e la esalta ed offre un principio nuovo di conoscenza e di azione.”

* Vescovo Emerito di Carpi


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