“The Last Dance”: il mito Jordan, le lacrime di Kerr, i contratto “cheap” di Pippen e l’ingiustizia fatta a Jerry Krause

Scritto da il 21 Maggio 2020

Un trionfo. La “docuserie” prodotta da ESPN e da Netlix, incentrata sul racconto dell’ultima incredibile stagione dei Chicago Bulls dei record, ha incassato il consenso del grande pubblico conquistando per la sua innovativa modalità di raccontare lo sport dietro le quinte.

I VINCENTI NON POSSONO ESSERE SIMPATICI 

“Michael com’era? Un tipo simpatico? Era MJ, non poteva esserlo”. Questa la lapidaria descrizione con la quale B.J. Armstrong ha esemplificato al meglio la grandezza di un “superuomo” alimentato dalla vorace incapacità di interpretare lo sport se non come una sfida costante con sè stesso e con il mondo. Michael Jordan è semplicemente il più grande sportivo di tutti i tempi: un uomo, per certi versi controverso, che ha saputo farsi riconoscere come un “dio dell’arena” a livello mondiale. Sei anelli Nba, uno stile divenuto globalizzante e la fuga biennale verso il baseball. Più semplicemente Michael, un uomo che, quando ebbe distrutto la concorrenza e annientato gli stimoli, scelse di complicare la sua carriera per poter poi, ripartendo da zero, trovare nuovi ostacoli al suo dominio.

SCOTTIE PIPPEN: IL PIU’ GRANDE NUMERO 2 DI TUTTI I TEMPI 

“Non potevo rischiare, dovevo prendermi cura della mia famiglia”. Con questa frase l’ex Chicago Bulls ha spiegato la scelta di legarsi per tanti anni, a cifre poi divenute basse per un campione del suo livello: fu la necessità di non potersi prendere rischi economici dovendo aiutare una famiglia numerosa con due persone allettate e costrette in carrozzina. Un campione a 360° Scottie Pippen venuto da un piccolo paesino di campagna per poi diventare il più grande equilibratore di gioco della storia del basket a stelle e strisce. Con “Pip” anche la presenza di Jordan in campo era inevitabilmente esaltata: una sorta di “positionless” in grado di dare struttura e dinamismo alla difesa, conferendo velocità ed esplosività all’attacco.

DENNIS RODMAN: “VOLEVO SOLO GIOCARE A BASKET, DIVERTIRMI E SCOPARE” 

E’ la parte folle che alberga in ognuno di noi. Un uomo ragno di oltre due metri dell’area piccola che oltre all’innata dote di catturare rimbalzi, ha costellato tutta la sua carriera di gesti folli. Dalla “concessa” fuga a Las Vegas di 48 ore per ritrovare “serenità”, poi diventata una sparizione per 80 ore alla necessità, alla “boutade” ad uno show di wrestling assieme all’amico “Hulk Hoogan” in piena serie di Finale NBA. Il tutto condito da un’infanzia molto problematica e dal vorace appetito per le belle donne (Madonna e Carmen Electra ne sono rimaste folgorate). Ma attenzione a non farlo passare per un elemento circense: negli ultimi tre “anelli” dei Bulls c’è moltissimo di “The Warm”.

STEVE KERR: LA CLASSE OPERAIA IN PARADISO 

Poteva essere una delle tante meteore dello sport, invece ha scelto di essere uno dei “gregari” più decisivi dell’Nba. Un uomo abituato a dover lottare per ottenere i risultati, senza alcuna scorciatoia. Steve, accumunato a Jordan dalla scomparsa del padre, ha saputo sul campo meritarsi il rispetto di tutti con una mano glaciale dalla lunga distanza divenuta un’arma micidiale nei momenti cruciali.

JERRY KRAUSE: L’ARCHITETTO DEL MITO 

L’uomo più criticato, senza possibilità di contradditorio, di tutta la serie. Le accuse maggiori sono state quelle di aver “sfruttato” con contratti bassi sia MJ che “Pip” e poi aver distrutto il “giocattolo” disintegrando la possibilità di puntare al settimo anello in dieci anni. Schernito continuamente per la sua forma fisica e per il suo essere pubblicamente impacciato, Jerry Krause ha subito una mistificazione che merita quanto meno una energica difesa d’ufficio.

Tutti capaci di celebrare il mito di Jordan e dei Bulls, ma quella squadra chi la costruì? Chi seppe rifondare, a metà anni 90′ il roster dopo gli addii di Jordan (poi rientrato) e Horace Grant? Chi scelse il “loco” Rodman con il rischio di inserire un elemento di rottura nello spogliatoio? Chi mise Phil Jackson al timone di una delle franchigie più conosciute di tutti i tempi? Un pizzico di rispetto in più per uno dei più grandi dirigenti sportivi di tutta la storia non sarebbe guastato, poichè se è vero che il senso della serie è raccontare la storia di uno sportivo che ha anteposto tutto alla fame di vittorie, non si può non considerare l’efficace valore pragmatico delle scelte di Krause.

 

 


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