Reddito di cittadinanza: chi non accetta di fare lavori di pubblica utilità perde immediatamente il contributo

Scritto da il 11 Gennaio 2020

Con la pubblicazione del decreto sulla Gazzetta Ufficiale, ha preso il via ufficialmente la seconda fase del reddito di cittadinanza. Fase in cui entrano in gioco i Comuni di residenza dei percettori del sussidio, che fino a questo momento non avevano avuto alcun beneficio.

Da ora in poi, i beneficiari del reddito di cittadinanza sono tenuti a svolgere lavori di pubblica utilità all’interno dei progetti utili alla collettività (PUC) sulla base di quanto stabilito non solo da decreto 4/2019, ma anche dal decreto attuativo pubblicato l’8 gennaio 2020 sulla Gazzetta Ufficiale dopo un accordo tra ministero del Lavoro e Comuni.

I progetti utili per la collettività vengono svolti in ambito culturale, sociale, artistico, ambientale, formativo e di tutela dei beni comuni.

“I Puc – si legge sulla Gazzetta – non rappresentano un rapporto di lavoro e pertanto i lavori di pubblica utilità non sono da considerarsi prestazioni di lavoro autonomo, subordinato o parasubordinato.”
  • le attività di pubblica utilità non devono superare le 8 ore settimanali, che possono essere espletate in un solo o più giorni della settimana;
  • il beneficiario ha l’obbligo di completare le ore previste nel mese; in caso di flessibilità, le ore saranno recuperate successivamente;
  • nel caso di ampliamento delle ore, fino ad un massimo di 16 settimanali, la flessibilità prevista per le 8 ore non è contemplata e i beneficiari devono svolgere settimanalmente le ore concordate.

La mancata accettazione della condizione stabilita dal decreto da parte di uno dei componenti del nucleo familiare determina la decadenza del reddito.


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