Vangelo della domenica, il commento del Vescovo Francesco Cavina: “Il nostro parlare sia talmente vero da non aver bisogno di giuramenti”

Scritto da il 16 Febbraio 2020

Il commento al Vangelo di domenica 16 febbraio 2020 di monsignor Francesco Cavina*:

“Nel brano di Vangelo Gesù ci dice quali sono le opere buone per le quali il discepolo deve risplendere davanti al mondo. Dio, nell’Antico testamento, aveva fatto conoscere la sua volontà attraverso la Legge e i Profeti. Ora, attraverso Cristo noi abbiamo la possibilità di conoscere la definitiva rivelazione della volontà di Dio. Gesù non è un rivoluzionario che vuole cambiare tutto e ripartire da zero, come se il passato non esistesse, ma vuole portare a compimento, a perfezione ciò che già esiste. Per spiegare il suo modo di agire Gesù si serve di alcuni casi concreti che riguardano il comportamento sessuale, il matrimonio e il giuramento.

Dopo avere presentato ciò che dice la legge di Mosè in merito: Avete udito che vi fu detto, Gesù immediatamente precisa: “Ma io vi dico”. E propone ai suoi ascoltatori un serie di insegnamenti che sembrano impossibili da mettere in pratica, da vivere. Perché Gesù può permettersi di “correggere” Mosè? Perché Mosè parlava in nome di Dio, Gesù, invece, si attribuisce un’autorità divina e proprio per questo i suoi ascoltatori Erano stupiti del suo insegnamento: egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità e non come gli scribi (Mc 1.22). Cristo, quindi, non è un moralista o il fondatore di una nuova etica, ma è Dio stesso il quale è venuto tra noi per offrire all’uomo l’integrità e la pienezza di vita che il peccato ha distrutto impedendo di vivere la piena comunione con Dio e con i fratelli, sorgente di gioia e di pace.

L’amore di Dio per noi è pieno, totale, incondizionato, senza riserve. Anche noi risanati dal male ed innalzati alla vita divina grazie al Battesimo abbiamo la possibilità di amare allo stesso modo di Dio. In altre parole, per Grazia diventiamo quello che non siamo, figli di Dio, e quindi capaci di vivere “divinamente”. Ciò che umanamente appare impossibile diventa possibile. Alla luce di queste riflessioni, prendiamo, dunque, in esame alcune delle richieste di Cristo.

Il Signore ci dice che l’uomo vero, cioè l’uomo che vive la comunione con Lui, non si accontenta, nei suoi rapporti con gli altri, di non uccidere, ma combatte l’ira. Che cosa è l’ira? E’ quel sentimento che ci porta a nutrire risentimento, astio, rancore, odio verso il fratello. Occorre evitare non solo l’azione cattiva, ma anche la cattiveria nel cuore e le parole cattive. Gesù chiede al discepolo di comportarsi come Dio si comporta con noi, il quale non si stanca mai di cercarci e di prendere l’iniziativa della riconciliazione.

La stessa cosa vale per il matrimonio. Affrontando la questione del divorzio, Gesù cita un testo tratto dall’Antico Testamento (Deut. 24.1), che offriva la possibilità del divorzio. Ma non si ferma lì. Egli va oltre. Riporta il matrimonio all’intenzione, al progetto originario di Dio e riafferma – al di là di ogni accomodamento umano fatto dagli uomini – che la comunione di vita tra un uomo e una donna sancita dal patto coniugale è un bene inalienabile, di cui bisogna avere cura, che occorre custodire e conservare.

Gesù, dunque, riafferma la indissolubilità del matrimonio, la quale, per chi ama, non è una catena che imprigiona, ma un modo di amare come ama Dio. Dio, infatti, “non divorzia” dagli uomini e, pertanto, anche il discepolo, aiutato dalla grazia del Signore, è chiamato ad assumere fino in fondo la responsabilità delle sue relazioni, accettando anche le delusioni, le infedeltà, i tempi lunghi dell’altro. L’indissolubilità del matrimonio vissuta con l’aiuto e la grazia del Signore è il dono più grande della libertà che ci fa comprendere che cosa è l’amore: dare la vita per l’altro, come ha fatto Gesù per noi.

Gesù, poi, annuncia il primato della carità fraterna sul rito. In un testo dei primi secoli della Chiesa si raccomanda ai Vescovi di seguire questa prassi: O Vescovi, affinchè le vostre preghiere e i vostri sacrifici siano graditi, quando vi trovate in chiesa per pregare, il diacono deve dire ad alta voce: ’C’è qualcuno che è in lite con il suo prossimo?’,in modo che, se ci sono persone che sono in lite tra di loro tu li possa convincere a stabilire la pace tra di loro (Didascalia Apostolorum).

Infine, l’ammonimento di Gesù sul giuramento è un invito alla sincerità e verità. Il nostro parlare deve essere talmente vero da non aver bisogno di giuramenti. Gesù, quindi, domanda un legame stabile e diretto con la verità. Dio assolutamente veritiero e assolutamente degno di fede, si presenta a noi come modello.”

*Vescovo Emerito di Carpi


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